La costante delle nostre vite

Amedeo Tesauro

Chi ha acceso la TV nella mattinata di mercoledì si è ritrovato immediatamente coinvolto in una scena tante volte vista al cinema o sul piccolo schermo, un blitz contro dei terroristi in una location come Parigi, unica e irreplicabile. Ma non era un film, si trattava del blitz a Saint Denis condotto dalla polizia francese, un lungo assedio prolungatosi per ore che ha portato a sette arresti e due morti (una donna si è fatta saltare in aria). Chi si è sintonizzato alla TV o ha ascoltato la radio è stato catapultato nel mezzo di una routine di guerra, del resto la Francia è in guerra come ripete il suo presidente Françoise Hollande. A questo bisogna abituarsi? Sono state spesi fiumi di parole in questi giorni per spiegare che no, da oggi niente è più come prima, da oggi il terrorismo ci ha colpito nel petto, nel cuore dell’Europa, da oggi tutto cambia. Bisogna fare il callo a scene di ordinaria guerriglia, ai blitz nel mezzo delle capitali europee all’alba, ma soprattutto abituarsi all’idea che una cieca sciagura incombe e potrebbe colpire chiunque, ovunque e in qualunque momento? Ovvero assuefarsi all’idea di essere vulnerabili, bersagli allo stadio, al ristorante o a un concerto, oppure viceversa reagire e continuare a vivere evitando di cadere nella paranoia indotta dal terrore. Poiché si sa, chi non terrorizza si ammala di terrore, come cantava Fabrizio De André tratteggiando il ritratto di un’altra epoca, quella degli anni di piombo italiani, quando la nostra società era la più politicizzata d’Europa e ogni cosa si colorava di tinte forti, rosse o nere. Un’epoca in cui la gente comune era stata costretta a accettare l’imprevisto, la casualità, il terrore pronto a materializzarsi, la quotidianità di giovani militanti di questa o quella fede caduti in battaglia. Era l’epoca del nostro terrore, mentre su scala globale Stati Uniti e Unione Sovietica davano vita alla guerra fredda, una battaglia non combattuta direttamente ma sentita, percepita, temuta. Basta recuperare un film, uno sceneggiato, un libro del tempo e cogliere l’aria che si respirava, quella contrapposizione tra due mondi che divideva nettamente gli uni dagli altri, e quel muro a Berlino a esemplificare visivamente la separazione, fisica e ideale. Eventi, circostanze, lotte geopolitiche che hanno caratterizzato le rispettive epoche, costanti su grande scala che fanno da sfondo alle esistenze degli individui comuni che stanno a guardare e a subirne le conseguenze. Alle generazioni precedenti era andata perfino peggio, c’erano state due guerre mondiali, e buona parte di quelle generazioni non era più tornata. Oggigiorno, invece, le circostanze storiche che caratterizzano la nostra epoca sono quelle dello scontro tra civiltà, inteso in senso ampio e non solo circoscritto alla lotta al terrorismo. Esiste l’ISIS così come prima era esistita Al Qaeda, ma esiste anche il tema più ampio dei rapporti tra l’Occidente e il resto del mondo, quello islamico ma non solo, l’emergere di nuovi colossi come la Cina non appartenenti al nostro universo culturale, i rapporti con la Russia, le mille questioni legate a un continente come l’Africa, tutte tematiche che impongono una riflessione critica sull’operato di ciò che definiamo Occidente. La grande costante che accompagnerà le nostre vite d’ora in poi non è il terrore in sé, esso era già entrato nelle nostre esistenze l’undici settembre del 2001, l’avevamo sperimentato anche in Europa a Madrid nel 2004 o a Londra nel 2005, eppur si è continuato a vivere. La grande costante è la sfida nel ripensare gli equilibri in un mondo che mai come ora era apparso così piccolo.