Salerno: Duomo, Roberto “il Guiscardo” e Papa Gregorio VII     

Salerno: Duomo, Roberto “il Guiscardo” e Papa Gregorio VII     

Maria Amendola

 Nel giugno del 1077 l’ultimo principe longobardo di Salerno Gisulfo II (dal 1052 al 1077) si arrese al duca condottiero normanno Roberto d’Altavilla detto il “Guiscardo” e definito il “Terrore del Mondo” (1015-17 luglio 1085), che dopo un lungo assedio alla città di Salerno il 13 dicembre del 1076, vi entrò  vittorioso. Egli dopo aver ottenuto nel 1058 da papa Niccolò II (980-1061, al secolo Gerardo di Borgogna) l’annullamento del matrimonio con la dolce moglie di stirpe normanna Alberada di Buonalbergo (1033-11122) dalla quale aveva avuto Boemondo (1051/1052- 1111) ed Emma, grazie ad un espediente ovvero una riforma canonica sui matrimoni tra consanguinei emessa dal papa, sposò in seconde nozze Sichelgaita, (1036/40-16 aprile 1090, sorella di Gisulfo II, definita da d’Annunzio come “Sigilgaita dal quadrato mento”, che con tanto di armatura accompagnava in battaglia il marito, e descritta dagli storici come tenace, appassionata, combattiva e lungimirante) da cui ebbe Olimpia, Matilda, Ruggero, Heria, Guido, Mabilia, Sibilla e Roberto (Scalio). Divenuto principe di Salerno il normanno Roberto decise di far costruire sul suolo già occupato dalla Chiesa si S. Maria degli Angeli e di S. Giovanni Battista il Duomo in onore di San Matteo Evangelista (4/2 a.C. – 70/74 d.C.), il Santo patrono della città, e tra le sue mura vi accolse ben presto le spoglie del Santo rinvenute presso Velia (l’antica Elea) da Atanasio grazie alla pia madre Pelagia, e che furono deposte nella Chiesa paleocristiana di S. Maria degli Angeli dal 4 maggio del 954 durante il mandato vescovile di Bernardo, e rinvenute durante la demolizione di questa Chiesa. Dato che il disegno preparatorio della struttura del Duomo assomiglia a quella del Basilica di Montecassino si ipotizza che l’architetto fu l’Arcivescovo Alfano (1015/1020- 9 ottobre 1085, un principe longobardo, che fu monaco di quel luogo) ispiratosi alla Basilica costruita dall’abate Desiderio (futuro Papa Vittorio III al secolo Dauferio Epifani Del Zoppo 1027-1087, anche egli un principe longobardo). I principi Sichelgaita, Alfano e Desiderio erano parenti. Probabilmente il giorno 11 luglio del 1084 il Duomo fu consacrato dal papa in esilio Gregorio VII (al secolo Ildebrando di Savona, nato dal fabbro Bonizone nel 1020 circa), che fu eletto papa nel 1073, e che ha combattuto la “simonia” (eresia, riguarda la compravendita di reliquie e di cariche ecclesiastiche e scopo di lucro, e trae il nome da Simon Mago) e il “nicolaismo” (eresia, dottrina che non riconosce la non riconosce la divinità di Cristo, trae il nome da Nicola di Antiochia). Egli fu un riformatore  della Chiesa (con il “Dictatus papae” del 1075-76) egli affermò la superiorità del papato (potere spirituale, sulle anime) su tutte le autorità temporali (laico, degli uomini, oggi potrebbe esse definito “politico”) entrando così in conflitto con Enrico IV di Franconia, re di Germania e imperatore dal 1084 (1050-1106), che invece voleva ripristinare l’autorità imperiale, aprendo un periodo di conflitti noto come “lotta per le investiture” (quella dei vescovi-conti: il papa affermava che i vescovi dovessero essere eletti dal papa, mentre l’imperatore decretava di sua pertinenza la nomina dei conti, quindi la questione era spinosa). Nel 1076  Enrico IV convocò a Worms ì vescovi tedeschi e Enrico IV destituì e scomunicò il papa che appresa la notizia lo scomunicò a sua volta, questo destabilizzò il potere di Enrico IV in quanto ci fu una rivolta dei feudatari. Egli capì che per salvare il suo regno doveva chiedere il perdono del papa. Per poterlo ricevere Enrico IV rimase inginocchiato a piedi nudi con indosso un saio penitenziale per tre notti e tre giorni in una bufera di neve davanti al castello della cugina del papa, la vicaria imperiale Matilde di Canossa (1046-1115) che facendo pressione sul cugino fece sì che il 25 gennaio 1077 l’imperatore riacquisisse il suo ruolo di legittimo imperatore, ma a detta di molti egli non era per nulla pentito. Da questo evento è nata la locuzione “andare a Canossa”, riferendosi a chi si “umilia” ed ammette i propri errori. In seguito l’imperatore riorganizzò l’offensiva contro il papa e lo depose in una assemblea (con un Concilio vescovile a Bressanone nel 1080), ed eleggendo l’antipapa Clemente III affinché quest’ultimo lo incoronasse a Roma. Il papa non ritenne valida la cosa e per la seconda volta scomunicò l’Imperatore Enrico IV che scese in Italia e si fece incoronare dal suo antipapa Clemente III ed assediò Roma. Il papa assediato nella sua residenza a Castel Sant’Angelo ricorse all’aiuto del suo vassallo Roberto il “Guiscardo” (divenuto tale con l’accordo di Melfi del 1059). Il principe di Salerno che impegnato sul fronte straniero (greco) immediatamente rientrò in Italia e organizzò le truppe, e il 27 maggio del 1084 entrò a Roma passando da Porta San Lorenzo e dal Laterano allontanando le truppe dell’imperatore tedesco con l’esercito mercenario degli Altavilla, che era formato da circa 36.000 fanti (bizantini, saraceni, normanni e per la maggiore mussulmani) e 7.000 cavalieri. L’imperatore Enrici IV lasciò Roma, in quanto temeva le forze normanne e il “Guiscardo”. I mussulmani misero a ferro e fuoco Roma per ira perché si resero conto che la città era stata depredata nell’inverno dall’esercito nemico, quindi iniziarono a saccheggiare e distruggere, questo evento passò alla storia con il nome di “Sacco di Roma”. Papa Gregorio VII fu ritenuto responsabile del “Sacco” per tal motivo egli fu esiliato e si recò a Salerno, lì rinnovò fortemente la scomunica l’antipapa Clemente III e all’Imperatore Enrico IV. L’entrata trionfale a Salerno con il bottino di Roma e con il papa Gregorio VII divenne un’espressione di potere e rese la figura di Roberto il “Guiscardo” una delle più ricordate dalla storia e allo stesso tempo una delle più temute (chiamato infatti il “Terror Mundi, il Terrore del mondo”). Gregorio VII morì a Salerno il 25 maggio del 1085 e riposa nel Duomo, sulla sua tomba vi è scolpita la frase: “Ho amato la giustizia e ho odiato l’iniquità: perciò muoio in esilio”. Fu proclamato Santo nel 1606 da papa Paolo V (al secolo Camillo Borghese 1550-1621). Curiosità: Enrico IV dovette fronteggiare gli ormai sposi Matilde di Canossa e Guelfo V (1073-1120, divenuto in seguito Guelfo II duca di Baviera). Poi vi fu lo scontro con i suoi stessi figli, e in particolare con Enrico V che divenne imperatore nel 1104 facendo imprigionare il padre che morì due anni dopo. Il contrasto tra papato e impero finì nel 1122 con il Concordato di Worms, vi presero parte Enrico V di Franconia e papa Callisto II, in breve si decretò che il “potere spirituale” apparteneva al papa mentre quello “temporale” dell’imperatore, e si arrivò ad un accordo per i vescovi-conti, essi venivano prima nominati dal papa e in seguito investiti dall’imperatore. Però in Germania il “potere temporale” era superiore a quello “spirituale”, mentre il Italia fu viceversa: il “potere spirituale” era superiore al “potere temporale”.

Nel Duomo vi sono cripte, mausolei e sepolcri (ricavati da sarcofagi romani di spoglio ovvero di recupero) tra questi:

– la cripta di San Matteo, dove i fedeli da ogni lato possono vedere il Santo in quando vi sono due statue poste schiena contro schiena, una sorta di “Giano bifronte”, un dio pagano che aveva due facce una rivolta al passato e una al futuro, da lì la credenza che i salernitani abbiano “due facce”;

– la cripta della scuola medica dove si trova l’urna dei Martiri Salernitani difensori delle città (Fortunato, Caio e Ante, definiti “le sorelle di San Matteo”) e la colonna della loro decollazione;

– la tomba di papa Gregorio VII che come detto morì in esilio a Salerno il 25 maggio del 1085;

– il mausoleo di Margherita d’Angiò-Durazzo (1347-1412, figlia di Carlo di Durazzo e Maria d’Angiò);

– sarcofago di  Alfano I (1015/1020-1085);

– sarcofago della Principessa Sichelgaita (1036/40-1090), ma secondo altri storici essa è sepolta a Montecassino (FR);

–  sarcofago di Ruggero Borsa (1060/61-1111, figlio di Roberto il “Guiscardo” e della Principessa Sichelgaita);

– sarcofago di Guglielmo II duca di Puglia e di Calabria (1095-1127, figlio di Ruggero Borsa) chiamato quello della “Caccia al Cinghiale”.

Le leggende famose del Duomo:

– Leggenda di Guglielmo II duca di Puglia e di Calabria (1095-1127) nipote di Roberto il “Guiscardo”. Egli nel 1114 prese in sposa la nobile normanna Gaitelgrima (o Guaidalgrima), figlia del conte normanno di Alife che divenne duchessa di Puglia e di Calabria. Nel 1125 il duca si fece costruire una mausoleo, dopo 2 anni (senza eredi) morì a 32 anni (per cause naturali, ma secondo  altre fu assassinato). La moglie Gaitelgrima di Puglia (o Guaidalgrima) disperata recise i suoi biondi capelli e li adagiò sul sarcofago del marito, altre nobili salernitane resero omaggio al duca nella medesima maniera. Queste notizie  sono  testimoniate dallo storico longobardo  Falcone di Benevento autore de “Cronicon Beneventanum” (XII secolo).  I beni della coppia senza eredi, passarono a Ruggero II, nipote di Roberto il guiscardo e figlio di Ruggero I. Egli divenne primo re di Sicilia. Leggenda vuole che ogni 4 di agosto una farfalla dorata esca dal sarcofago dell’amato duca e dopo un volo tra le colonne essa si dissolve all’arrivo del fantasma di Gaitelgrima, si dice che una volta chiuse le porte del quadriportico compaia proprio il fantasma della bella Gaitelgrima che avvicinandosi al sepolcro del suo amato ripete il gesto del taglio dei capelli.

– Leggenda dei leoni: durante un assedio dei saraceni riuscirono ad aprirsi un varco nelle mura delle città. Quando sembrava imminente il saccheggio ad Duomo la coppia di leoni di pietra a guardia  della porta  presero vita secondo alcuni grazie al prodigio di un mago, secondo altri grazie all’intercessione del patrono San Matteo, invocato a gran voce dal popolo. I pirati non riuscirono a penetrare nel Duomo perché i leoni incominciarono a uccidere e sbranare gli invasori,  riuscirono così a contrastarli fino a metterli in fuga, facendogli togliere l’assedio alla città. I due leoni che rappresentano la forza, la  carità, la difesa della Chiesa e potenza di Dio tornarono di pietra e al loro posto a guardia del portone ed è lì che li si può ammirare: a sinistra la leonessa che allatta il suo cucciolo  (rappresenta la “carità”) e destra il leone (rappresenta la “potenza della Chiesa”). Secondo alcuni storici i leoni sono un simbolo araldico, e precisamente il simbolo araldico  della famiglia dei normanni Altavilla.

La porta “bronzea” del Duomo a doppio battente fu realizzata a Costantinopoli tra il 1085-1090, con l’oricalco (un elemento di tradizione  bizantina più prezioso del simile bronzo). Essa è costituita da 54 formelle (46 raffigurano una croce, mentre 8 sono create con le tecnica di incisione a caldo detta “agemina” e raffigurano dei Santi tra questi si riconoscono  San Matteo, San Simone, Santi Pietro e Paolo, Cristo e la Vergine. Anche i committenti della porta sono raffigurati, il “protosebaston” dell’impero bizantino Landolfo  e sua moglie Guisana Butrumile. Una iscrizione sulla porta riporta la volontà dei coniugi di realizzare la porta per la remissione dei loro peccati.  A sinistra della porta c’è una lapide marmorea su cui è scritto i versi dell’opera poetica “Merope. Canti della guerra d’oltremare” del 1912 di Gabriele D’Annunzio: “Quei di Salerno il lor lunato golfo, gli archi normanni, tutta bronzo e argento la porta di Guïsa e di Landolfo ave ansi in cuore …”.