Benevento: agricoltura sannita II dopoguerra

Liborio Casilli ha dedicato un articolo all’agricoltura nel Sannio nel secondo  dopoguerra. L’articolo è stato pubblicato in un volume del Centro Studi del Sannio, nella collana di ricerche storiche, artistiche e sociali sul Sannio, nel contesto della cultura contemporanea. La provincia di Benevento è stata ed è prevalentemente agricola ed infatti ha conservato le sue profonde radici rurali, che hanno modellato anche il carattere delle persone. Il Sannio, negli anni 1944-45 offriva uno spettacolo pietoso. Benevento, tartassata dai bombardamenti, assomigliava più a un cumulo di macerie che a una città ordinata. La popolazione era stremata dalla fame e per sopravvivere si avvaleva degli aiuti dell’UNRRA e della POA, grazie all’arcivescovo Marcinelli, che aveva vissuto insieme con i suoi fedeli la tragedia della guerra e che si diede un gran da fare per distribuire a tutti i bisognosi alimenti, medicine e vestiario. La disoccupazione aumentava, il costo della vita pure, nonostante le disposizioni per il calmieramento dei prezzi. La fame della città rendeva più acuto il conflitto fra capoluogo e provincia. Molti beneventani, a causa degli sconvolgimenti della guerra, furono costretti a scappare da Benevento, (i cosiddetti sfollati) e a rifugiarsi nelle campagne. Forse chiedevano troppo ai contadini e non furono sempre accontentati. I contadini, per giunta, si diedero da fare per saccheggiare tutto quanto di utile era rimasto, nonostante i bombardamenti. Anche questo è il motivo per cui tra la città capoluogo e la città rurale è rimasto un certo malanimo. Ed ecco che a Benevento, per difendere l’agricoltura, fu fondato un giornale dalla Coldiretti, diretto dal 1952 al 1955 da Raffaele Bagnoli e ripreso poi con uno smalto diverso dall’on. Roberto Costanzo. Del resto, il territorio sannita era formato per il 48% da colline, per il 52% da montagna, per questo motivo le aree furono classificate a coltura estensiva ed intensiva. Nel 1951, secondo i dati catastali, vi erano 125.639 proprietari di fronte alle 179.073 are. Vi era una forte sperequazione dei terreni: 107mila proprietari possedevano soltanto 54mila ettari. Certo la distribuzione delle terre era sperequata. C’era una grande differenza fra un ettaro di terreno coltivato intensivamente nelle valli Telesina o Caudina, che avrebbero reso dieci volte uno coltivato estensivamente nel Fortore o nell’alto Tammaro. In pochi anni l’allevamento si moltiplicò, ma si rimase comunque al di sotto della produzione dell’anteguerra. Anche gli agricoltori scesero da 117.676 a 94.360 nel 1961. La superficie agricola utilizzabile scese dai 170mila ettari del 1951-61 ai 103mila ettari del 1990. Poi si vennero sviluppando la tabacchicultura e la viticultura, l’olivicultura e l’allevamento, per merito sia di Vetrone, sia soprattutto di Roberto Costanzo. Un’altra battaglia fu necessaria per salvare la qualità del tabacco sannita, dal quale i contadini ricavavano un buon introito. Nel 1960 si costituì la cantina sociale “guardiense”, soltanto con trentatré soci, che poi venne rapidamente crescendo. Nel 1971 furono prodotti 65mila quintali di uva da 497 soci. Comunque, le cose migliori in agricoltura a Benevento sono state realizzate dall’on. Roberto Costanzo, persona che ho sempre molto stimato.