“La scopa del sistema”

 Angelo Cennamo 

Sono pochi gli autori capaci di lasciare un’impronta riconoscibile nella letteratura. “Alla ricerca del tempo perduto” di Marcel Proust; “Madame Bovary” di Gustave Flaubert; “On the road” di Jack Kerouac sono alcune delle opere che hanno segnato più di ogni altra la narrativa mondiale e rimesso in discussione schemi, strutture, punteggiatura e linguaggi precedenti. Nel 1987, uno studente universitario di Ithaca, poco più che ventenne, rielaborò la propria tesi di laurea in filosofia e ne fece un romanzo destinato in breve tempo a tracciare un solco profondo nella tradizione della prosa americana. Quel ragazzo si chiamava David Foster Wallace. Di lì a poco sarebbe diventato uno degli scrittori più originali, coraggiosi ed innovativi della sua generazione, e subito dopo la morte per suicidio, a soli 46 anni, una vera e propria figura di culto. Definire lo stile di  Foster Wallace è complicato anche per un linguista arguto come Stefano Batterzaghi, che del suo romanzo di esordio ha curato la prefazione italiana per conto della Einaudi. Dire che Wallace è uno scrittore post moderno è banale e riduttivo: Wallace è oltre il post-moderno, è post qualunque genere. Le sue opere sono scioccanti: disorientano, ci lasciano perplessi, dubbiosi e senza fiato anche per la fatica della lettura. Dopo aver “assorbito” i libri di Foster Wallace ogni altro romanzo rischia di sembrarci obsoleto, lento e tedioso, specialmente se italiano e contemporaneo. Dunque Wallace va annoverato, con pieno merito,  tra quegli scrittori che la letteratura l’hanno cambiata, stravolta e innovata. “La scopa del sistema” racconta le avventure di Lenore, una ragazza fragile e insicura, che si mette alla ricerca della bisnonna novantenne ( ultima allieva del filosofo Wittggenstein) fuggita misteriosamente dalla casa di riposo insieme ad altri 25 coetanei ed infermieri. Tutto quello che accade nelle 575 pagine del romanzo: la difficile relazione tra Lenore e l’ultraquarantenne Rick, conosciuto dallo psicanalista; la popolarità di Vlad l’impalatore, l’uccellino che recita sermoni religiosi su una Tv via cavo, e i problemi di tossicodipendenza del fratello minore di Lenore,  non fa che da sfondo al vero contenuto della trama:  l’assenza della bisnonna filosofa.  Quel vuoto così indecifrabile, misterioso e incombente su ogni altra vicende diventa il vero protagonista della storia. Qui si vede il genio dell’autore: Wallace trasforma un personaggio mai visto e sentito per l’intero svolgimento del romanzo nel protagonista assoluto del racconto. “La scopa del sistema” è un libro comico, filosofico, a tratti psichiatrico. David Foster Wallace lo ha scritto come nessun altro prima di lui avrebbe mai immaginato di poterlo raccontare:  con una struttura bislacca, discontinua, non lineare e con una punteggiatura discutibile. La sua lettura richiede un grande sforzo di concentrazione anche per i continui richiami agli studi filosofici della bisnonna scomparsa: aporie, antinomie e messaggi cifrati che arricchiscono la storia di fascino e di mistero. Prima di avventurarsi nella lettura di Foster  Wallace sarebbe consigliabile un lungo tirocinio di tipo “franziano” o “eugenidesiano” – Franzen ed Eugenides sono forse gli scrittori che somigliano di più a Wallace – per non sciupare la comprensione e il godimento dei pochi (ahimè) capolavori  che il talentuoso David ci ha lasciato, e liquidarli con severa ingratitudine come dei mattoni indigeribili.