Totalitarismo, Fondamentalismo e Sovranismo

  Aurelio Di Matteo

Tre risposte sbagliate ad un problema vero. E le concrete cause non comprese o volutamente elargite per non dire le cose come stanno veramente. A quelle risposte se ne aggiunge un’altra, figlia della seconda, la più devastante per le vite umane e soprattutto per le conseguenze sulla tenuta del tessuto sociale. Il terrorismo da sempre ha segnato il cammino della storia, dai “sicari” palestinesi contro l’occupazione romana, al terrorismo di Stato dei Turchi o dei Mongoli, alla bomba di Pietro Micca, al terrorismo Giacobino, a quello anarchico russo, ai seriali dirottamenti aerei, ai Boeing lanciati contro le Torri gemelle, per finire alle bombe umane, anche infantili. Strategie e modalità diverse unite da una costante: espressione di una “disapprovazione” declinata in varie modalità di lotta. E sempre un’ideologia che la sostiene e la motiva: l’altro da sé da abbattere quale nemico portatore di un’identità – etica, sociale, politica – diversa dalla mia e che, in quanto tale, va negata ed annientata.

Alla base ciò che accomuna le forme di terrorismo è l’ideologia della sovranità in assoluto, della “mia” sovranità, l’ideologia del fondamentalismo, e quella del totalitarismo. Fu l’autorevole filosofa Hannah Arendt, alcuni anni fa, a teorizzare l’analogia tra terrorismo e sistemi totalitari. A ben guardare gli elementi distintivi del totalitarismo sono l’ideologia e l’uso del terrore, la negazione di ogni possibilità di dissenso, di discussione e anche di colloquio, una ideologia che si pone come assoluta e vuole imporsi come regolatrice del costume e della morale in ogni settore della società e in ogni dimensione nella vita quotidiana. Ed è questo il motivo per cui il terrorismo appartiene alla storia e ricomparirà periodicamente in forme diverse e non immaginabili prima che si manifestino. In ogni caso si accompagneranno sempre ad ideologie sostanzialmente totalitarie, le quali a loro volta saranno sempre nuove, siano esse propagandate da uno Stato, da una Religione, da un Gruppo socio-politico, da un Movimento, ecc. Abbiamo assistito da poco alla sconfitta territoriale dell’ISIS, ma il terrorismo non è certo finito, insieme al fondamentalismo etico-politico-religioso. Ciò che sta avvenendo in Medio-oriente e in Africa, presagisce nuove forme e nuovi scenari di azione. Di esso, inoltre, si ha una concezione errata caratterizzandolo con assoluta disapprovazione e riducendolo alla sola dimensione etica. È, invece, una diversità tecnica di lotta violenta – del suddito e del potere – né più né meno violenta di altre forme nelle quali si esprime una società che calpesta il principio fondamentale della giustizia sociale e dell’uguaglianza distributiva del plus valore. E perciò il terrorismo è appartenuto ed apparterrà sempre alla storia.

In ogni caso e qualunque forma assumano, terrorismo, fondamentalismo e sovranismo sono risposte errate a un problema vero, la cui soluzione è stata cercata e offerta con motivazioni e cause, diffuse e propagandate in ogni modo, fatte proprie dalla quasi totalità degli intellettuali di tutte le aree culturali.

Sono ancora vivi i ricordi delle grandi e violente manifestazioni contro i vertici dei “grandi della Terra”! Manifestazioni anti-globalizzazione! Ma la globalizzazione come causa di ingiustizia sociale, di redistribuzione disuguale della ricchezza e, quindi, come motivazione dell’azione terroristica, è la banalizzazione di un fenomeno buono per scalate politiche che prospettano un ritorno al passato come panacea per migliorare le condizioni di vita dei disagiati sociali. E si dimentica che il processo di globalizzazione ha accompagnato il cammino stesso della storia, dalle grandi migrazioni di popoli nei continenti africani e asiatici alla commercialmente strutturata Via della Seta dell’Impero cinese, dall’inizio dei Viaggi oceanici alla diffusione del processo di industrializzazione occidentale dell’Ottocento dopo il sogno napoleonico. Continuo processo di globalizzazione in forme diverse: oggi non più materico, ma virtuale, in cui si trasferiscono tra territori lontani, non tanto merci, ma idee, progetti, centri di produzioni e soprattutto capitale finanziario. E il vecchio confine nazionale appare come la soluzione, in forma di Sovranismo; ma sostanzialmente tende alla chiusura verso l’altro da sé visto come il suo nemico competitore da lottare. Una difesa molto istintuale senza alcun retroterra culturale ed ideologico, anche molto lontano dall’antico nazionalismo pur sempre portatore di valori. Esso non è altro che istintiva reazione che, per concretizzarsi, si traduce in accentramento statalista delle decisioni, che a sua volta determina le tendenze e i risentimenti localistici. L’odierna organizzazione statale, a differenza dei vecchi Stati, oscilla in tal modo tra un nuovo dispotismo e una progressiva disgregazione.

Ed è qui la possibilità di una deriva totalitaria del sovranismo.

L’avversione alla globalizzazione – altra falsificante motivazione – si personalizza negli Stati Uniti ritenuti i “colpevoli” di quanto di male avviene nel mondo, soprattutto arabo e asiatico. A queste due cause si aggiunge una terza, il fondamentalismo religioso arabo. Ed esso non spiega alcunché essendo non anti globalizzazione, non anti capitalista, non anti tecnologia moderna, ma soltanto negatore della vita e della libertà della persona. In tal modo sostanzialmente una ideologia nichilista che fa tutt’uno con ogni forma di totalitarismo etico-politico.

E allora? Se queste non sono cause e motivazioni reali, se queste non sono risposte adeguate, come risolvere il vero problema della globalizzazione del Capitale finanziario che determina sempre più una vergognosa disuguaglianza dei beni, un’insopportabile ingiustizia sociale, un progressivo e inarrestabile divario tra ricchi e poveri, finte democrazie e sudditanza della politica al potere monetario.

Come si sono globalizzati la “finanza” e il “capitale”, allo stesso modo deve globalizzarsi la politica “alternativa”, sulla base dei sempre validi principi del “comune”, quelli che mossero utopie e lotte sociali, aggiornati alle nuove strategie che le odierne forme di potere richiedono. È un salto di qualità e di quantità al quale è chiamata la politica, uno sguardo oltre ogni confine territoriale, culturale e religioso, una condivisione di lotte globali per una mondializzazione di moltitudini costituenti. E forse l’impolitico e disarmato Francesco ne sta dando un esempio.