L’angolo della lettura: emozioni decadenti ne “L’albergo dei morti” di Fabio Dainotti

L’angolo della lettura: emozioni decadenti ne “L’albergo dei morti” di Fabio Dainotti

Più che crespuscolare la poesia di Fabio Dainotti sembra presa da una sorta di fascinazione decadente. La sua lingua poetica è permeata di simbolismi e sonorità, di immagini evocative e  di timbri sonori avvolgenti, sussurrati con pudicizia, come a voler far risuonare di carezze il silenzio. Cerca l’inafferrabile nel quotidiano, nelle pieghe più sottili dell’esperienza umana, spesso con metafore naturalistiche e l’osservazione attenta del particulare. I suoi versi, in fondo, cercano di far fiorire dal pantano del mal di vivere quotidiano l’essere umano, la sua “humanitas”,  evocando emozioni incoffessabili e l’innocenza consumata. Il decadentismo si manifesta cosi, nella sua capacità di penetrare la malinconia alienante tipica di questo movimento culturale. La sua poesia, esprime il disagio dell’uomo alla fine del secolo scorso, la sua angoscia e insegue  l’armonia che ogni individuo ha perduto di sé e del mondo circostante. Il suo stile, caratterizzato da un linguaggio tattile e quindi evocativo è carico di significanti, esplora la complessità dell’animo umano e la sua inquietudine di fronte al mistero della vita e della morte. Fabio Dainotti, tutto questo, lo fa sortire come per caso, offrendo una visione poetica che penetra in profondità l’esperienza e cerca il senso di un’epoca in cui tutto è un impasto amorfo, uno yogurt bianco, bisognevole di nuove congiunzioni.

Per i tipi di Piero Manni, finito di stampare nell’ottobre del 2023, “L’albergo dei morti” di Fabio Dainotti è tutto quanto sopra scritto ma anche molto altro. Al lettore inesperto questo libro può apparire come una raccolta “sui generis” di poesie d’occasione, in realtà ognuna d’esse è legata da fili sottilissimi che, intersecandosi, fanno del libro un oggetto  assai compatto e finiscono  per intessere una sorta di “poetica”del possibile.  Intanto il titolo: perchè mai un titolo dovrebbe essere scelto a caso? L’albergo è un posto dove si alloggia ospiti, magari paganti, nelle soste di un viaggio e I morti sono morti anche se camminano. “L’albergo dei morti” quindi è il momento di ricovero dell’uomo nel suo viaggio verso la morte, perchè -(…) il domani: una carta dei tarocchi./(…) ma /Bisogna alzarsi ogni tanto, sgranchirsi le gambe: /(…) /battere I piedi , scaldarsi le dita, / “non lamentarsi mai della vita” / Poi un bel giorno sdrucciolare giù(…) e ancora (…) e moriamo ogni giorno, ogni momento; / ma il faut tenter de vivre,  sì, tentare (…) -. Così il Nostro nella poesia che titola tutto il libro e continua: parla della zia malata, credo in realtà, di se stesso, del suo quotidiano morire:- (…) a volte mi sorprende ancora vivo / il pensiero di te che sei già morto / cammini senza volto nella nebbia. (…)-  Mi sembra chiaro il senso: il divenire è una carta dei tarocchi, un’avventura affidata al caso ad una umanità cieca in viaggio, condannata all’ineluttabile moto ogni giorno, per ogni giorno morire. Vivere per Dainotti è una condanna e la sua poesia è il solo modo per tentarne una parvenza.

     “Il faut tenter de vivre” dice Fabio Dainotti, e, questo libro che raccoglie, secondo il bravo postfatore Nicola Miglino , della poesia del Nostro, solo quella quasi del tutto depurata dai testi “letterari”, ne è il tentativo abbastanza riuscito. Non bisogna però  prendere sottogamba  quei testi assenti: essi comunque mostrano la solidità della cultura umanistica del Nostro (oltre tutto presidente onorario della lectura Dantis Metelliana)  e quindi delle sue radici profonde e solide. Anche In questa raccolta, comunque, qualche testo “spurio” è riuscito a far capolino, due fra tutti :“DANAE” che riecheggia già nei primi versi “Il lamento di Danae” di Simonide, l’altro a pagina 71 che richiama in uno degli ultimi versi “l’ille mi par esse deo videtur“ del carme 51 di Catullo. Questi testi, comunque, mostrano la  sua cultura e sono fondamentali per i giovani poeti perchè insegna loro come strutturarsi. Un grande Poeta non nasce mai orfano di grandi padri o nonni o bisnonni in letteratura! La poesia del Nostro è una poesia di disimpegno politico. Nasce dal bisogno di canto e, talvolta, di incanto.  Nella poesia dal titolo “Sindacale” il nostro rivendica il disimpegno dal sindacale: (…) A che scopo venire (già a che scopo),/ tutte le sere o quasi al sindacato? / L’ellisse non diverrà lineare. / Mondo è, mondo sarà, è sempre stato!/ dice zia Giulia, che abita in Costiera./ E io non so , non lo so più; m’affaccio,/ piove ancora sul mare , alla ringhiera. Avvertite come il poeta parte per la tangente in questo finale piove ancora sul mare, alla ringhiera? Un altro testo esemplare è “Lamento per la morte di Gina”: In questo lamento come in quasi tutti I testi di Fabio Dainotti le tenter de vivre  diventa tentativo di rivivere le sensazioni vissute nel ricordi. Non alla maniera proustiana come ricerca del paradiso perduto, bensi cercando di distillare Il vissuto depurandolo della sua retorica, il confessato del non detto, l’innocenza della reticenza: (…) Ai vecchi tempi ti scrivevo lettere, / come se fossi un’amica lontana, / come se fossi la mia fidanzata, / come se fossi la mia madre buona./ Volevi conversare fino a tardi,/ volevi saper tutto dei miei amori,/ volevi raccontare I tuoi problemi / (tua suocera e la madre di lei in casa), / volevi magnificarmi il tuo benessere/ (…) / Mi accompagnavi sempre nella tua automobilina, /cantando le canzoni della tua giovinezza. (…) Adesso, ripensandoci, con te / tutta la giovinezza se ne è andata; / in pratica, gran parte della vita. (…)

Per risparmiare parole dirò soltanto che dopo Ultima fermata, anche L’albergo dei morti appare come un tunnel dove l’esistente è avvertito come eco: il quotidiano impastato di vitale sensualità e tappezzato di irridente erotismo, una volta calato giù nel pozzo della memoria risuona nuovo, meno amaro anche perché ammorbidito da timbri attenuati e … lontani.

   Salvatore Violante