Una vecchia storia cominciata nel 1861

Aurelio Di Matteo

 Il Nord, in particolare il Piemonte e la Liguria con in testa i rispettivi Governatori, scendono in piazza a Torino. Sembra il vecchio Regno dei Savoia con l’aggiunta di altri sostenitori sparsi nel resto della Padania. Una manifestazione, dalla quale, a leggere ciò che scrisse il Fatto quotidiano il 19 luglio 2016, non si escluderebbe l’ingerenza, attraverso il movimento Sì Tav, della ‘ndrangheta e, in particolare, della cosca Raso-Gullace-Albanese originaria di Cittanova (Reggio Calabria) ma da anni operante in Liguria.  Si tratterebbe del progetto di contrastare il movimento No Tav grazie, fra l’altro, ai rapporti politici proprio con un consigliere comunale Pdl di Novi Ligure. A tal proposito riportò le parole esplicite del Procuratore aggiunto di Reggio Calabria, Gaetano Paci, che in una conferenza stampa non fece giri di parole e la definì una “strategia mediatica raffinata”. “Dalle intercettazioni – aggiunse il magistrato – rileviamo l’interesse degli imprenditori prestanome della cosca a sostenere finanziariamente il movimento Si Tav per creare nell’opinione pubblica un orientamento favorevole per quell’opera”.

Ciò che risalta di più in questa manifestazione, e fa sorgere qualche conferma delle finalità di scelte politiche che rinviano alle politiche nordiste del post unità d’Italia, è la costatazione che la manifestazione ha messo insieme Lega, PD e quel che resta di Forza Italia. Tre forze politiche che con diversa consistenza sono presenti ormai solo al Nord, mentre il SUD è dominato dai 5 Stelle, contrari alla realizzazione di quest’opera e non a quelle riguardanti il Mezzogiorno. Perché tutti insieme appassionatamente?

Si tratta in verità di questo, di una corsa ad uno “scampolo” di miliardi – secondo i suoi sostenitori dovrebbero assommare a circa 10 miliardi, ma a 17 secondo le realistiche stime di molti tecnici – che o peserebbe non sull’Europa ma tutto sul debito pubblico, poiché nelle casse dello Stato non esiste una tale entità di risorse. È questo il costo ipotizzato per realizzare una linea ferroviaria, impropriamente chiamata di Alta Velocità, per collegare Torino e Lione.

E perché questo scampolo di miliardi non è da destinare ad ammodernare le strutture del SUD, molte delle quali risalgono ai Borboni, o a farne delle nuove, essenziali non solo per creare lavoro ma soprattutto le condizioni strutturali per attrarre investimenti e promuovere sviluppo?

Magari portare a termine la Napoli-Bari – questa sì TAV – quale collegamento Istmico che già la Magna Grecia aveva realizzato quale struttura viaria strategica?

Quest’anno la “terrona” Matera è Capitale europea della cultura, con quale collegamento ferroviario sarà raggiungibile? E non parliamo dei collegamenti stradali: solo chi non ha mai visitata questa città potrà chiamarli adeguati per i tempi di percorrenza e per le condizioni in cui versano.

Non sarebbe più funzionale destinare quella cifra per realizzare linee ferroviarie nel Mezzogiorno e consentire anche ai “terroni” della Calabria o della Sicilia di raggiungere Torino o Milano almeno in 6/7 ore anziché nell’attuali 10/11? Quei miliardi, e non pochi questa volta, si pretende che siano spesi per bucare una montagna e realizzare un tunnel lungo 57 chilometri circa, un tunnel per una “linea mista ferroviaria con specifiche tecniche d’interoperabilità”, che nella più fiduciosa previsione consentirebbe una linea ferroviaria ad alta velocità non certo dai 260 ai 300 Km/h, velocità standard come le altre, ma al massimo di 180 Km per i passeggieri. Peggio se si considera lo scopo primario, quello per velocizzare il trasporto merci e consentire in tal modo “lo sviluppo economico” di un’Italia in crisi. In tale caso la velocità possibile del treno cosiddetto TAV non potrebbe superare i 120 Km/h, come dimostrano le velocità su linee simili in tunnel in esercizio in Austria. A ben vedere il termine “alta velocità” non figura negli atti UE di pertinenza, né negli accordi italo-francesi del periodo 2012-2016.

Senza considerare che una finalità economica “tanto urgente”, sempre ad ascoltare i suoi nordici trasversali fautori leghisti-piddini-forzisti, farebbe sentire i suoi effetti nella migliore ipotesi negli anni 2040! Quando, forse, le merci viaggeranno con il teletrasporto!

Con buona pace di chi sostiene il contrario, questa ipotesi del completamento dell’opera negli anni 2040 risulta già generosa e ottimistica al solo costatare i tempi che sono occorsi fino ad ora e i tempi con cui si realizzano le opere nelle cosiddette seconda e terza Repubblica. Nella vituperata prima Repubblica, la posa della “prima pietra” dell’autostrada A1 avvenne nel 1956. L’opera completa, che contava centinaia di tunnel e di chilometri, fu inaugurata da Aldo Moro nel 1963, dopo soli sette anni! Qui siamo di fronte ad un’opera della quale fu detto che i lavori sarebbero iniziati nel 1996! Allo stato sono iniziati, con spese di alcuni miliardi di euro, soltanto i sondaggi di esplorazione per verificare la fattibilità tecnica delle perforazioni della montagna. Siamo quasi ai 25 anni, e vuoi che non si festeggi il cinquantesimo?

L’analisi costi benefici sembra propendere per il no.  Tanto che il nordista leghista Salvini, facendo eco al sabaudo piddino Chiamparino, ha invocato il referendum. Proprio così!

Con il referendum sarebbe il solo Piemonte (ex Regno Sabaudo) a stabilire dove spendere un debito di Bilancio di 10/17 miliardi. Una evidente proposta di per sé rivelatrice delle finalità politiche che animano coloro che si sono ritrovati nella piazza di Torino.

Indipendentemente dalle risultanze dell’analisi costi-benefici, bisogna valutare l’opera non soltanto dal punto di vista tecnico, ma da quello delle ricadute economico-sociali, con riferimento alla situazione complessiva delle strutture di comunicazione esistenti nel Paese. La disarticolazione e le notevoli differenze che si riscontrano sull’intero territorio nazionale sono state, e sono, il più grosso e determinante ostacolo al riequilibrio tra lo sviluppo socio-economico del Meridione. Sono lo stesso squilibrio e sviluppo disomogeneo creati dalla politica messa in piedi dal piemontese Cavour all’indomani dell’unità d’Italia e proseguita da suoi successori con l’acquiescenza dei politici meridionali, anche quando essi ricoprivano le più alte cariche istituzionali. Sarà così anche oggi che, come con spregio titolava in prima pagina un quotidiano nordista, tre “terroni” ricoprono le alte cariche dello Stato? Sulla Torino-Lione fu la prima e unica volta, e un po’ me ne vergogno, che concordai con quanto affermava Renzi nel 2013: Non credo a quei movimenti di protesta che considerano dannose iniziative come la Torino-Lione. Per me è quasi peggio: non sono dannose, sono inutili. Sono soldi impiegati male». Io, invece, non ho cambiato idea: opera inutile per lo sviluppo economico del Paese; soltanto sperpero di denaro e una bandiera di parte per impoverire il Sud e debilitare politicamente chi ne è espressione.