Ritorno dalla “Città perduta”, alla nostra perduta Italia

 Giovanna Bergamasco

Forse anche ad altri è accaduto un giorno di mollare tutto e partire senza avvisare amici e parenti. Di ciò ci si vorrebbe scusare per poi ammettere che sì, ciò è accaduto anche a noi! E così, quando all’improvviso mi è stato proposto di raggiungere la terra degli Inca, in brevissimo tempo ho organizzato la partenza portando con me solo il necessario per il viaggio. Sapevo che il tutto sarebbe stato faticoso per una persona che, come me, non sia proprio in perfette condizioni di salute e anche un po’ in là negli anni. Ma il viaggio ha rappresentato oltre che una sfida, una specie di pellegrinaggio religioso dentro me stessa, per acquietare quel solitario slancio alla ricerca mai realizzata di un ”altrove” dove finalmente approdare. Perciò, sebbene non nego che un senso di colpa mi abbia incalzata anche per l’attuale e disastrata economia nel nostro paese, dopo aver scelto la categoria economica sono comunque partita. Erano infatti più di vent’anni che desideravo poter salire su Machu Picchu, la città perduta, e quando finalmente sono riuscita a toccarne la vetta ho provato un senso di segreta commozione perché solo allora ( così distante dall’Italia) ho avuto cognizione di quanto fossero lontane le quotidiane afflizioni e la stessa nostra esistenza talvolta senza senso con cui facciamo i conti nell’inquieto purgatorio quotidiano. Ecco allora che tutto, lo stesso mondo da cui proveniamo, mi sono apparsi per la distanza come in una luce rarefatta, tanto da rendere ogni cosa minuscola ed esigua quasi che quelle stesse azioni, un tempo determinanti per la singola esistenza, fossero state relegate in una dimensione non più confutabile. Poi il viaggio è terminato e, tornata in Italia, la scoraggiante realtà mi ha posta di fronte all’avvilente considerazione che nulla fosse cambiato. Al contrario, ciò che dovrebbero rappresentare le garanzie, gli accordi e i patti degli attuali politici sembra che abbiano invece affossato la popolazione nella sfiducia più grande, per colpa di una maldestra litania sempre uguale a se stessa (legge di stabilità, lavoro ai giovani, tasse ecc.) ma senza una volontà di cambiamento concreto. E allora quasi annichiliti ci chiediamo: l’Italia è dunque perduta? in chi credere ancora o a chi rivolgere le proprie speranze? Mi viene dunque alla mente un politico che noi giovani alla fine degli anni sessanta ammiravamo e di cui avremmo voluto seguire le orme. Mi riferisco a Enrico Berlinguer, discendente da una nobile famiglia catalana stabilitasi in Sardegna all’epoca della dominazione aragonese e che rilasciò questa intervista a La Repubblica del 28 Luglio 1981, tre anni prima di morire “ La questione morale esiste da tempo, ma ormai essa è diventata la questione politica prima ed essenziale perché dalla sua soluzione dipende la ripresa di fiducia nelle istituzioni, la effettiva governabilità del paese e la tenuta del regime democratico” Alla fine degli anni sessanta noi studenti di filosofia leggevamo Sartre, Kafka, studiavamo Marx ed eravamo innamorati di Leopardi, il poeta/filoso dal cuore fanciullo. Allora credevamo in un cambiamento certo che purtroppo non arrivò mai perché le sorti d’Italia furono sconvolte in quegli anni detti “di piombo” e da tutto il resto che poi ne seguì. Che fare dunque oggi, continuare ancora a sopportare che i privilegi della classe dirigente continuino a imporsi sulle disgrazie dei più deboli? In maniera a dir poco da fantascienza, l’ideale sarebbe volgersi a una qualche entità presente oltre lo spazio che, inasprita dalle estenuanti e false promesse perpetuate nella nostra piccola Italia ( ma non solo, anche negli altri paese del mondo) giunga a impacchettare tutti i politici, nessuno escluso, e li costringa a fare un viaggio faticoso senza privilegio alcuno, muniti solo di uno zaino in spalla fino a salire con sforzo estremo sulla cima della Città perduta, o a trasvolare su di un piccolo aereo con quattro passeggeri a bordo sopra le montagne di Nazca . . . E poi, stanchi e affaticati, ecco fermarsi a riflettere tutti insieme per comprendere e cercare di superare le grottesche posizioni di supremazia che li contraddistinguono inesorabilmente. Se ciò accadesse, coloro che hanno nelle mani le sorti dello Stato sarebbero costretti a meditare sull’esistenza di chi ci ha lasciato le proprie vestigia attraverso i secoli, ma che non sono più ricordati con il singolo nome perché, nel presente, la cosa più importante è di far risalire al ceppo di uno stesso popolo la cultura e le straordinarie intuizioni che ritroviamo ancor oggi quale segno di un lontano passato trionfale. A quel punto dovrebbero perciò considerare irrisori i privilegi, le ambizioni personali e la volontà di supremazia ma riscoprire nuovamente la propria e altrui umanità dimenticata, dopo aver sofferto il caldo eccesivo o il freddo improvviso oltre ai vari disagi di un territorio straordinario e ricco di contraddizioni. Naturalmente una simile soluzione è pari a fantascienza! D’altra parte, soltanto soffermandosi un poco sulle emozioni che luoghi come Machu Picchu e Nazca suscitano nei visitatori di tutto il mondo, si ha la dimostrazione del bisogno universale che contraddistingue gli uomini dall’inizio dei tempi e li spinge all’esigenza profonda di lasciare un segno del proprio vissuto per dare spazio a quello che rappresenta il destino della loro esistenza. Ben oltre le necessità particolari ed egoistiche delle vite di ciascuno di noi ma al di sopra della vita stessa e oltre la morte.