Roma: Governo, sen. Lonardo, risoluzione approvata da Commissione su affare assegnato N. 237

 La Commissione, a conclusione dell’esame, ai sensi dell’articolo 34, comma 1, primo periodo, e per gli effetti dell’articolo 50, comma 2, del Regolamento, dell’affare sulle problematiche della filiera bufalina, premesso che:

l’affare assegnato ha consentito un’ampia riflessione sul tema della filiera bufalina, e nel dibattito in Commissione sono state consultate in audizione, durante tutto il 2019 ed il 2020, decine di associazioni di categoria, diversi rappresentanti degli enti locali interessati, professori universitari ed esponenti degli istituti sperimentali italiani; è stato ribadito da tutti che la filiera bufalina rappresenta una grossa opportunità economica ed occupazionale per alcune aree che soffrono cronicamente del problema della collocazione lavorativa e di problematiche di natura gestionale e sanitaria, per cui si è reso necessario un approfondimento delle criticità attraverso l’affare assegnato;

le produzioni casearie di provenienza bufalina rappresentano un importante capitolo della produzione lattiero-casearia campana e nazionale, e l’impatto occupazionale di tale settore è stimabile intorno al 5 per cento, un valore di tutto rispetto se si considera che, ad esempio, a livello campano, l’occupazione in tali settori incide sul totale del 3,8 per cento, contro un dato nazionale del 2,8 per cento e, addirittura, dell’1 per cento in Lombardia;

il settore bufalino nelle aree DOP risulta particolarmente strategico in termini di ricchezza e di occupazione per cui è necessario mettere in atto tutte le misure utili a garantire uno sviluppo armonico dell’intera filiera;

per raggiungere gli obiettivi, utili a creare un processo virtuoso per il continuo sviluppo della filiera, è necessario che vengano definiti alcuni punti utili e strategici che, partendo dalla sanità e selezione degli animali, possano arrivare all’ottimizzazione della commercializzazione del prodotto trasformato, passando attraverso sistemi di controllo che ne impediscano le frodi e utilizzando tecniche di allevamento rispettose del benessere animale e dell’ambiente;

la sanità dell’allevamento rappresenta il punto cruciale da cui partire per impedire una brusca frenata della crescita economica del settore;

il problema delle zoonosi (Brucellosi e Tubercolosi), che insistono principalmente su alcune zone del territorio campano, si ripercuote inevitabilmente, di riflesso, anche sulla vendita e sulle produzioni, danneggiando l’economia del comparto e rappresentando, inoltre, un grave rischio per la salute umana;

i controlli nelle aziende infette e i successivi provvedimenti sanitari non sempre hanno generato una efficace azione dei servizi veterinari territoriali, anche per la presenza di zone “difficili”, ciò, unito alla presenza di aree con una densità di allevamento per kmq molto elevata è un elemento che concorre a rendere complicata l’eradicazione della Brucellosi e della Tubercolosi;

il numero di animali abbattuti per le suddette zoonosi si assesta sia nel 2018 che nel 2019 al 6,5 per cento della popolazione, mentre se si prendono in considerazione i focolai, cioè le stalle in cui è stato trovato almeno un capo positivo, allora il valore risulta a prima vista più impattante; si parla infatti del 10 per cento di prevalenza (presenza della malattia nel corso di tutto l’anno) e del 7,5 per cento di incidenza (nuovi focolai che insorgono) nella solo provincia di Caserta;

al momento, grazie al sistema di controllo e alle misure di biosicurezza adottate e stabilite dalla Task Force, introdotta dalla regione Campania, le patologie risultano sotto controllo;

dalle diverse audizioni è emerso che solo con l’eradicazione, che avviene attraverso i mezzi diagnostici ufficiali e l’abbattimento dei capi positivi, si arriva all’assenza della malattia e al raggiungimento dell’obiettivo principale, che è rappresentato dall’ottenimento di un territorio ufficialmente indenne;

l’eradicazione di un problema sanitario porta al rilancio economico di quelle che sono le attività produttive della specie, così come è avvenuto in altri comparti;

il sistema della intradermoreazione, pure usato, è un metodo diagnostico tutt’oggi valido, ammesso e ampiamente riconosciuto, che però spesse volte è stato affiancato, così come è avvenuto per la razza bovina Piemontese, dal gamma interferon;

l’affiancamento dell’analisi del gamma interferon (reputato più specifico e meno sensibile), al sistema diagnostico della intradermoreazione, ha consentito di considerare non infetti numerosi capi bufalini che, basandosi esclusivamente sulla prova intradermica, sarebbero invece stati macellati. Inoltre, molte aziende zootecniche sarebbero state considerate focolai di infezione, pur non essendolo;

per una corretta eradicazione della tubercolosi bufalina risulta fondamentale il rispetto della tempistica delle profilassi e l’accelerazione del sistema dei rimborsi, che allo stato rappresenta un fattore di criticità, in quanto non sempre corrisposto a fronte dei capi macellati, quindi un freno da parte di allevatori ad accettare i piani di eradicazione;

relativamente alla problematica della brucellosi bufalina, nelle diverse audizioni molti allevatori, tecnici ed amministratori locali hanno sostenuto il ricorso alla vaccinazione con il ceppo RB51 al fine di gestire e salvaguardare il patrimonio bufalino campano;

a tal proposito, è fondamentale fare chiarezza sull’argomento e sulle criticità della patologia e del ricorso al vaccino sulla salute umana e sulla futura regolamentazione in termini di commercializzazione dei prodotti alimentari così come previsto dal regolamento (UE) 2016/429 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016. Il ricorso alla vaccinazione per debellare la brucellosi è stato dichiarato da gran parte degli esperti impegnati nel settore non coerente con gli obiettivi di questa filiera e soprattutto non confortato dai dati scientifici, oggetto di riflessioni effettuate con il Ministero della salute, la Commissione europea, l’Istituto zooprofilattico sperimentale del Mezzogiorno (IZSM) e il Dipartimento di medicina veterinaria e produzioni animali dell’Università di Napoli “Federico II”, sull’uso del precedente piano vaccinale;

il ricorso alla vaccinazione potrebbe rappresentare un pericolo per la successiva commercializzazione della mozzarella di bufala campana DOP così come riportato nelle considerazioni del regolamento (UE) 2016/429 del Parlamento europeo e del Consiglio del 9 marzo 2016 e, precisamente al considerando n. 134.  Tutto ciò potrebbe rappresentare un freno allo sviluppo economico del settore e alla visibilità del marchio DOP principalmente nei mercati esteri;

il ricorso all’RB51, già usato in Campania, dunque, non ha dato i risultati sperati, per cui la malattia si è ripresentata, e pensare di utilizzarlo nuovamente in un territorio sotto controllo e con l’incidenza attuale potrebbe comportare non poche criticità per l’intero comparto bufalino, poiché si tratta di un vaccino attenuato, ma che contiene il germe vivo;

non si può escludere l’eliminazione del ceppo vaccinale, come ampiamente dimostrato nel bovino, con successive ripercussioni sulla salute umana, trattandosi, inoltre, di un ceppo resistente agli antibiotici, e questa caratteristica impone l’utilizzo di tale presidio solo in estrema ratio;

l’applicazione di idonee misure di biosicurezza, tra le quali si annoverano il distanziamento degli allevamenti e maggiori condizioni igienico-sanitarie all’interno degli stessi, dettate e verificate dal Servizio sanitario nazionale, unitamente alla ottimizzazione dei tempi di prelievo e di erogazione dei provvedimenti, rappresentano attualmente misure utili a ridurre ed eliminare la presenza della patologia dal territorio;

per quanto concerne profilassi della Brucellosi occorre evidenziare che di fondamentale importanza è il rispetto delle tempistiche ex lege poste al fine di prevenire e estinguere l’insorgenza di eventuali focolai epidemici;

relativamente al ripopolamento delle aziende in cui sono stati riscontrati focolai, non risulta opportuno sollevare allarmismi;

se solo si volesse considerare la normale fisiologia della specie, in Italia sono presenti circa 400.000 capi di cui circa il 60 per cento sono soggetti adulti e, in considerazione del tasso di fertilità e dell’incidenza della mortalità neonatale, nascono circa 76.000 vitelle;

considerato che:

la selezione genetica della Bufala di razza mediterranea italiana e il sistema adottato fino ad oggi hanno rappresentato il fiore all’occhiello della zootecnia italiana e bufalina in particolare, favorendo la crescita della produzione pro-capite e avviando in maniera efficiente processi di selezione utili alla crescita della mandria;

nel mese di dicembre 2018 è stato approvato dall’Associazione nazionale allevatori specie bufalina il nuovo “Indice bufala mediterranea italiana”, che include, nei processi selettivi, due parametri economici importanti quali la resa e la longevità, ottenuta attraverso l’inserimento di dati morfologici;

allo stesso momento la Ricerca innovazione e selezione per la bufala, riconosciuta dal MiPAAF,  prima come struttura per la gestione del Libro genealogico della bufala mediterranea italiana in base alla legge n. 30 del 1991 e sue modifiche ed integrazioni e, successivamente, con l’entrata in vigore del decreto legislativo n. 52 del 2018, come ente selezionatore, ha messo a punto l’indice di profittabilità, in cui rientrano parametri relativi ai dati produttivi ed all’efficienza riproduttiva, e sta mettendo in atto interventi di selezione legati al cosiddetto “Fattore gamma” non definito scientificamente,  che aumenterebbe in maniera consistente la produttività delle bufale allevate; sarebbe importante superare la presenza di molteplici approcci non coerenti e tendere a creare un unico indice genetico da adottare per l’intera popolazione bufalina e utile alla salvaguardia del patrimonio nazionale;

è necessario che i fattori utilizzati nei processi di selezione genetica si basino su validi ed evidenti riscontri scientifici, condivisibili e ripetibili, tutto ciò in attesa della messa a punto della genomica a cui è necessario implementare le risorse messe a disposizione;

la tracciabilità del latte bufalino emanata con il decreto ministeriale 9 settembre 2014, in cui vengono riportate le disposizioni nazionali per la rilevazione della produzione di latte di bufala e dei prodotti trasformati derivanti dall’utilizzo del latte bufalino, istituendo la Piattaforma informatica “Tracciabilità della filiera bufalina” gestita, in cooperazione applicativa, dal SIAN (Sistema Agricolo Informativo Nazionale) e dall’Istituto zooprofilattico sperimentale del Mezzogiorno, ha rappresentato un volano per la crescita commerciale del latte di bufala e per l’aumento del prezzo alla stalla: nonostante ciò i risultati sono ancora parziali e non soddisfacenti;

tale situazione è probabilmente legata ad una insufficiente dotazione di risorse destinata a tale filiera, nonostante gli sforzi economici dell’Istituto Zoprofilattico Sperimentale del Mezzogiorno di Portici investiti negli anni dalla regione Campania;

il suddetto sistema rappresenta una fase operativa utile a favorire lo sviluppo dell’intera filiera bufalina e pertanto dovrebbe essere implementato attraverso:

a) il recupero di maggiori risorse ad esso dedicato;

b) l’interfaccia del sistema IZSM con i sistemi informatici in mungitura, dai quali dovrebbe provenire il flusso dei dati in modo più semplice e repentino;

c) il rilascio condizionato della certificazione prevista dal decreto del Presidente della Repubblica 14 gennaio 1997, n. 54, al pieno adempimento degli oneri relativi al sistema della tracciabilità;

d) sanzioni più specifiche e puntuali per gli attori della filiera che non eseguano la tracciabilità, che viene garantita anche attraverso l’impiego della tecnologia fornita dalle piattaforme informatiche di blockchain;

tenuto conto che:

gli allevamenti sono imputati di impatto ambientale per diverse cause, ma uno dei problemi più sentiti è la gestione degli effluenti zootecnici;

la modifica delle tecniche di allevamento verificatasi negli ultimi 40 anni ha determinato una “intensivizzazione” dei sistemi zootecnici, con conseguente maggiore concentrazione di animali in alcune aree o zone;

il sempre maggior utilizzo di acqua per far fronte alle mutate condizioni di allevamento ha provocato una riduzione della produzione di letame, ed un incremento della produzione di liquame; ciò ha comportato un effetto impattante delle deiezioni, legato sia all’inquinamento azotato delle falde acquifere, sia a quello atmosferico per la liberazione di protossido di azoto durante le fasi di maturazione dei liquami;

l’aumento delle concimazioni azotate rispetto al fabbisogno delle colture incrementa notevolmente la quantità di nitrati nelle acque e negli alimenti, così come una cattiva gestione dei reflui di allevamento o di quelli civili possono, attraverso fenomeni di lisciviazione, essere responsabili dell’incremento dei nitrati nelle acque superficiali e profonde;

per i suddetti motivi e per evitare un peggioramento della qualità delle acque profonde e un aumento dell’eutrofizzazione dei corsi d’acqua superficiale, la regione Campania ha approvato la nuova normativa sui nitrati di origine agricola attraverso la delibera della Giunta regionale n. 762 del 5 dicembre 2017 per affrontare e contenere livelli allarmanti di inquinamento dei corsi d’acqua con il conseguente aumento delle superfici vulnerabili ai nitrati di origine agricola;

impegna il Governo:

1)     a promuovere la costituzione di consorzi e/o cooperative che possano gestire anche in maniera consortile gli effluenti di allevamento, consentendone una valorizzazione ed una migliore utilizzazione agronomica;

2)     a valutare l’opportunità di attivare un tavolo tecnico coinvolgendo il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ed il Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, per definire un Piano finalizzato ad affrontare e gestire la problematica dei reflui in regione Campania, dove è allevato circa l’80 per cento dell’intero patrimonio bufalino;

3)     a valutare, in accordo con la regione Campania e nel rispetto delle indicazioni contenute nella risoluzione approvata all’unanimità dalle Commissioni riunite 9a  e 13a il 6 agosto 2019 sui “nitrati di origine agricola, anche con riferimento alla situazione in Campania oggetto della deliberazione della Giunta regionale n. 762 del 5 dicembre 2017 (n. 93)”, la implementazione di azioni, strumenti e norme finalizzate a rendere armonicamente sostenibile socialmente, ambientalmente ed economicamente la salvaguardia e le prospettive del comparto bufalino con la vita e le aspettative del territorio e delle comunità a cui lega la sua storia;

4)     a valutare la possibilità di istituire un tavolo con il coinvolgimento del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, del Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare e della regione Campania, per favorire e rafforzare il risanamento e lo sviluppo della filiera bufalina nelle diverse criticità, in particolare:

a) valutando, nel rispetto della normativa dell’Unione europea e previa verifica della copertura finanziaria dei maggior oneri, forme di ristoro relativo al mancato reddito in seguito all’abbattimento in relazione al numero di capi abbattuti, 6 per cento dell’intero patrimonio bufalino nel primo anno, prevedendo negli anni successivi come conseguenza delle attività di profilassi una riduzione del numero di capi da abbattere;

b) valutando interventi a favore dell’applicazione delle misure di biosicurezza nelle aziende in cui sono state diagnosticate Brucellosi e/o Tubercolosi. Infatti, l’applicazione di idonee misure di biosicurezza dettate e verificate dal Servizio sanitario nazionale, unitamente alla ottimizzazione dei tempi di prelievo e di erogazione dei provvedimenti, rappresentano attualmente misure utili a ridurre ed eliminare la presenza delle patologie dal territorio;

c) nel rispetto della normativa dell’Unione europea e previa verifica della copertura finanziaria dei maggior oneri,  coinvolgendo attivamente gli allevatori nella predisposizione di misure di biosicurezza al fine di assicurare l’espletamento e il successo dei Piani di eradicazione, per il tramite di una corretta gestione aziendale prevedendo aiuti economici, supporto tecnico-scientifico e promuovendo l’adozione di buone pratiche per la gestione sostenibile del sistema produttivo sia per la sicurezza animale che ambientale;

d) migliorando la implementazione della “Tracciabilità della filiera lattiero casearia, che rappresenta un volano per la crescita economica dell’intera filiera; ciò potrà avvenire attraverso l’ottimizzazione del sistema strettamente legato all’apporto economico, al fine di consentire un accurato monitoraggio del latte e delle produzioni lattiero-casearie, anche con riferimento alle importazioni di latte dall’estero, favorendo al riguardo la pubblicazione dei dati relativi ai flussi commerciali di latte e dei prodotti lattiero caseari provenienti da Paesi non aderenti all’Unione europea ovvero oggetto di scambio intracomunitario;

e) rafforzando la selezione genetica della bufala di razza mediterranea italiana che rappresenta un volano per la crescita del settore, valutando la possibilità di incrementare le risorse nazionali destinate al comparto (le misure nazionali ci sono già e non sono utilizzate per carenze organizzative del comparto) e verificando anche la possibilità di inserire per questo comparto forme di finanziamento nei pagamenti accoppiati di cui all’articolo 52, Reg. 1307/2013 della nuova programmazione PAC.