Salerno: Ravallese su Centrale del Latte

La vendita della Centrale del Latte di Salerno può essere ancora evitata. Difatti il Comune di Salerno nel disciplinare di gara relativo alla dimissione del 100% del capitale della Centrale si è riservato la facoltà di non proseguire nella procedimento amministrativo di vendita anche in presenza di offerte e della formazione di una graduatoria tra i partecipanti alla gara. La scelta può, dunque, essere riconsiderata in ragione delle tante osservazioni mosse  dai lavoratori e risalenti nel tempo, dai comitati spontanei, da alcune forze politiche, da Cgil, CISL, UIL ed Ugl. Queste ultime hanno lanciato un appello ai cittadini a difesa della territorialità della Centrale di Salerno. “Per Salerno – Partecipazione Responsabile” aderisce all’appello perché la  vendita della Centrale del Latte è un grave errore politico/economico”  sottolinea Pietro Ravallese . Non è un bel segnale per la ripresa dell’economia  territoriale ribadire il ricorso ai privati , occorre invece indicare la strada che rafforzi le politiche dei beni comuni e dell’onesto utilizzo delle risorse pubbliche per creare le condizioni di sviluppo economico ed occupazionale . Sotto il profilo economico la Centrale del latte è un piccolo gioiello con circa venti milioni di fatturato e mezzo milione di utile. Il suo valore aumenterà ancora anche per effetto dell’ampliamento delle strutture per il quale è stato già affidato l’incarico ad un consulente esterno per la redazione del (Architettura, Urbanistica ed opere di urbanizzazione). La gestione territoriale assicura alti indici di qualità, con trecento controlli quotidiani sui 55.000 litri di latte prodotti ogni giorno. E se nel disciplinare di gara si fa riferimento ai livelli occupazionali dei dipendenti della Centrale ci preoccupa non poco il destino delle circa 800 famiglie coinvolte direttamente nella filiera produttiva ( produttori, raccoglitori e distributori ). La dismissione della Centrale del latte consentirebbe di fare cassa subito capitalizzando il suo valore, ma nel lungo periodo le perdite per l’economia locale prodotte sarebbero notevolmente superiori al prezzo di vendita. Giovanni Celenta rileva che “la promozione e/o la tutela della economia locale, come pure il mantenimento dei livelli occupazionali non possono comunque prescindere da forti e rilevanti investimenti (anche e soprattutto) privati, in mancanza dei quali il sistema produttivo territoriale – a gestione Pubblico/politica – rischia di non farcela da solo, di alimentare una spirale di inefficienza e clientelismo o comunque di avere ridotte prospettive di sviluppo”. “In molti settori delle politiche pubbliche locali – continua Giovanni Celenta – la spirale segnalata ha già prodotto a) rilevanti costi pubblici (disutilità sociale) a carico della collettività di consumatori, utenti e cittadini; b) scarsi profitti (disutilità economica) per gli attori del processo industriale aggravati dalla discrezionalità politica nelle scelte aziendali/produttive”.