Salerno: Anpi ricorda sbarco alleato

Il 21 giugno 1943, settant’anni fa, la città di Salerno conobbe da vicino gli orrori della guerra. Alle ore 13,15 suonò per l’ennesima volta l’allarme aereo, ma, a differenza delle volte precedenti, squadriglie di aerei solcarono il cielo sganciando un numero enorme di bombe. L’operazione si prolungò fino al giorno dopo, avendo come obiettivi principali la linea ferroviaria e la Caserma Umberto I. Tuttavia, gli ordigni danneggiarono anche numerosi palazzi, causando circa 600 morti, vittime innocenti di una guerra scatenata dalla follia dei regimi nazifascisti. La rinascita democratica fu possibile grazie anche al loro sacrificio. In memoria dei caduti, alle ore 13,15 del 21 giugno c.a., alla presenza delle Autorità civili, religiose e militari, sarà deposta una corona di fiori in Largo San Petrillo, dove ancora oggi sono visibili tracce di quegli eventi. L’iniziativa è promossa dalle Sezioni di Salerno dell’ANPI e dell’ANPPIA,  al Comune di Salerno, a CGIL-CISL-UIL, al Parco della Memoria della Campania – Museo dello Sbarco e Salerno Capitale, al Museum of Operation Avalanche di Eboli, alla Società Salernitana di Storia Patria e all’Associazione Memorie. Segue una scheda storica.Bombardamenti a Salerno—-Il 21 giugno 1943, la vita scorre normale, i lidi del porto, “l’acqua del fico”, la tradizionale spiaggia dei salernitani, sono già pieni di bagnanti, che cercano refrigerio al caldo di una estate solo agli inizi; pochi sono coloro che alle 13,15 si recano nei malsicuri rifugi in risposta al lacerante suono della sirena, che per ben sei volte annuncia una probabile incursione aerea. Infatti, al rombo di una possente formazione aerea, tutti si voltano verso l’alto a valutarne la consistenza e immaginare la probabile direzione, commentando la triste sorte delle città, in particolar modo Napoli, che sarebbe potuta essere obiettivo del bombardamento; ma questa volta l’obiettivo è Salerno. Vengono pesantemente colpite la zona della ferrovia, le colline di Giovi ed il Sanatorio, anche se sul  tetto sono state dipinte delle grosse croci bianche, che ne significano la sua funzione. Il panico e la disperazione sono enormi e la notte , quando l’ordine e la calma sembrano ristabiliti, il lugubre suono delle sirene, poco dopo mezzanotte lacera il silenzio. La città viene illuminata a giorno da migliaia di bengala ed i bombardieri ad ondate successive, per circa un’ ora infieriscono sulla parte centro orientale della città, distruggendo la caserma  Umberto I, il pastificio Scaramella e civili abitazioni. Le prime luci del giorno successivo mostrano un paesaggio ovviamente sconvolto; i soccorsi sono molto solleciti e tutti cooperano all’estrazione dei corpi dalle macerie ancora fumanti e i molti feriti con carretti di fortuna vengono trasportati agli Ospedali Riuniti di via Vernieri, ove il personale tutto, dai medici agli infermieri alle suore, encomiabilmente al loro posto, presta preziosa opera. Il triste bilancio è alto: 6oo morti. Solo dopo queste prime incursioni aeree la difesa viene rafforzata da alcune batterie da 75/49 “Vickers”,che sono collocate: una a Vietri sul Mare, un’altra a Brignano, una terza a villa Tisi ed una quarta a Battipaglia; il comando viene sistemato presso l’orfanatrofio Umberto I di Salerno. Queste batterie, secondo la testimonianza del tenente Guido D’Aniello, aiutante maggiore del ‘XXVII Gruppo Artiglieria Contraerea’ di cui queste batterie fanno parte, non hanno grossa incidenza nella difesa dai bombardamenti successivi a causa dello scarso munizionamento, dovuti al fatto che i cannoni contaerei sono preda bellica. 

 Ed inizia per i salernitani il Calvario dello sfollamento; ognuno, sentendosi oramai insicuro in città, pensa di andar via rifugiandosi in campagna, nei paesi vicini, presso parenti ed amici. La città durante il giorno è semivuota; solo alcuni uffici sono funzionanti e gli impiegati raggiungono il posto di lavoro, dalla campagna, ove sono sfollati, con lunghi percorsi a piedi; le attività commerciali sono ridotte al minimo indispensabile. Questa parvenza di vita scompare del tutto dopo i furiosi bombardamenti del 21 e 23 luglio e del 19, 22, 23, 27 e 31 di agosto, che aggiungono altri lutti e distruzioni alla già martoriata città. Vengono danneggiati quasi i due terzi delle abitazioni, per lo più nella zona nuova, il centro storico, stranamente, non viene quasi toccato (solo a San Giovanniello cade una bomba) e per questo motivo viene soprannominato dal popolo “la Città del Vaticano”. Dalla fine di agosto Salerno è completamente abbandonata da tutti, comprese le autorità civili e gli unici che restano al loro posto sono i sacerdoti. A tal proposito è interessante ricordare che il 3 settembre l’Arcivescovo Primate  Nicola Monterisi riunisce il clero ordinando ad esso di restare al proprio posto a guardia dei luoghi di culto e delle case, che abbandonate dai parrocchiani, sono in balia di ladri e saccheggiatori. Il Presule afferma che ciò deve esser fatto anche a costo della propria vita; a dimostrazione di queste parole il parroco  del Sacro Cuore, vicino alla stazione ove quasi tutte le abitazioni sono state distrutte e gli abitanti sfollati, abbandona anch’egli la parrocchia, ma viene velocemente destituito dall’ incarico. Ma questa costante presenza del clero nelle posizioni più esposte richiede un pesante tributo, infatti don Vito De Nicola,parroco di S. Maria delle Grazie di Mercato S. Severino, il canonico Bonavoglia di Eboli e, infine, don Felice Ventura, parroco di S. Margherita di Pastena, con due suoi parrocchiani Matteo Rufolo e Michele Greco,  periscono sotto le macerie delle loro chiese. Dopo il 31 di agosto la città acquista un aria sempre più spettrale, è oramai deserta e tra le macerie abbandonate non c’è quasi più nessuno, se si eccettua qualche sacerdote,soldati tedeschi, che hanno il loro comando presso l’albergo Montestella o italiani, appartenenti questi ultimi alla 222° Divisione Costiera, comandata dal generale Don Ferrante Maria Gonzaga  marchese del Vodice.

Prof. Nicola Oddati