La crisi del talk specchio della politica

Amedeo Tesauro

Durante gli ultimi giorni del governo berlusconiano, o ancor prima al tempo della scissione tra l’allora presidente della Camera Fini e il Cavaliere di Arcore, la politica imperversava nei palinsesti con un seguito solido e costante, quasi che gli italiani si sintonizzassero per assistere a un  nuovo atto di uno spettacolo che sembrava avviarsi verso un colpo di scena. Vi era nell’aria una tangibile sensazione che qualcosa stesse per accadere, forse la fine dell’epopea berlusconiana, un collasso con elezioni subito, nuovi leader da entrambi le parti, l’ascesa rumorosa ma ancora non compresa grillina, questo ed altro in giorni convulsi dove l’arena dei talk show ospitava duelli cruenti all’ultimo sangue. Alla fine il colpo di scena ci fu, plateale quanto lo fu il ricorso all’espediente del governo tecnico montiano, esperienza sui generis che non placò del tutto l’interesse del telespettatore verso i salotti della politica televisiva Il talk politico, in linea con la sobrietà generale richiesta dal nuovo governo, dibatteva di tasse, finanziarie, limitando le polemiche assassine dei giorni del muro contro muro tra PD e PDL. Inoltre di Monti e dei suoi non si sapeva nulla, perfino i giornalisti abituali a Montecitorio si scrivevano i nomi e i ruoli sui bigliettini nel tentativo di riconoscere i tecnici piazzati al comando, così i talk servirono anche a comprendere gli oggetti misteriosi con i quali bisognava confrontarsi. Fa ridere pensare al divieto iniziale di andare in TV imposto ai membri dell’esecutivo se si rammenta la successiva escalation di presenze di Monti e i suoi, più umani di quanto la prima vulgata sostenesse, meno furbi di quanto la politica esiga (come dimostra il crollo totale dell’immagine del leader Monti attraverso la successiva esperienza politica). Fatto sta che quel momento di lacrime e sangue introdusse il racconto televisivo della crisi, che c’era già prima ma solo allora divenne oggetto centrale delle analisi dei talk, precedentemente occupati dalle frenetiche vicende politiche nelle quali il paese reale sembrava soltanto uno sfondo di circostanza. Poi la svolta, la fine di Monti e le elezioni del 25 febbraio, la campagna elettorale per l’anno 0 della politica, la pubblicizzatissima vittoria del PD, le ipotesi di alleanze col professor Monti, la caduta del PDL, argomenti che riempirono i programmi di Santoro, Floris, Vespa, Formigli, trasmissioni impreparate a scontrarsi con il fallimento di tutti i sondaggi. Ma soprattutto non in grado di prevedere lo schianto contro l’ingovernabilità di un paese che chiama nuovamente in campo un governo non eletto, contro una classe politica che rivota lo stesso presidente della Repubblica non trovando nessun altro punto di riferimento, contro una pochezza di iniziativa che ormai non preannuncia novità ma solo repliche. La recente crisi del talk politici non è realmente crisi di un format televisivo, è piuttosto indice di una perdita di interesse nei confronti della politica da parte degli italiani. Che hanno creduto a grandi svolte e grandi manovre per poi ritrovarsi ad assistere a uno spettacolo senza mordente che si trascina avanti stancamente tra questo e quel capriccio della propria classe dirigente. Ciò che manca, rispetto al recente passato, è la prospettiva che qualcosa muti, la consapevolezza che nel talk si distribuiscano parole prive di significato, giacché provenienti da una classe politica che di fronte all’emergenza ha mostrato la propria inadeguatezza, capace di fare la voce del leone soltanto nei salotti, sempre meno frequentati, dalla televisione.