Salerno Barocca: Musica per Venerdì Santo

Salerno Barocca: Musica per Venerdì Santo

Venerdì 15 aprile III appuntamento della stagione concertistica “In cordis cordae” promossa dall’Associazione Culturale Emiolia, che proporrà nella chiesa di San Giorgio, lo Stabat Mater di Giovanni Battista Pergolesi e la  Sinfonia in si minore “Al Santo Sepolcro”, RV 169 di Antonio Vivaldi

 Barocco nel barocco venerdì 15 aprile con l’Associazione Culturale Emiolia, presieduta dal controtenore Pasquale Auricchio, con una serata speciale, per il III appuntamento   del cartellone della stagione concertistica 2022 dal titolo “In cordis cordae”, in collaborazione con l’Arcidiocesi salernitana, col patrocinio morale del Comune di Salerno, in sinergia con l’Associazione Gestione Musica, che nella Chiesa di San Giorgio, alle ore 19, saluterà l’esecuzione dello  Stabat Mater di Giovanni Battista Pergolesi e della  Sinfonia in si minore “Al Santo Sepolcro”, RV 169 di Antonio Vivaldi.

 “Per comporre musiche sacre ispirate alla sofferenza ed alla morte (siano mottetti penitenziali o responsi della Settimana Santa o passioni o improperia o qualsivoglia altro suggetto similare), doverebbe star avvertito il compositore di non fare solo musica buia e arabbiata in falsa larghezza, forzando la penna oltr’il naturale, perché per i sentimenti di dolore o di preghiera penitente o di pianto le oportune armonie et i sani contrapunti non dovrebbon perdere mai la luce, la vaghezza e l’affectione (come dev’essere per i divoti che anche ne’ patimenti giamai scordano la speranza) avendo cura particularissima degli accidenti e delle pause (che della musica sono il colore e ’l respiro): doverebbe insomma la composizione riescir naturale e profonda”. Con queste parole il fiorentino Giovanni Francesco Beccatelli, teorico, maestro di cappella e organista nella cattedrale di Prato, illustrava la sua concezione di musica per le “tenebre”. La celebrazione del Venerdì Santo era detta “delle Tenebre” in ricordo degli antichi riti notturni attraverso i quali si intendeva rievocare l’oscurità che discese sulla terra alla morte di Cristo e l’immagine della Chiesa che brancola nel buio senza il suo Dio. Sul far delle tenebre, si potrà assistere all’esecuzione dello “Stabat Mater” di Giovanni Battista Pergolesi. Quest’opera, per soli e strumenti verrà eseguita dal soprano Teresa Ranieri, dal controtenore Pasquale Auricchio, che si cimenterà nella parte del contralto, con Maddalena Alfano che farà risuonare l’ antico organo della chiesa proprio del secolo XVIII, un pregevole strumento di Tommaso De Martino, rampollo della famiglia De Martino che annoverò tra i suoi figli tre maestri organari della regia cappella del Regno di Napoli, restaurato dal Rotary di Salerno e l’ Ensemble Lirico Italiano composto da Ilario Ruopolo e Mattia Cuccillato al violino, Paolo Di Lorenzo alla viola, Francesco D’Arcangelo al violoncello Giuseppe Di Martino al contrabbasso.

Lo Stabat Mater viene da sempre considerato, il testamento spirituale di Pergolesi. In questa opera emerge la bellezza pura, malinconica ma non drammatica, che risplende in tutta la sequenza, quasi come se Pergolesi vi si fosse rispecchiato ed avesse ritrovato gli accenti più veri del suo dolore in quel canto, sincero e profondamente sentito. È una musica non pretenziosa, si direbbe umile, dove sono eliminati ogni sorta di virtuosismo esteriore fine a se stesso ed ogni sorta di artificio superfluo e ridondante. A distanza di ben 286 anni dalla prima esecuzione, le incrostazioni romantiche di dubbia lega depositate in strati sempre più spessi nelle numerosissime interpretazioni e trascrizioni, verranno azzerate, lasciando, così ritrovare al pubblico, l’ unitaria compostezza di questa pagina. Verrà infatti eseguita l’edizione critica di casa Ricordi, redatta filologicamente sul manoscritto originale, che conta notevoli differenze anche nel testo, con l’edizione comunemente proposta. Pergolesi, infatti, da un punto di vista stilistico approda ad una prospettiva più squisitamente sentimentale, la celebrata Teoria degli affetti, incentrata sul pathos del testo sacro e, da un punto di vista tecnico-compositivo, alleggerisce gli austeri toni presenti nella versione scarlattiana. Tutto questo non implica un completo abbandono delle forme tipiche della tradizione sacra – presente per esempio nei richiami arcaicizzanti di alcuni passaggi del “Fac, ut ardeat cor meum” – ma esse si compendiano in un perfetto bilanciamento con i drammatici trilli del “Cujus animam gementem” o nell’interpretazione dei toni dell’anima con il “Fac me vere tecum flere”. Tutto sorregge il canto ed è funzionale al risplendere delle due voci femminili e, già dall’introduzione, si delinea un clima commovente e malinconico, la musica prende vita forma e ha il compito di far percepire la terra, il terreno, come un principio di assorbimento e, insieme di nascita: abbassando, si seppellisce e si semina, e, nel medesimo tempo, si dà la morte per poi ridare nuova luce, nuova vita.

 Il concerto sarà sigillato  dall’esecuzione della Sinfonia in si minore RV 169 «Al Santo Sepolcro» di Antonio Vivaldi. Probabilmente composta intorno al 1730, al pari dell’omonima Sonata, nacque per accompagnare le cerimonie liturgiche organizzate dall’Ospitale della Pietà nel corso della Settimana Santa. La sua struttura, formata da un Adagio e una Fuga, è piuttosto anomala nella produzione vivaldiana, nella quale il contrappunto è sempre un elemento secondario dell’invenzione. Il movimento introduttivo crea un’atmosfera di sospensione, che riesce nello stesso tempo a esprimere raccoglimento religioso e forte attesa per un evento imminente. Da notare altresì il rifiuto del basso continuo: Vivaldi si premura di precisare “Senza Organi o Cembali”, quasi a voler prendere le distanze da certi effetti di fascino sonoro che potevano generarsi dall’impiego del basso continuo come fattore propulsivo della discorsività musicale. Non per nulla in alcune stampe allegoriche settecentesche l’indicazione del continuo era a volte accompagnata dalla raffigurazione del diavolo. Tutta la tensione sfocia nell’Allegro ma poco, il quale tesse con lenta sofferenza una fuga (composizione polifonica con entrate sfasate delle varie parti), nella quale convivono due soggetti cromatici di natura opposta: uno ascendente e l’altro discendente. Questa scelta ha certamente qualcosa di icastico, nella sua capacità di incrociare temi che si muovono in direzione opposta, proprio come gli elementi strutturali della Croce, simbolo della Passione di Cristo.