Campania, quale speranza?

 Giuseppe Lembo

Napoli, la Campania ed il Sud più in generale soffrono per colpe passate, presenti e forse anche inevitabilmente future, dovute essenzialmente all’azione scellerata dell’uomo, che rende tutto privo della forza del cambiamento possibile, perché assolutamente privo di cultura e soprattutto della cultura della valorizzazione, della pianificazione, della sicurezza e della trasformazione per cui, a parte le contrapposizioni ideologiche che bloccano ogni mutamento possibile, tutto è assolutamente fermo; tutto vive nella sua sepolcrale immobilità, dovuta tra l’altro ad una direzione che non sa coinvolgere i cittadini; non sa attivare i processi partecipativi e prigioniera di se stessa, non produce azioni di cambiamento possibile, mancando quella necessaria condivisione delle scelte sugli obiettivi condivisi e rappresentati dallo sviluppo socio-economico e della piena valorizzazione delle risorse umane e territoriali, che progettandole al fine del bene comune, possono raggiungere concretamente, il risultato di incontro anche degli universi paralleli; trattasi, di un obiettivo, purtroppo, negato, perché sconosciuto ai più.

I mali di Napoli, della Campania e del Sud in generale, sono causa ed effetto di un disastro da lungo tempo annunciato, tra l’altro, dovuto ad una crescente indifferenza politica nei confronti del Sud in generale, ormai cancellato da tutte le agende e dall’impegno programmatico di tutte le forze politiche.

La Campania ed il Sud, sono ormai le realtà dimenticate del Paese; soffrono e non poco dell’indifferenza di chi dovrebbe occuparsene, preoccupandosi di dare le risposte giuste ai bisogni della gente.

Soffrono per mancanza di lavoro, per degrado umano e territoriale; soffrono per l’invecchiamento crescente della popolazione; soffrono per avere il più basso reddito d’Italia; soffrono per un vuoto politico che ne fa un territorio, terra di conquista della camorra, perché sempre più abbandonato a se stesso, con le dinamiche umane, sociali ed economiche tutte fortemente negative.

Soffrono per il lavoro che non c’è; per le aziende che chiudono e per la crescente fuga biblica di intere generazioni di giovani costretti ad emigrare per non morire. Soffrono per il reddito sempre più basso.

Secondo gli studi recenti di Giuseppe De Rita i 20,7 milioni di residenti al Sud hanno un reddito di 17.970 euro; più basso della stessa Grecia.

Perché tutto questo? Prima di tutto, per colpa della classe politica meridionale che, con la collaborazione complice di una residuale burocrazia dal comportamento fortemente borbonico, è rimasta indifferente al cambiamento possibile evitando, come necessario, di attivare politiche nuove per sviluppare il Sud, cancellandone il sottosviluppo da sempre dovuto alla miopia della sua classe politica e tecnocratica egoisticamente attenta al solo potere ed al cambiamento del potere per i propri privilegi.

Il senso di abbandono e di diffusa indifferenza ha compromesso come si evince dallo studio “Bes 2013” di ISTAT e CNEL, l’intero universo antropologico campano e meridionale in generale.

La Campania è, tra l’altro, fanalino di coda anche nella classifica per regioni delle relazioni amicali.

Assolutamente bassa è la fiducia generalizzata; altrettanto basso è l’indice della solidarietà e della presenza campana in attività di volontariato.

È crollato, anche, il mito della famiglia come pilastro della società meridionale.

“Bes 2013. il benessere equo e sostenibile in Italia”, ci informa, tra l’altro, che la Campania, un tempo culla di cultura solidale della famiglia, in controtendenza, oggi non è più tale.

Mentre in altre realtà italiane la famiglia, nei momenti critici, ma anche nello svolgimento delle normali attività quotidiane, rappresenta una rete di sostegno fondamentale, un punto di riferimento importante, nonostante le trasformazioni sociali ed economiche, nel Sud e soprattutto in Campania ed a Napoli non è più così.

I campani di età inferiore a 14 anni molto soddisfatti per le relazioni familiari sono solo il 24,3%; la media nazionale è del 36,8%; quella del Mezzogiorno è del 30%.

Per quanto riguarda le relazioni amicali con il 17,4%, abbiamo il dato assolutamente peggiore d’Italia.

Molto bassa anche la percentuale di chi ha persone su cui poter contare: 67,5%.

Il dato italiano migliore si registra a Trento con l’89%.

La fiducia generalizzata è del solo 14,4%; la media italiana è del 20%; la media settentrionale è del 22,7%.

Il Nord con minori criticità umane e sociali ha rapporti familiari più forti rispetto al Sud in generale ed alla Campania in particolare.

L’Italia è uno dei Paesi Ocse che registra i più bassi livelli di fiducia verso gli altri.

La presenza di reti sociali, familiari e di volontariato soprattutto al Sud ed in Campania in particolare, non è sufficiente a garantire un tessuto sociale forte, per possibile ed utile copertura dei bisogni primari della popolazione ed in particolare delle fasce sociali più deboli.

Nel 1958, la famiglia meridionale aveva un ruolo centrale nella vita della società del Sud.

Tanto si evince dallo studio del politologo americano Edward C. Banfield che dedicò all’argomento un ricerca poi tradotta in un saggio “The moral basy of a backword society”, “basi morali di una società arretrata” – Il Mulino.

La tesi di Banfield, oggi non più sostanziata dal comportamento dei meridionali, era basata sul principio che la principale causa dell’arretratezza sociale ed economica del Mezzogiorno fosse dovuta al fatto che i meridionali tendessero a massimizzare il solo vantaggio della famiglia, a tutto danno di quello della società.

Siamo al “familismo amorale” una croce che il Sud si è portata addosso per oltre 50 anni.

La tesi di Banfield si basava su due presupposti: il riferimento al breve periodo ed alla famiglia nucleare e non a quella estesa.

A 50 anni di distanza quanto riconosciuto da Banfield nella sua tesi sul familismo amorale, ha un volto la cui realtà è completamente diversa per quanto riguarda il ruolo della famiglia nel mondo meridionale.

Un ruolo in assoluta crisi come si evince dalla ricerca Bes 2013.

Ma mentre scompare la centralità della famiglia come causa di arretratezza, non viene per niente cancellata l’arretratezza sociale ed economica in sé dall’intero Mezzogiorno.

Cancellata la causa, rimane forte come un macigno l’effetto, ossia l’arretratezza del Sud.

Purtroppo e con tanta amarezza dentro, c’è da riconoscere che le cause del malessere umano e sociale al Sud sono diffusamente crescenti; i cittadini campani in particolare non sono cambiati in meglio, mostrandosi più solidali, più protagonisti di volontariato e/o soggetti di attiva organizzazione sociale, con iniziative di associazioni non profit e/o di cooperative sociali utili a promuovere la società e quindi il buon comunicare.

Anche senza il familismo, l’amoralità permane e diventa un male sempre più crescente e diffuso, in quanto parte ormai consolidata dei cittadini campani che vanno perdendo le caratteristiche di uomini veri, sia moralmente che eticamente.

Il Sud è ormai nella fase di un declino inarrestabile da tempo annunciato; tanto, è dovuto ad una sua profonda crisi economica, politica, sociale e soprattutto umana.

Siamo in una condizione di non ritorno; alla base c’è, prima di tutto, una forte precarietà politica.

A dare una giusta interpretazione sociologica sulle difficili condizioni umane, sociali, politiche ed economiche alla luce dello studio Istat – CNEL “Bes 2013” è il sociologo Giliberto Marselli che riconosce il forte aggravarsi delle condizioni sociali ad un punto tale che è crollata, soprattutto, a Napoli, l’antica sacralità dei rapporti familiari ed amicali.

Per Marselli trattasi di un fenomeno meridionale di sofferenza umana e sociale a due velocità, con caratteristiche di maggiore accentuazione a Napoli e nelle realtà urbane del Sud e fortemente più contenuto nelle realtà rurali dove, nonostante tutto, esiste ancora una maggiore solidità nella solidarietà familiare e dove ha ancora un ruolo in qualche modo significativo la famiglia allargata; la famiglia patriarcale nel mondo rurale del Sud funziona, in qualche modo ancora come possibile collante di insieme umano e sociale, un valore che si spera di saper conservare, come utile punto di riferimento, per ripartire e così salvare questo povero sconquassato Sud, dove tutto è ormai in rovina.

Se prima c’era un forte insieme umano, soprattutto familiare, a tenere coesa la famiglia un pilastro importante della società campana e del Sud più in generale, oggi anche questo pilastro si è andato sbriciolando, colpito com’è mortalmente da una grave ed inarrestabile crisi identitaria.

Oltre alle crescenti sofferenze legate alla sfera immateriale, abbiamo condizioni veramente preoccupanti, da allarme rosso, per quanto riguarda le caratteristiche di vita di tanta parte della popolazione, ormai in povertà, per il lavoro che non c’è, per l’incapacità e l’indifferenza istituzionale diffusa in tutto il sociale, per l’assoluta dimenticanza del mondo dei giovani, sempre più abbandonati a se stessi e senza prospettiva di futuro, con la valigia in mano, pronti ad andarsi a cercare il pane altrove.

Tutto questo succede e si ripete per l’egoismo e l’insipienza umana di una classe dirigente dagli orizzonti fortemente limitati, avvitata su se stessa ed attenta solo al proprio bene, ai propri privilegi.

Il quadro d’insieme è assolutamente allarmante; ci riporta indietro nel tempo, con l’aggravante che, l’anello principale (la famiglia) del tessuto sociale non è più un collante; non è più un possibile paracadute ed ancora di salvezza.

Non c’è quel quid che rappresenta l’insieme, anima umana e sociale di mondi ormai alla deriva, dove avanzano in solitudine i sepolcri imbiancati, avendo ormai perso la speranza di un futuro possibile, avendo cancellato tutta quella parte virtuosa del tessuto sociale, oggi affidata alla sola malasocietà che ormai priva dell’etica comune, è diventata l’anima nera del mondo meridionale, sia per quanto riguarda la sfera individuale che collettiva.

In queste condizioni c’è poco, veramente poco da sperare nel cambiamento, nello sviluppo possibile, nella crescita umana, sociale e territoriale.

Le condizioni di malessere sono tali da cancellare ogni prevedibile forma dell’ottimismo della ragione e di quella speranza che non deve assolutamente morire ma che, purtroppo, si va comunque ed inesorabilmente spegnendo.

Non posso chiudere questi miei pensieri e queste mie riflessioni di pensatore, senza appellarmi all’ottimismo della ragione ed alla speranza di mondi nuovi a cui, nonostante tutto, ostinatamente continuo a credere.

Per questo spero tanto nel cambiamento possibile; spero in un Sud nuovo, nel contesto dell’universalità del mondo, dinamicamente in cammino con le diversità umane, per il bene dell’umanità e non contro l’uomo, così come oggi sta succedendo a Napoli, in Campania, nell’intero Sud ed in tutti i Sud del mondo, dove domina la povertà, la mancanza del pane, il frutto degli egoismi umani dei potenti della Terra, che rifiutano a tanti, il naturale diritto alla vita.

Che fare per salvarci e salvare la Campania, il Sud ed i Sud del mondo?

Prima di tutto scrollarsi di dosso la rassegnazione di sempre, dove il non c’è niente da fare, è il migliore alleato di chi, usando la forza del potere, agisce egoisticamente ed in modo indisturbato mette in atto l’infame violenza umana del tutto per sé.

Basta! Basta! Basta!

Fare pulizia della classe dirigente, espressione di un potere della rappresentanza che ormai ha tradito tutto e tutti; in alternativa e da protagonisti bisogna contribuire alla crescita diffusa della democrazia della partecipazione, dove tutto è nelle mani di tutti e non dei soli pochi di sempre che hanno governato sgovernando  questo nostro malcapitato Paese, questa nostra agonizzante Campania, questo povero Sud, ridotto ad un mondo di vecchi senza futuro, fantasmi di tante abbandonate realtà ormai prossime alla fine.

Uscendo dalla disperazione, penso ad un mondo nuovo; io ci credo.

Appellandomi all’ottimismo della ragione, da subito, rimboccandomi le maniche, penso che sia urgente e necessario porre mano ad un progetto di cambiamento possibile, con l’obiettivo primario, il bene individuale e collettivo in una società umanamente nuova e capace di riprendersi l’anima antica della solidarietà.