La spirale del silenzio: se la Rete porta all’auto-censura

Amedeo Tesauro

Fin dalla sua nascita Internet è stato visto come un mezzo di comunicazione libero e aperto a tutti, pronto ad accogliere le opinioni minoritarie che magari non trovavano spazio in altri luoghi. Un simile assunto è effettivamente ancora valido, e tanto più lo è in quei casi in cui l’identità reale dell’individuo è nascosta permettendo di esprimere le opinioni più controverse senza nessun problema di sorta, tant’è che ciclicamente si torna a parlare della necessità di applicare misure restrittive al web al fine di rintracciare chi si rende protagonista di offese, insulti, eccetera. Eppure un recente studio condotto dal comitato statunitense Pew Research Center rivela che una censura esiste già, ed è forse il tipo di censura più forte che esista, ovvero la limitazione auto-imposta per venire incontro a criteri di desiderabilità sociale. Tradotto: auto-censurarsi per timore di finire in minoranza e essere guardati diversamente dal gruppo. Il fenomeno non è certamente nuovo, negli studi di comunicazione si definisce “spirale del silenzio”, ovvero quel fenomeno per cui le persone non esprimono liberamente le proprie idee temendo che queste non coincidano con l’opinione che va per la maggiore, di conseguenza si conformano al pensiero comune o rimangono in silenzio senza mostrare il proprio dissenso. Tuttavia la ricerca ha fatto notizia perché è la prima volta che si associa il concetto di spirale del silenzio al web, nello specifico ai social network. Sui social siamo infatti noi in prima persona ad esprimerci, non è un nostro alter-ego virtuale o un’identità fittizia, siamo noi come persone reale a dire la nostra, e come tali sentiamo il peso di rapportarci ad altri individui reali che interagiscono attraverso il mezzo. Ecco allora che scrivere un messaggio diventa per alcuni una scelta difficile, in bilico tra il dire cosa si pensa e trattenersi per non incorrere nel biasimo generale. Lo studio presentato aveva scelto come test un tema caldo per l’opinione pubblica americana: il caso Snowden e le attività di spionaggio messe in atto dall’agenzia di sicurezza nazionale statunitense. Si stima che il tema abbia diviso la popolazione, con tanti convinti che Snowden abbia fatto bene a denunciare simili attività, ed altrettanti convinti che sia un traditore reo di aver spifferato le tecniche segrete controverse eppur necessarie utilizzate dal governo. Il risultato della ricerca ha indicato che le persone erano disposte a dire la propria solo e soltanto se percepivano che i propri contatti erano allineati al proprio pensiero, altrimenti preferivano evitare la discussione. Ciò sta ad indicare un auto-censura che limita l’espressione, una dinamica spesso ritenuta superata e legata al periodo in cui era la TV a dettare legge. Inoltre prefigura una polarizzazione delle opinioni che annulla il dialogo: se chi la pensa diversamente non si sente libero di palesare tale diversità, come si può allora definire il web foriero del dialogo e addirittura un nuovo modello di democrazia (come pur si è fatto?) . Lo studio evidenzia dunque degli ostacoli a quel processo democratico che la Rete ha spesso indicato, inficiando il mito del medium aperto e ospitale per ogni opinione.

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