Trump, Le Pen e compagnia

Amedeo Tesauro

Di fronte alla minaccia terroristica quale via scegliere? Donald Trump non esita, l’ultima sua sparata va al sodo: chiudere ai musulmani le frontiere U.S.A. E chiudere Internet, se Bill Gates è a disposizione, così da evitare l’odio che si propaga attraverso la Rete. Puntuali le reazioni del resto della scena politica, critiche dai democratici ma anche da tutto il fronte repubblicano, perché malgrado i proclami la chiusura totale al territorio agli esponenti di un’intera religione è troppo. Normalmente basterebbe per affondare una campagna, normalmente. Ma Donald Trump è tutto fuorché normale, la sua cavalcata politica è indefinibile: paragonabile a Ross Perot, il miliardario che provò a scardinare il bipartitismo americano negli anni ’90? Perot correva da indipendente, appunto, Trump invece corre per la nomination dei Repubblicani per quanto pesi all’establishment di quest’ultimi, e se si candidasse da indipendente affonderebbe la campagna di qualunque candidato repubblicano, regalando la vittoria a Hillary Clinton. Paragonabile a Silvio Berlusconi, altro magnate delle telecomunicazioni sceso in politica? Non del tutto, considerando come il Cavaliere andasse a colmare il vuoto post Tangentopoli lasciato dalle forze che avevano dominato il decennio precedente, accorpando una coalizione politica del tutto inedita. Trump fa caso a sé, dunque, schietto dispensatore di gaffe ricercate, verità senza retorica direbbe lui, boutade razziste e improponibili direbbero altri. Eppure i sondaggi lo danno ancora in testa, col vento favorevole. Con lui le critiche normali non funzionano, anche se vere esse divengono nulla più che macchinazioni e complotti degli avversari, mentre Trump predica senza ritegno le sue verità distorte (come risolvere il problema terroristico incrementando la diffusione di armi, giusto per rimanere alle ultime cose). C’è tuttavia, da parte degli avversari una tendenza a sottovalutare le istanze di base dietro certi fenomeni. Vale negli Stati Uniti ma anche in Europa quando si parla dei vari Le Pen, Farage, Salvini (e in parte anche Grillo), esorcizzando i loro movimenti e perciò finendo per sottovalutare le problematiche su cui si interrogano e a cui rispondono poi con disarmante semplicità. Innanzitutto facendo di tutta l’erba un fascio, ignorando le specificità di ogni esperienza e associandole per presunta vicinanza: se ciò è utile in analisi generali, fallisce quando si entra nei dettagli, rendendo la critica meno forte. In secondo luogo le risposte alle domande: il terrorismo, la globalizzazione, ma anche il lavoro, la politica, la conflittualità sociale, questioni complesse a cui certi movimenti danno risposte, per quante ingenue esse possono sembrare. La risposta del mondo moderato qual è? Ma soprattutto funziona? Lo svantaggio di chi governa è dover fare i conti con l’efficacia dei propri provvedimenti, il vantaggio di chi sta all’opposizione è che tutte le sue ricette sono buone finché non vengono smentite. L’apparato di potere occidentale pare stanco, incapace di opporsi alle problematiche del mondo attuale, senza soluzioni; di fronte alla fiacchezza di molte istituzioni chi fa la voce grossa l’ha vinta. Certo, Trump pare spararle troppo grosse, senza contare che anche vincesse la nomination repubblicana dovrebbe poi concorrere alle nazionali rivolgendosi non a un bacino d’utenza specifico, quello repubblicano, ma all’intero popolo americano. Eppur tuttavia non bisogna sottovalutare, negli Stati Uniti come altrove, il sentimento di disagio che sottostà al consenso di certi personaggi. Trump, Le Pen e compagnia potranno anche non governare nel prossimo futuro, ma ciò che rappresenta la loro esperienza politica va oltre i risultati elettorali.