Le minoranze italiane hanno ancora una protezione costituzionale?

 

Giuseppe Lembo

Le minoranze italiane presenti nel Parlamento, di fatto sono molto, ma molto più piccole di quanto non siano nel Paese, dove cresce, di giorno in giorno, il dissenso per la politica che, per effetto della sua maggioranza parlamentare, esercita il potere, in senso assolutistico, non lasciando spazio alle minoranze che, così come per il dissenso diffuso nel Paese, vorrebbero poter far valere il proprio ruolo di minoranza, evitando le tante decisioni prese a senso unico e nell’indifferenza di chi si oppone non condividendone  il percorso come scelta autodeterminata e spesso assolutistica della sola maggioranza.

Le minoranze, purtroppo, si portano addosso la triste sorte di contare poco; di essere marginali e di contare sempre meno, in virtù del fatto numerico che le relega nel ruolo secondario di minoranza.

Ma una democrazia parlamentare perfetta potrebbe, indipendentemente dai numeri, riconoscere il ruolo di rappresentanza per quello che realmente esprimono e che nel confronto di insieme, potrebbe tradursi anche in una utile opportunità sia nel fare che di idee di tipo istituzionale ed umana, nell’interesse generale dei cittadini.

Le minoranze italiane, oltre al loro ruolo di presenza che si può tradurre opportunamente in idee in cammino, hanno l’importante ruolo di essere, in quanto minoranza, i naturali guardiani della democrazia che, per ben funzionare necessita sempre e comunque di rappresentanze allargate e diversificate per ruoli anche se il peso numerico di alcune è poco significativo.

Nel nostro sistema parlamentare le minoranze trovano la loro ragione d’essere nei principi base della Costituzione che ha inteso garantire e quindi tutelare tutti i cittadini italiani senza esclusione alcuna e senza alcun preconcetto per effetto delle diversità religiose, di razza e/o di diversa appartenenza umana.

La Costituzione italiana ci garantisce e garantisce tutti gli italiani nella loro libera espressione di cittadini e di uomini liberi.

Rappresenta, per questo, almeno nei suoi principi ispiratori, un punto fermo per la vita democratica del nostro Paese e per quel diritto di cittadinanza per le tante diversità che dovrebbero avere pieno accesso al legittimo diritto di rappresentanza; tanto, anche se trattasi di una rappresentanza minoritaria che trova la sua piena ragion d’essere proprio e soprattutto nella Costituzione ed oltre a quella, in quei nobili diritti universalmente riconosciuti a tutela dell’uomo della Terra in quanto tale, per cui portatore del pieno diritto di rappresentanza umana, anche se trattasi di pura e semplice rappresentanza minoritaria.

Ma mentre abbiamo i buoni principi ispiratori del diritto umano alla rappresentanza, non altrettanto abbiamo per questo, il dovuto rispetto costituzionale e delle istituzioni di riferimento; soprattutto il mondo della rappresentanza istituzionale è inopportunamente distratto sulle regole da rispettare.

C’è, purtroppo, sempre più spesso, un’indifferenza per queste buone cose, con comportamenti devianti e deviati che propongono un’immagine fortemente negativa del nostro Paese nel mondo sia sui media che attraverso i giornali e l’opinione pubblica, palesemente sconcertata per come vanno le cose italiane, dove i potenti-prepotenti e solo a loro, è dato fare sempre tutto, proprio tutto, violando sempre più spesso le buone regole a base di un mondo civile, democratico e necessariamente rispettoso dell’uomo-cittadino.

Il nostro Paese è, purtroppo, nonostante le buone regole, ma sempre meno rispettate, in una deriva molto pericolosa.

Una deriva grave che trova la sua prima ragion d’essere proprio nel fatto di non essere riuscito ad amalgamarsi, così come si conviene, nel segno del rispetto umano di tutti e di amalgamare positivamente la creatività, l’appartenenza, l’immaginazione d’insieme e quel valore antropologico minore che è di tutti gli uomini della Terra; che non conosce appartenenze e non è un privilegio  solo per pochi.

Siamo, per molti versi, al disastro annunciato.

Un disastro umano che fa male, tanto male al nostro Paese, in quanto non ci permette di guardare avanti e di ritrovare la via giusta, avendone purtroppo, deviato il corso, per cui siamo caduti in una grande confusione ed abbiamo irrimediabilmente perduto, oltre al rispetto dovuto per legge, anche il primo importante rispetto del vivere civile che è quello per l’uomo, in quanto cittadino del mondo.

Abbiamo nel nostro Paese il crescere convulso di una perversa democrazia del consenso; una democrazia che, per come si è sviluppata, va diventando sempre più, non democrazia.

Nel libro degli autori Daron Acemoglu  e James Robinson (Perché le nazioni falliscono – Il Saggiatore 2013), possiamo trovare il perché delle tante ragioni dei mali italiani; la prima, grave fonte di un malessere profondo sta nel fatto che non abbiamo in Italia uno Stato autorevole, capace di garantire compiutamente i diritti dei cittadini; i diritti dell’uomo che sono di tutti i cittadini.

È questa una condizione necessaria per il buon funzionamento della società; coinvolgendone larghi segmenti, si possono meglio difendere i diritti di tutti i cittadini e conseguentemente ottenere una diffusa crescita economica e sociale con conseguente e diffuso sviluppo territoriale e con altrettanta conseguente crescita umana e sociale.

Nel nostro Paese c’è una condizione di governance strumentalmente squilibrata a danno delle minoranze più deboli.

Tanto, per evitare in modo ben calcolato la crescita umana, sociale ed economica per tutti; le conseguenze di una tale crescita, determinerebbero una vera e propria minaccia degli equilibri politici, che sono equilibri necessari a garantire l’estrazione di rendite per chi ha un ruolo di potere e quindi di privilegio nella società.

La politica e quindi il potere che la rappresenta, purtroppo, nel nostro Paese non svolgono l’utile e saggia funzione di leva del cambiamento e quindi dello sviluppo.

La politica, per come si comporta, soprattutto al Sud, è parte del problema italiano; per molti suoi aspetti è il vero e più grave problema italiano.

Abbiamo, in molte parti d’Italia ed in modo fortemente diffuso al Sud una perversa democrazia del consenso, inteso come espressione di quel potere ottusamente dominante del tutto per sé, ed assolutamente indifferente alla gente, alla gente che spesso soffre e non trova interlocutori veri e credibili per annullare le proprie sofferenze e cambiare il corso della propria vita.

Mi sembra, considerando attentamente gli scenari della politica italiana e soprattutto delle sue minoranze, di poter condividere il pensiero di un giovane economista italiano autore del libro “Perché il Sud è rimasto indietro” – 2014 Il Mulino -; considerando i mali d’Italia dice “Lo Stato italiano si è talmente indebolito che alla  fine è diventato incapace di qualunque spinta modernizzatrice”.

Ed ancora, con un pensiero da allarme rosso per il futuro dell’Italia dice “ … e anche le istituzioni economiche e politiche del Nord hanno preso ad assomigliare sempre di più o quelle del Mezzogiorno. Se continua così, nei prossimi decenni il divario si potrebbe forse colmare, ma al ribasso, con il Nord che sempre più si avvicina al Mezzogiorno. Per allora si sarà creato un altro divario, ancora più profondo, tra l’Italia ed i Paesi avanzati”.

Che fare? Che fare per restituire certezze e dignità italiana agli italiani? Il problema italiano non è più e solo un problema di rapporto tra i pochi che comandano rispetto ai tanti costretti ad ubbidire; non è solo una condizione di scontro tra maggioranze che governano e minoranze che hanno una difficoltà crescente ad esercitare il proprio ruolo, così come previsto dalla Costituzione; così come deve essere in un Paese dalla democrazia forte e matura.

In Italia c’è, purtroppo una forte crisi di futuro. Nel nostro Paese, non si pensa né si programma il futuro, un atto dovuto del presente per le future generazioni.

L’Italia stancamente vive del suo presente; non produce idee nuove e tanto meno progetti di futuro. È ferma su se stessa; è sempre più indifferente a quel che dovrà succedere domani.

Un Paese che non sa pensare al proprio futuro è un Paese morto; è un Paese senz’anima che, ormai privo di forza vitale, attende la propria inevitabile fine.

Come uscire dal tunnel? Prima di tutto, rivolgendo lo sguardo al passato; a quel passato che è ancora capace di trasmettere in modo intenso e coinvolgente sollecitazioni che ci restituiscono la forza del protagonismo del futuro possibile e ci permettono in modo catartico di rigenerarci, ad un punto tale da recuperare quella giusta sintonia tra quello che noi siamo e quello che invece dovrà essere secondo le esigenze del nostro cuore, della nostra fantasia e del nostro pensiero concretamente vivo che ci deve portare a ragionare, rivolgendo la dovuta attenzione al futuro, un mondo che comunque ci appartiene, perché è la grande eredità, il grande patrimonio di tutti; di tutti gli uomini della Terra che oltre ad essere presente, sono anche passato per le radici della propria appartenenza e futuro, una ricchezza umana che si trasmette di generazione in generazione.

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