Lello Agretti, poeta non per caso

Rita Occidente Lupo

Lello Agretti, poeta non d’occasione e per ogni stagione. In ossequio ad un mandato, che sente di custodire, dal verso alato, tra le spigolature della vita. A capo chino, tra prosa e lirica  in quest’ultima fatica letteraria, che rimanda emozioni e sensazioni, più intente ad entrare nella filosofia della vita, che nelle corde degl’interrogativi esistenziali. Il poeta casertano, ben noto alla critica letteraria del nostro tempo, per la capacità di coagulare in verso uno scoppiettante sentire, tra le inquietudini esistenziali, con “Via Piscopìa 96” parte dai suoi natali, per flashare meditazioni sulla stessa parola, con la quale gioca, nel rimaneggiare lacerti di vissuto. E se ne va per le righe, tra bandoli di memoria, recrudescenze lessicali, pensieri in fuga, a volte protesi solo a dar via libera all’esplosione interiore. Una prosa in movimento decisamente, concorrenziale alla lirica aleggiante, che fa capolino tra immanente e trascendente “basta fermare, per un attimo, il nostro vano cercare (il Nulla? Dio?) e guardarci intorno. E’ questo il messaggio che Agretti lancia con forza, proteso ad un’introspezione che se lo isola per le conclusioni razionali, lo avvicina al mondo, per quelle note universali, proprie della terreneità. E la sua ricerca, prima in se stesso, senza mai uscire da se stesso, cessa laddove l’endiadi, vita-morte, gli strappa l’attenzione: un drappo viola, il lutto coesistente col riso della gioia. Nel contrasto e nello zigzag emotivo, pensieri, recupero di attimi perduti, voglia di fermare il tempo, anche se spesso difficile da realizzare, contro l’abitudine “fiume in piena che sradica e trascina a valle tutto quanto incontra.” Come torrente in piena, la stessa voglia di raccontare e raccontarsi, per vivere una missione universale, che gli conferisce unanimamente, anche senza alloro, l’appellativo “poeta”.