Iconografia Angelica di San Francesco Saverio

don Marcello Stanzione

Nel compilare questo articolo su San Francesco Saverio sono debitore al professore Antonio Adinolfi, docente di lettere classiche al liceo classico “De Sanctis” di Salerno che ha trattato brillantemente tale tema nella sua relazione “Iconografia degli angeli dei sacerdoti” alla sesta edizione del convegno angelologico nazionale tenutosi a Campagna (SA)  presso l’abbazia di Santa Maria La Nova. Il santo nacque in Spagna nel 1506 e fattosi gesuita sotto l’impulso di Sant’Ignazio di Loyola che aveva fondato la Compagnia di Gesù anche come un formidabile esercito di missionari, partì per le Indie Orientali stabilendo il suo quartiere generale nell’isola di Goa. Percorse l’India, la Malacca e le Molucche. Penetrò in Giappone e si accingeva ad entrare in Cina, ma sfinito, a quarantasei anni morì in riva al mare. Aveva amministrato il battesimo a circa 30.00 catecumeni. La morte del sacerdote missionario gesuita Francesco Saverio  è stato un tema iconografico molto trattato, soprattutto dagli artisti del  Seicento e del  Settecento. Perché?  Perché il santo morì lontanissimo dall’Europa, assistito da Dio, in un luogo di quelli che si definiscono popolarmente “dimenticati da Dio”. Gli angeli che tutti i pittori hanno posto intorno a S. Francesco Saverio morente stanno ad indicare che non esistono posti “dimenticati da Dio” e che non è importante dove si muore ma se si muore assistiti da Dio. Missionario in Asia “convinto che soltanto l’evangelizzazione della Cina avrebbe assicurato al cristianesimo dell’ estremo Oriente una base sicura di espansione,  nell’autunno del  1552 approdò nell’isola di Sancian, da cui tentò di raggiungere Canton. Ma, ammalatosi, dopo circa dodici giorni morì nella notte tra il 2 e il 3 dicembre di quell’anno, in prossimità della spiaggia dell’isola davanti ad una capanna che si era costruito, confortato solo da un cristiano cinese”. La notizia suscitò molta emozione in Europa. Il  suo  corpo  fu tumulato a Goa, in India, dove fu trasportato ‑ incorrotto ‑ nel 1554 e dove ancora è.  Il suo braccio destro, con il quale aveva battezzato circa 30.000 pagani asiatici, traslato a Roma nel 1615, è ancor oggi venerato nella chiesa del Gesù. Il 12 marzo del 1622 fu proclamato santo insieme al beato Ignazio di Loyola, il fondatore dell’Ordine religioso alla quale apparteneva. Da quel momento comincia la produzione di numerose opere d’arte che lo rappresentano morente.  Per il Seicento citiamo tra i tanti, innanzitutto i genovesi   Giovanni Andrea De Ferrari (1598-1669) e  Giovan Battista Gaulli detto il Baciccia (1639- 1709). Del De Ferrari ci è pervenuto un disegno ( si conserva nel Museo dell’Accademia  Linguistica di Belle Arti di Genova)  in cui un grande angelo  appoggiato ad una nube osserva il sacerdote moribondo. Sotto la nube due angioletti dialogano allegri. Il Baciccia è l’autore di una Morte di san Francesco Saverio che è pala dell’altare dedicato al Santo nella chiesa di S. Andrea al Quirinale a Roma. Di questa pala abbiamo potuto esaminare bene anche il bozzetto rispetto al quale ha poche varianti. Nel bozzetto, naturalmente,  le figure sono senza definizione dei particolari, rese con rapide pennellate di colore pastoso. Questo bozzetto, datato 1675, è custodito nella sala XIV della nuova Pinacoteca Vaticana. Sia in esso che nella pala per cui fu realizzato, angeli e cherubini assistono all’ agonia di s.Francesco. Dopo la Morte di san Francesco Saverio per la chiesa  romana di S. Andrea al Quirinale  il  Baciccia  dipinse un’ altra Morte di san Francesco Saverio  per la chiesa di san Venanzio in Ascoli Piceno, che è da non pochi studiosi stimata il suo capolavoro. Dal luglio 2001 al 13 gennaio 2002 si  tenne una mostra dedicata a questo pittore nel Museo Diocesano di Ascoli in cui questo dipinto, reduce da un paziente lavoro di restauro, fu il punto d’ attrazione della mostra stessa. “La pala – scrisse allora per il Catalogo della mostra Maurizio Fagiolo dell’Arco – si presenta più grande di quella di Sant’Andrea al Quirinale (…) ed è completamente variata… Ci sono sempre gli angeli in cielo ma più rarefatti nel colore e più scultorei e nella forma“.  Sull’ arte del Baciccia  ebbe a dire il critico Federico Zeri: Quest’artista tra glorie di Santi e cori di angeli dà forma e colore all’ineffabile e all’invisibile, suggerendo l’idea dell’infinito, dell’Eden abitato da angeli bambini che, con la tenerezza degli sguardi e dei gesti, traducono la dolcezza del Paradiso”.  Citiamo poi sempre per il Seicento il fiorentino Pietro Dandini (1646-1712) e il marchigiano Carlo  Maratta (1625-1713). Gli angioletti nudi che si vedono nella Morte di san Francesco Saverio del Dandini insieme ad un giovane angelo, vestito ma con piccole ali, tra stupiti e commossi.  spalancano le braccia alla vista del sacerdote moribondo.  Di Maratta esiste a Roma, nella  Chiesa del Gesù (il suo nome completo è Chiesa del Santissimo Nome di Gesù all’Argentina) una  Morte di san Francesco  Saverio  terminata nel 1679.  La Chiesa del Gesù e’ la Chiesa madre della Compagnia di Gesù nella quale c’è  la tomba del fondatore della  Compagnia, sant’Ignazio di Loyola e dove sappiamo che è custodita la reliquia del braccio destro di S. Francesco Saverio. Intorno al santo vari uomini mostrano agitazione e tristezza, sulla spiaggia poco lontana un soldato  indica ad un indigeno il moribondo sacerdo. Sul finire di questo secolo abbiamo un bassorilievo in bronzo del 1690 dello scultore aretino Massimiliano Soldani Benzi ( 1656 – 1740) e una tela del 1691 del fiammingo Oswald Onghers (1628-1706) che sovrasta un altare nella chiesa parrocchiale di san Martino a Bamberga in Baviera. Gli angioletti nel rilievo del Soldani Benzi sono con fatica individuabili  nei molteplici cerchi che rappresentano le nubi tra le quali volano.  Il belga Onghers nella sua Morte di S. Francesco Saverio eseguita nel 1691 per un altare della chiesa parrocchiale di S.Martino a Bamberga in Baviera ci mostra gli angioletti presenti alla morte di s. Francesco Saverio più attenti alla luce che emana il nome di Gesù apparso in cielo che al sacerdote morente. Il Settecento inizia con un quadro del milanese Stefano Maria Legnani, detto il Legnanino( 1661 – 1713) che è a Tremezzo (CO) in Villa Carlotta. In quest’opera il santo moribondo è contemplato da alcune donne, una delle quali tiene fermo un bambino. La donna giovane in primo piano ho molti motivi di credere che sia la principessa indiana Neachile che il Saverio personalmente battezzò prima di spostarsi nell’isola di Sancian.  Non ci risulta che furono presenti donne  alla morte di San Francesco Saverio. Il Legnanino ponendo donne intorno al missionario moribondo ha dato un’ interpretazione originalissima della sua morte. Nella sua tela, in alto,  una frotta di angioletti ed un giovane angelo dalle ali col bordo celeste guarda queste donne.  Poi abbiamo un’opera del meridionale Sebastiano Conca  (nato a Gaeta nel 1680 e morto a Napoli nel 1764) che è nel Museo Diego Aragona Pignatelli Cortes  a Napoli.  Come nel quadro del Maratta,  Conca pone  sulla spiaggia poco lontana dal luogo dove il missionario sta rendendo l’anima a Dio un soldato che indica ad un indigeno ciò che sta accadendo. In alto non c’è però, come nel quadro del Maratta, una festa di angeli ma solo due angioletti che appoggiati ad una nube guardano in giù più turbati che allegri perché il Paradiso sta per arricchirsi di un nuovo grande santo. Vicino al santo un uomo vecchio piange asciugandosi le lacrime con un fazzoletto.  Il dipinto appartiene a una serie di quattro ovali che costituiscono il ciclo ‘Storie della vita di San Francesco Saverio’. E’ stato scritto che questi ovali sono “una composizione influenzata dalle tendenze classiciste della pittura settecentesca romana” e che “ i tratti salienti del loro stile sono sia una  moderazione espressiva sia una controllata emotività, assieme ad una luminosa tavolozza cromatica”. Cinque anni dopo l’esecuzione di questi ovali Gaetano Lapis  (1706-1776),  marchigiano ma di famiglia di origine veneta  completò una Morte di san Francesco  Saverio che è nella Chiesa di San Filippo di Cagli (Pesaro e Urbino). In essa un angelo in volo, accompagnato da cherubini, regge con la mano destra un giglio  e con la sinistra tiene stretto al suo petto alcune rose che ha deciso di spandere sul corpo  esanime del santo. Il Settecento si chiude con un dipinto terminato nel 1780 del grande spagnolo Francisco de Goya  (1746–1828). In Goya san Francesco Saverio non ha esseri umani intorno a sé. Nemmeno i due angioletti in alto sembrano badare a lui. Bimbetti nudi, con piccole ali scure, sono sovrastati da una fascia scura che svolazzando nell’aria  fa un semicerchio che li incornicia.