Il Mediterraneo: quale futuro?

Giuseppe Lembo

Il Terzo Millennio è un tempo completamente diverso rispetto a quel ventesimo secolo del Secondo Millennio che è in NOI tutti ormai e solo passato; che è ormai parte  della nostra storia da ben considerare per costruire intelligentemente le possibili e necessarie certezze del nostro futuro; un futuro necessariamente diverso rispetto sia al passato che al nostro presente. Che fare per pensare al futuro, garantendo così com’è necessario, quel mondo di incertezze delle nuove generazioni che, confusamente non sanno pensare positivo e trovare le soluzioni possibili ai tanti problemi che devono affrontare e quindi risolvere nella necessaria prospettiva del loro futuro?

Prima di tutto, affidandomi all’ottimismo della ragione, c’è da essere positivi; c’è da pensare positivo, appellandosi a quel creativo spirito di italianità del fare che ha sempre funzionato e non ha mai tradito nessuno; c’è da spendersi in pensieri, idee ed azioni, concretamente positive.

L’Italia dei tempi difficili fa ormai parte di noi; dobbiamo affrontare le difficoltà e risolverle appellandoci alle nostre capacità ideative, creative, innovative, organizzative, per andare oltre il presente e costruire insieme quel nuovo modello di società del fare, così come richiesto dai tempi nuovi del Terzo Millennio, un’età dove l’uomo deve camminare insieme, confrontandosi positivamente con gli altri; adoperandosi in un fare globale, con soluzioni sempre più globalmente condivise; tanto, con tutta la forza della propria identità, della propria appartenenza e delle risorse disponibili, da utilizzare assolutamente al meglio.

L’Italia, pur avendo tante cose che proprio non funzionano, forte del suo dinamico passato, avrà certamente un ruolo importante anche nel futuro del Terzo Millennio, un tempo nuovo che si caratterizza negli scenari del mondo, per le sue profonde mutazioni genetiche e soprattutto per quella mondializzazione umana, per effetto della quale è finita come non mai, la stanzialità dei popoli della Terra, sempre più vicini, in una dimensione concretamente possibile di Società-mondo, in una Terra-Stato.

In questa nascente rivoluzionaria nuova condizione umana, niente è e sarà come prima.

Anche le vecchie dimensioni dell’attuale organizzazione degli Stati, avranno di necessità, confini più aperti ad una nuova visione dello stare insieme sulla Terra.

Per mutare le realtà storicamente determinate, è assolutamente necessario partire dai propri assetti umani e territoriali; tanto, nel contesto più generale dei territori confinanti, da mettere il più possibile insieme, individuandone tutti quei fattori di utilità comune, per azioni condivise funzionali alla soluzione delle problematiche che, se risolte, vanno nella direzione giusta dell’interesse comune, dando migliori e più certe condizioni di vita per tutti, nessuno escluso.

Negli scenari italiani che, molto da vicino ed in modo coinvolgente riguardano il futuro italiano, in primo piano c’è, come non mai prima, il mare nostrum, un mare che, così come appare, è per noi pieno di guai.

Un mare di confine con cui è urgentemente necessario trovare la migliore convivenza possibile, con un forte ruolo italiano al centro delle decisioni e delle politiche del governo del tanto importante mare nostrum, un mare di civiltà, di speranza tradita e di morte, soprattutto oggi, con i tanti disperati della Terra che cercano di solcarlo, rischiando la propria vita, con la speranza disperata, di una vita migliore; di una vita umanamente migliore, così come è stato scritto nelle leggi, sempre più spesso tradite, che riguardano i diritti irrinunciabili per tutti gli uomini della Terra, con al primo posto il diritto alla vita.

Che fare, da italiani intelligenti, per rigenerare rigenerandoci, in quel mare nostrum con dall’altra parte, l’inquieta e sofferente Libia, da Gaetano Salvemini definita lo “scatolone di sabbia”? Uno scatolone, purtroppo, pieno di gravi sofferenze umane con i tanti che rischiano la morte sperando in una vita migliore; uno scatolone pieno di gravi problemi anche per noi, a rischio invasione incontrollata (Isis e senza Isis) che mette a dura prova il futuro italiano, assolutamente incapace di poter sopportare la tragica presenza di tanta umanità disperata, sempre più sola con se stessa e con quel male oscuro che si chiama povertà; che si chiama rifiuto della vita per gli ultimi della Terra che non hanno assolutamente diritto a niente.

La grande confusione vissuta anche da noi in questi giorni di gravi sofferenze sulle diverse sponde del Mediterraneo, proprio non promette niente di buono; soprattutto da noi è emerso un focoso spirito guerriero di un’invasione libica, senza alcuna prospettiva; con un’andata delle nostre risorse umane in un’operazione di guerra assolutamente pericolosa che non ne garantiva assolutamente il ritorno.

In tutta una settimana si è temuto il peggio; si è temuta un’avventura che poteva ulteriormente aggravare i già gravi mali italiani.

Dopo i tanti balletti di un tira e molla sullo scacchiere internazionale (ONU compreso), per prudenza, i potenti del mondo, hanno fatto da pompieri spegnendo tra l’altro anche il fuoco dell’interventismo italiano così come espresso dai nostri Ministri degli esteri e della Difesa, Gentiloni e  Pinotti.

Il Mediterraneo è una pericolosa polveriera; una polveriera che è pronta ad esplodere per la presenza sempre più aggressiva dell’Isis e delle tante popolazioni abbandonate a se stesse, che preferiscono rischiare la propria vita piuttosto che subire la disumana aggressione di stragisti fanaticamente impegnati a farsi valere, con atti di un’offensiva fondamentalista disumanamente violenta e sempre più spesso tendente all’annullamento anche di innocenti comunque scomodi, da eliminare.

Il Mediterraneo, meglio conosciuto come Mare Nostrum deve necessariamente ed al più presto riprendere il suo ruolo centrale per la civiltà umana; il mondo, ha bisogno, tanto bisogno, della civiltà mediterranea.

Si tratta di una civiltà centrale per il cammino dei popoli della Terra. Per questo è assolutamente necessario ridare al Mediterraneo la sua forza di vivere; per questo è urgente cancellare le tragedie del mare; le tante tragedie che hanno il mare come tomba di tanti innocenti in fuga, solcando acque insicure, pronte ad inghiottirli, trascinandoli nelle acque gelide degli abissi marini.

Oggi, il futuro del mondo è sempre più incerto; è sempre più fatto di disumani compromessi con alla base non il valore della vita umana, ma altri fattori che hanno un valore superiore a tutti gli altri e si misurano soprattutto in denaro e potenza, la prima e più importante anima di questo nostro mondo umanamente infame, in quanto sempre più animato da egoistica disumanità assolutamente senza limiti.

Che fare per mettere ordine al disordine negli spazi propri del Mare Nostrum? Non possiamo assolutamente voltarci dall’altra parte, facendo finta di niente.

Sarebbe questo, un comportamento di un’enorme gravità; le intemperie mediterranee, sono anche parte di noi.

Non possiamo assolutamente fare finta di niente.

Dobbiamo affrontarle e da subito con quella saggezza e quel protagonismo italiano che non ci deve assolutamente mancare; dobbiamo trovare le soluzioni giuste con la convinzione che sbagliando, aggraviamo e non di poco i problemi di tutto il Mare Nostrum ed in particolare di quelli italiani, carichi sia del grave ed insostenibile peso di una emigrazione incontrollata, sia delle minacce folli dell’Isis che vuole coinvolgerci in una guerra di civiltà assolutamente inopportuna e senza senso, per cui da evitare, restituendo al mittente quelle minacce di terrore che vanno contro l’uomo, in quanto non si sa riconoscere l’umano diritto secondo il quale, sempre ed ovunque, la vita umana viene prima di tutto.

Penso, con queste riflessioni sul Mediterraneo e più in generale sulla sua gente, diversamente stratificata sia sul piano umano che dei valori d’insieme, di fermarmi qui.

Intanto che facevo queste attente riflessioni, sfogliando il giornale di oggi, “Il Corriere della Sera”, nell’inserto regionale per la Campania “Il Corriere del Mezzogiorno”, mi ha richiamato l’attenzione l’editoriale di prima pagina con continuazione alla pagina 10 dal titolo “Meridione senza Mediterraneo”.

Si trattava di un titolo interessante che, come ho ben capito prima ancora di leggerne i contenuti, aveva concreti riferimenti con questo mio scritto sul Mediterraneo.

E così, con la dovuta attenzione, mi sono dato alla lettura del pezzo che, tra l’altro, era uno scritto che rifletteva su di un’intervista di Franco Cassano dal titolo “Serve un ponte con l’Islam moderato”.

Pur condividendone il titolo, saggiamente positivo per il futuro italiano nel Mediterraneo, non mi soffermo ad argomentare più oltre, non avendo, tra l’altro, il testo della richiamata intervista che fa parte del pensiero di Biagio De Giovanni.

Ma in maniera assolutamente convinta e senza cedimenti, credo di poter dare ragione a Franco Cassano, non condividendo lo scetticismo di De Giovanni sulla necessità/possibilità di creare ponti di pace per il Mezzogiorno verso la sponda Sud del Mediterraneo.

La chiusura in tal senso di Biagio De Giovanni è assolutamente inopportuna.

L’Occidente, l’Italia compresa, una buona volta e per sempre, la devono smettere con il loro nefasto atteggiamento di guerrafondai in pantofole.

Non basta quanti danni abbiamo esportato nel triste corso della nostra storia, fatta di prevaricazioni e violenti sottomissioni? Ancora pensiamo di avere il diritto di appellarci al nostro ormai tramontato sogno di violenta sopraffazione? Sono tempi ormai passati; nel presente c’è altro.

C’è, nonostante le non poche difficoltà, la necessità di sostituire le armi con i granai e di costruire con saggezza quei ponti di pace che devono e finalmente unire in un inseparabile unicuum tutti i Sud del mondo, tendendo le mani, per azioni di pace, anche e soprattutto a quelli che oggi potrebbero rifiutarle per il solo fanatismo che cerca il riscatto attraverso il sangue; attraverso la violenza e la vendetta, il frutto di un odio infinito, che non porta da nessuna parte se non a sole azioni di distruzione e di morte.

Costruire ponti di pace, caro Biagio De Giovanni per noi dell’altra sponda del Mediterraneo, è un atto di convenienza, oltre che una vera e propria necessità; è prima ancora, un nostro dovere etico – morale.

Con la violenza non andremo da nessuna parte; certamente non saremo noi con i nostri arrugginiti e mal funzionanti cannoni, a fermare la folla dei disperati pronti ad invaderci; ancor meno riusciremo a vincere gli invadenti ed intolleranti fondamentalisti carichi di fondamentalismo contro la civiltà dei popoli.

Né gli uni, né gli altri si fermerebbero di fronte al nostro fare bellicoso.

Ebbene caro prof. De Giovanni, da nostalgico del sapere hegeliano, dico che ancora il Mediterraneo può essere la culla della civiltà mondiale.

Come fare? Utilizzando la saggezza dei suoi popoli; dei suoi popoli che devono saper ritrovare la via del dialogo; del confronto e della comune appartenenza.

Altro che armi! Altro che invasioni di questo o di quel popolo, con conseguenze devastanti su tutto lo scacchiere!

L’Italia, deve inventarsi un ruolo nuovo; un ruolo cerniera con quel Sud del Mediterraneo che, da pericoloso e minaccioso invasore, possa diventare attraverso il dialogo, il confronto, un mondo amico; un mondo con cui camminare insieme, costruendo insieme ponti di pace, così come sognati da Danilo Dolci, un testimone del nostro tempo, che ha dedicato tutto della sua vita alla pace.

De Giovanni considera impossibile il dialogo tra sordi. Si domanda e dice che da decenni ormai non ci sono interlocutori sulla costa Sud del Mediterraneo.

A questa affermazione rispondo che c’è sempre una prima volta nelle cose; c’è sempre una prima volta per cominciare.

È il tempo di cominciare; è tempo di cominciare a costruire ponti di pace, una necessità assoluta soprattutto per i Sud del mondo che non vogliono più oltre armi e veleni, ma … ponti di pace e … pane per i propri figli che muoiono di fame.

Ponti di pace anche per quelle realtà tribali, strumentalmente protagoniste di guerre inventate, con grande soddisfazione di quell’invadente perbenismo occidentale, attento alle risorse da rapinare, così come ben sanno fare le nostre teocratiche società dell’Occidente, impegnate ad accaparrarsi violentemente le ricchezze del mondo, concentrate sempre più nelle sole mani dei pochi.

Caro prof. De Giovanni, dobbiamo con umiltà e saggezza saperci riconsiderare. È diabolico, è veramente diabolico perseverare nel continuare a fare errori.

Dobbiamo con intelligenza e saggezza saperci riscattare, facendo diventare il nostro “mito intellettuale”, le nostre “grandi culture”, delle azioni antropologicamente positive, cancellando così le ipocrisie di quel falso antropologico che tanto male ci ha fatto ed ha fatto al mondo degli esclusi, assolutamente indifferente alle teocratiche società dell’Occidente, da sempre impegnato a sfruttare le sofferte realtà dei Sud del mondo.

È un dovere cambiare; è un dovere non più rinviabile, costruire ponti di pace. Tanto, è utile e necessario per fermare anche le potenze dell’intolleranza e la folla dei disperati sempre più ferocemente aggressivi e sempre più pronti ad invaderci, facendoci soprattutto come Italia inevitabilmente e senza appello, un male dalle proporzioni assolutamente imprevedibili.

L’Occidente, Italia compresa, deve smetterla di pensare più oltre a sogni egemonici sempre più proibiti; deve smetterla, tra l’altro, a pensare di esportare il suo modello di civiltà della democrazia e dei diritti.

L’Occidente e prima di tutto l’Italia, senza essere buonisti più di tanto, deve avvertire quell’aria nuova che da più parti si respira e che porta con sé l’universalità dell’impegno umano per un mondo nuovo.

Occorre che l’Italia prima e più degli altri, si attrezzi nel saggio ruolo di spegnimento dell’odio universale, purtroppo ancora fortemente presente e vivo in quelle forze distruttive che vedono l’Occidente e l’Italia, come un nemico da abbattere; tanto, perché rappresentano ai loro occhi, l’origine di una pericolosa e sempre più invadente disgregazione morale.

Bisogna tendere la mano e costruire insieme quei ponti di pace, senza i quali il futuro del mondo, sarà sempre più un futuro negato.

Occorre, con urgenza, intervenire a salvare i Sud del mondo.

Le armi da usare per questo salvataggio da cui dipende il futuro del mondo, non sono quelle dell’interventismo militare. Non sono assolutamente quelle, in quanto non risolverebbero niente.

Bisogna intervenire seminando i germi di una civiltà nuova, sviluppandola sulle basi di un mondo di pace; di un mondo che nessuno può pensare di raddrizzare con l’interventismo delle armi di distruzione e di morte e/o con l’orrore dei tagliagole che pretendono di colpire la modernità occidentale, fermandone con la violenza, la disgregazione morale.