Lo stallo indeterminato

Amedeo Tesauro

Il 2 giugno di un anno fa, in occasione delle celebrazioni della festa della Repubblica, l’Italia vedeva al comando un governo non eletto, l’esecutivo montiano dei tecnici chiamato dalle circostanze storiche a risolvere le problematiche di cui la politica non aveva voluto, né saputo, occuparsi. Era sembrato comodo a tutti “sospendere” la democrazia e giocarsi la carta del governo non politico, ovvero dare il potere a chi non deve temere l’urna elettorale e può operare liberamente con riforme impopolari e cocenti. Così si sono visti i provvedimenti “lacrime e sangue”, quelli che tanto fanno inferocire ma che trovano origine in decenni di malgoverno, quando si credeva di campare bene senza rendersi conto che quel benessere del presente era al di là delle proprie possibilità, tutto a scapito delle generazioni future (e l’ultimo rapporto CGIL che parla del 2066 come termine per tornare ai livelli di occupazione pre-crisi certo non incoraggia). D’accordo, dunque, la sovranità popolare veniva messa da parte, ma i termini della situazione erano fissati: nel 2013 le elezioni avrebbero rimesso le cose a posto. Le votazioni di febbraio si prospettavano come l’anno 0 della politica, l’ipotetico e tanto atteso arrivo di una Terza Repubblica, il momento del cambiamento da cui ripartire. Ne è sorprendentemente uscito un nulla di fatto, con l’ennesima mancata vittoria a sinistra, la solita fine annunciata e risurrezione dalle ceneri per Berlusconi e i suoi, il grosso del mondo istituzionale rimasto lì senza la possibilità, né la volontà, di voltare pagina. L’impossibilità di governare che aveva tirato in causa Monti si riproponeva con l’incognita grillina in aggiunta, l’ingarbugliato quadro politico italiano piuttosto che risolversi si complicava tra veti incrociati, proposte comuni a cui non tener fede, mandati di governo non realizzabili. L’ulteriore commissione inconcludente, quella dei saggi, aveva occupato il tempo prima dell’ulteriore punto di svolta: l’elezione del presidente della Repubblica; il nuovo capo dello Stato pareva essere la panacea per tutti i mali, colui il quale avrebbe sciolto la matassa con chissà quale provvedimento d’urgenza. Anche lì, però, il mondo politico non è stato in grado di produrre un nome se non la riconferma, prima volta nella storia del paese, del presidente uscente Giorgio Napolitano. I due grandi eventi che avrebbero dovuto segnare il nuovo corso delle istituzioni si sono rivelati, quindi, una dolorosa conferma dello stallo italiano, costretto nuovamente a un governo di larghe intese non eletto. Così si celebra un nuovo 2 giugno in cui tutto è cambiato per arrivare all’esito paradossale di non restituire la sovranità a chi appartiene per legge. Ma ciò che inquieta rispetto all’anno passato, è la sensazione che lo stallo sia a tempo indeterminato. Certo, si è detto di diciotto mesi di durata del governo Letta prima di ritornare alla democrazia, ma vien da chiedersi cosa ci sarà davvero dopo questo lasso di tempo, giacché il mondo sottostante all’esecutivo sembra moribondo: PDL e PD non paiono aver mosso un passo dalle loro posizioni, l’uno è ancora il partito personale che divide l’Italia e l’altro è ora più che mai dilaniato dalle lotte interne e da un’indecisione sul cosa essere che spazzerà via il partito prima che una decisione effettiva sia presa. L’unica novità nel panorama politico italiano sembrava essere il M5S, ma i grillini messi di fronte alla necessità concreta di muoversi hanno scelto un immobilismo che lentamente ne ha allontanato le simpatie rivelando le divergenze tra il leader Grillo e la base. Con tali premesse, vale la pena chiedersi dove sarà l’Italia il prossimo 2 giugno.