La Voce e la Vita della Chiesa: Solennità "Gesù Cristo, Re dell’universo"

Diacono  Francesco Giglio

Domenica 22 novembre si celebra la regalità di Cristo, Signore del tempo e della storia, inizio e fine di tutte le cose e al quale tutti gli uomini e le altre creature sono soggetti. Questa  Solennità si celebra nella Chiesa cattolica e in altre denominazioni cristiane (anglicani, presbiteriani ed alcuni luterani e metodisti) con l’intento di presentare Gesù Cristo come “re di tutto l’universo”. La ricorrenza fu introdotta da papa Pio XI, con l’ enciclica “Quas primas” dell’ 11 dicembre 1925, a compimento del Giubileo che si celebrava in quell’ anno. La nascita della festa  è datata nell’anno 1899, quando papa Leone XIII stabilì l’ 11 maggio la “consacrazione universale  al Cuore di Gesù”. Contemporaneamente il gesuita italiano Sanna Solaro con una lettera indirizzata a tutti i vescovi italiani chiedeva una richiesta scritta per una petizione che istituisse, a tale scopo, una festa liturgica. La richiesta fu ripresentata a papa Pio XI dopo il Congresso eucaristico internazionale di Roma. Nel 1923 fu presentata una terza supplica, nella quale si chiedeva: “Per riparare gli oltraggi fatti a Gesù Cristo dall’ateismo ufficiale, la Santa Chiesa si degni stabilire una festa liturgica che, sotto un titolo da essa definito, proclami solennemente i sovrani diritti della persona regale di Gesù Cristo, che vive nell’Eucaristia e regna, col Suo Sacro Cuore, nella società”. Finalmente papa Pio XI stabilì la festa con l’enciclicaQuas Primas del 1925.

Nel rito romano questa festa cade nella XXXIV domenica del Tempo Ordinario che conclude l’anno liturgico poiché, da quella seguente, inizia il periodo dell’Avvento. Il colore liturgico è il bianco.
La solennità vuole ricordare che Cristo Redentore è Signore della storia e del tempo. Egli è l’ Alfa e l’ Omega, come canta l’ Apocalisse (Ap 21, 6). Gesù stesso, dinanzi a Pilato, ha affermato categoricamente la sua regalità. Alla domanda di Pilato: “Allora tu sei re?”, Cristo rispose: “Tu lo dici, io sono re” (Gv 18, 37). Pio XI insegnava che Cristo è veramente Re. Il suo regno, spiegava ancora nella sua enciclica, è “principalmente spirituale e (che) attiene alle cose spirituali”, ed è contrapposto unicamente a quello di Satana e delle potenze delle tenebre. Il Regno di cui parla Gesù nel Vangelo non è, dunque, di questo mondo, cioè, non ha la sua provenienza nel mondo degli uomini, ma in Dio solo; Cristo ha in mente un regno imposto non con la forza delle armi, ma tramite la forza della “Verità e dell’Amore”. Gli uomini vi entrano, preparandosi con la penitenza, per la fede e per il Battesimo, il quale produce un’ autentica rigenerazione interiore. Ai suoi sudditi questo Re richiede, prosegue Pio XI, “non solo l’ animo distaccato dalle ricchezze e dalle cose terrene, la mitezza dei costumi, la fame e sete di giustizia, ma anche che essi rinneghino se stessi e prendano la loro croce”.
Il suo successore Pio XII, nella successiva enciclica “Ad caeli Reginam” dell’ 11 ottobre 1954, affermava che Cristo, vero Dio e vero uomo “in senso pieno, proprio e assoluto, … è re”. Gesù è re di un Regno peraltro, già mistericamente presente, che troverà pieno compimento alla fine dei tempi, alla seconda venuta di Cristo, quando, quale Sommo Giudice e Re, verrà a giudicare i vivi ed i morti, separando, come il pastore, “le pecore dai capri” (Mt 25, 31ss.). Si tratta di una realtà rivelata da Dio e da sempre professata dalla Chiesa e, da ultimo, dal Concilio Vaticano II, il quale insegna a tal riguardo che “qui sulla terra il Regno è già presente, in mistero; ma con la venuta del Signore, giungerà a perfezione” (costituzione “Gaudium et spes”). In questa solennità la Chiesa ci invita a dire “grazie” a Colui che ci ha accompagnato durante tutto l’anno. Gesù non è solamente il Re dell’universo, ma anche Re della nostra vita, della nostra storia personale e umana. Gesù si proclama Re, non nel momento di massimo trionfo, ma proprio nel momento del suo massimo fallimento. Non è seduto su di un trono, ma inchiodato sulla croce, con le braccia spalancate per abbracciare l’umanità intera. Non porta vesti regali e preziose, è spogliato delle sue vesti e del suo mantello di porpora. Ha anche lui una corona, ma la sua corona è di spine. La regalità di Gesù può sembrare un po’ scomoda, non per nulla i discepoli lo abbandonarono, non desiderando essere sudditi di un Re fallito in partenza. Questi si attendevano il trionfo, vedono invece il totale fallimento di Colui al quale hanno consegnato la loro vita. Credere alle parole di Gesù, “io sono Re”, può sembrare difficile anche per noi. Ma questa regalità è l’espressione più grande “dell’amore e della misericordia”. Il nostro Dio non è un Re che ci domina, che ci condanna quando sbagliamo o ci discrimina. Al contrario ci ama, ci accoglie e ci perdona anche quando non lo meritiamo. Con la sua amorevole regalità, è venuto a portarci la felicità non solo ora, in questa nostra vita quotidiana, ma anche in quella eterna. Mettiamo la nostra vita nelle mani di  questo “dispensatore  d’amore”. Aggrappiamoci a Cristo nostro Re e non resteremo delusi. Rivolgiamoci a lui con le parole del santo papa Paolo VI: “Tu ci sei necessario o Gesù, fratello primogenito del genere umano. Tu ci sei necessario, o Signore, per imparare l’amore vero e per camminare nella gioia e nella forza lungo il cammino della nostra via faticosa, fino all’incontro finale, con Te amato, con Te atteso, con Te desiderato”.