“La parola al cuore” di Alfonso Gargano

 Aurelio Di Matteo

La lettura di un libro di poesie riserva sempre delle sorprese. Lo è ancora di più quando l’autore svolge ben altra professione, lontana dalla creatività, dalla fantasia e dal lessico propri della musa Calliope. È ciò che è capitato aprendo, per fortuita e felice coincidenza, il volume di Alfonso Gargano La parola al cuore, fresco di stampa per i tipi di printartEdizioni. Dall’aridità indigesta dei calcoli e delle pandette, che la voracità del fisco impone ai Commercialisti – professione dell’autore – ecco spuntare come fiore nel deserto questo ensemble di rime baciate, al ritmo andante di un classico endecasillabo privato dagli obbliganti laccioli delle sillabe brevi e lunghe, delle parole piane e sdrucciole. È un ritmo “baciato” semplice e musicale, proprio della filastrocca, alla quale è stato dato con la lunghezza del verso classico la tipica espressione della lirica. Non l’aulicità del verso epico nè la complessità analogica del lirismo, ma l’immediatezza di un’espressione che riesce in tal modo a comunicare efficacemente la semplicità schietta e sincera di quei sentimenti costitutivi e fondamentali della vita comunitaria, pubblica e privata.  L’autore definisce questo suo lavoro letterario un “viaggio in versi tra sentimenti e ricordi”. Io aggiungerei un viaggio che diventa un percorso di vita nello spazio quotidianamente agito dagli affetti semplici e duraturi, il racconto delle emozioni suscitate dalle esperienze e da queste evocate e rimaste profondamente nell’intimo: ricordi personali legati al vissuto e al contenuto affettivo di luoghi, vicini e lontani, in cui l’autore, da fanciullo e da adulto, si è trovato a vivere seppure per un istante e rimasti nella continuità di un valore. È un percorso dialogico con le cose, con i luoghi, con gli oggetti, con le persone incontrate – amici, parenti, famiglia, personaggi noti e meno noti – il tutto intessuto nella trama unitaria della sua vita. Sono le voci e le immagini di un tempo ritrovato. Ma anche di un presente che porta vivo il ricordo mai spento di un tempo passato, il cui significato ha riempito di valori che si ritrovano a dare senso alla continuità della vita vista nel succedersi delle generazioni: il nonno, il padre, la figlia, la nipote e intorno una città amata, gli amici cari e tanti personaggi significativi a fare da scenografia e palcoscenico alla trama dei sentimenti e dei valori.È un percorso di vita scandito dalle “sezioni” delle quali si compone l’agile volume, a cominciare da quella iniziale di “C’era una volta a Salerno…. , la quale, sull’onda di un velo di nostalgia mai struggente ma piacevolmente ricco dei ricordi del vissuto più intimo, rievoca le immagini della Scappavia o del grembiule delle elementari, de O’ sciuttapann o della filovia, della locomotiva a vapore o delle case chiuse e delle tante altre che descrivono con efficace espressività un mondo consegnato alla memoria, ma ancora oggi presente come valore sociale e individuale. Richiamando come eco il famoso titolo di Proust, direi che non è tanto una “sezione” dedicata alla Salerno di una volta, ma una carrellata, più musicata che descritta, delle “voci di un tempo ritrovato”, in cui si avverte il ruolo tanto pervasivo dei luoghi e delle cose nella propria vita. È anche il ritorno, proprio come tempo ritrovato, alla città dell’infanzia e dell’adolescenza, un ritorno che è anche un ripensare al tempo vissuto intensamente e ora rivisitato con affettuosa emozione nella memoria selettiva della parola poetica: un ritorno e, come l’autore dice quasi a compimento della lunga carrellata, un abbraccio d’amore “solo per chi ama Salerno”. È vero, sono le voci e le immagini di “un tempo ritrovato”, ma anche – si vedano la seconda e la quarta sezione – di un presente che porta vivo il ricordo e i segni mai spenti del suo passato. È implicita in questo cammino una domanda mai espressa ma chiara in ogni verso: di tutto questo, oggi, è rimasto qualcosa? In un mondo ampiamente cinico, connotato di ironia o di indifferenza, quanto di questa voce dell’anima e delle cose, di questo germe d’amore disseminato nei luoghi e nelle persone è rimasto ancora oggi? E la risposta, mai esplicitamente espressa al pari della domanda, è nei due componimenti che chiudono rispettivamente le due ultime “sezioni”, La famiglia e Gli amici. Quello che chiude la prima è dedicato al conseguimento della laurea della figlia; quello che chiude la seconda – e anche il volume – al ricordo di una professoressa. Di queste liriche mi piace citare due versi, semplici come l’amore che li ispira, emblematici come le figure alle quali sono dedicati. Alla figlia: corri veloce, è la vita che arranca dietro di te; alla professoressa: illumini le giornate e addolcisci le notti. Sono le due sezioni più intime e personali, lo spazio dei sentimenti e dei valori, quello della famiglia, che oggi sembra scomparsa nel veloce fluire della dispersione dell’utile, e quello dei legami amicali e sociali, che sembrano dimenticati nell’anomia cinica del persoanle interesse. È il senso vivo dei valori duraturi, ritrovati e simboleggiati nell’affettuosa immagine della laurea della figlia e nel nostalgico e indelebile ricordo della sua professoressa: un etico legame di affetto a riempire il valore dello studio e della cultura come sotanza del passato ed essenza e progetto per il futuro.