Le lunghe attese e la guerra di trincea

Amedeo Tesauro

I riflettori sulla politica non calano mai. Alle volte l’attenzione è bassa, altre è molto alta e catalizza l’interesse della nazione, in ogni caso la presenza della politica è costante. La politica italiana però, da ormai un paio d’anni, ha assunto i particolarissimi connotati di un terreno di battaglia perenne dove la strategia si fa e si disfà in continuazione, conseguenza degli eventi e dei ripensamenti più improbabili. Sono infatti passati due anni dall’inizio dell’esperienza Monti, il professore prescelto dall’alto a risolvere i conti italiani, meteora politica passata dalle manovre economiche alle polemiche sul cagnolino regalatogli in TV, una transizione tragicomica. Due anni da quando l’Italia non è governata da un governo eletto, e dunque due anni di movimenti più o meno nascosti all’ombra degli obbiettivi prima richiesti dall’Europa ed ora figli delle larghe intese. Sono così esplose tensioni sotterranee, si sono costruite alleanze fragili e non volute e tuttavia necessarie, sono volate minacce verso l’esecutivo e la sua tenuta, un teatrino che ha alimentato una fase politica assolutamente unica e caratteristica. Seppur pieni di improvvisi scoppi, gli ultimi due anni sono stati una guerra di trincea, un’attesa rivolta verso un futuro di stabilità (economica? sociale? politica?) e al miraggio delle elezioni risolutrici. Ecco così che tra frecciate e tematiche scabrose, i partiti italiani hanno perseguito strategie atte a non perdere la faccia e allo stesso tempo avvantaggiarsi nella futura tornata elettorale. Una lunga campagna elettorale potremmo definirla, tanto presente ed esplicita quanto logorante per chi si è trovato tra l’incudine e il martello, tra la necessità di non far crollare il governo e quella di non assecondare ogni richiesta dell’alleato/rivale. I prossimi congressi di PD e PDL si configurano quindi come un interessante snodo, una tappa destinata a indicare i generali per quella che si spera sia la fase finale della campagna politica e tornare così ad avere al comando un governo eletto. L’incapacità delle elezioni di febbraio nel portare a una conclusione di questa convulsa fase del paese ha prolungato la fase di attesa, mietendo i primi morti e sentenziando i primi verdetti: la leadership di Bersani, l’espansione del M5S, il fallimento di Monti e l’inspiegabile scelta di auto lesionarsi con una legge elettorale pericolosamente instabile. Ora i moti di rinnovamento all’interno dei due partiti al governo promettono di dare un ulteriore scossone al fine di definire obbiettivi e uomini per una fase definitiva che possa condurre a un governo eletto. Eppure, anche in quel caso, l’impressione è che lo scenario politico attuale rimarrà d’attualità anche una volta tramontato. Le riforme attuate mirano infatti ad avere effetti sul lungo periodo, e nel gioco retorico che è la politica appare scontato che tramontate le larghe intese si farà a gara ad incolpare per i provvedimenti mal riusciti l’altro soggetto politico, sostenendo che quel particolare atto sia frutto di un’imposizione a cui sotto la pressione dell’unità nazionale non si poteva dire di no. Come ogni lunga campagna di guerra, gli strascichi perdureranno alla fine del conflitto.