Salerno: convegno “Società Libera”

Vincenzo Olita*

Un convegno, fuori dal coro, oraganizzato da “Società Libera” sabato 10 novembre, alle ore 9,00 a Palazzo Sant’Agostino “Stato e Criminalità” per riflettere se nella lotta al crimine organizzato il Paese è vincente o rischia di uscirne sconfitto. Nel dibattito politico sulla criminalità ricorre spesso l’invocazione “più Stato nelle regioni meridionali”, il think tank di cultura liberale “Società Libera”, ritenendo che occorra trovare un giusto equilibrio uscendo da equivoci e visioni ideologiche, chiama al confronto magistrati, accademici, imprenditori ed operatori dell’informazione a cui sottopone il Manifesto liberale sul crimine organizzato.  Non un convegno denuncia,quindi, né ripetitivo di luoghi comuni che, a seconda dell’angolazione politica, pongono enfasi o pessimismo sulla capacità che il Paese esprime nella lotta al crimine, ma un’opportunità per ripensare il ruolo dello Stato e le prospettive del contrasto alla criminalità. Dando per acquisito quello repressivo, è indispensabile  operare sul versante del potenziamento della cultura della legalità e su quello dello sviluppo economico. Queste sono le tre leve su cui fare perno e che vanno utilizzate con coerente sincronismo e intelligente flessibilità in un quadro strategico, dove ruolo e presenza dello Stato trovino un giusto punto di equilibrio. Già lo Stato, troppo o poco? Nel primo caso ha contribuito al crescere delle organizzazioni criminali attraverso la spesa pubblica, l’abnorme sviluppo degli apparati burocratici, la complessa macchinosità della regolazione normativa e, non ultimi, gli interventi straordinari. Basta ricordare che a seguito del terremoto in Campania e Basilicata del 1980 e la successiva ricostruzione si è avuta l’espansione territoriale in ambedue le Regioni del fenomeno camorra. Al contrario, per troppo tempo lo Stato è stato sostanzialmente lontano e assente nel Mezzogiorno, condizione degenerata tanto da perdere, in alcune aree, il controllo del territorio. Se la criminalità pretende di rappresentare l’anti Stato, lo Stato ha il dovere/necessità di essere credibile in tutte le sue articolazioni. E qui il pensiero corre alla recente approvazione al Senato del disegno di legge anticorruzione. Dare delega al governo per predisporre una legge sui condannati incandidabili è stato un pessimo segnale offerto dalla classe politica sulla propria credibilità e, di conseguenza, sulla necessaria implementazione della cultura della legalità. La cultura della legalità potrà affermarsi se si arriverà alla convinzione, comune e condivisa, che appartenere ad organizzazioni criminali, esserne affiliati o solo conniventi non è conveniente né sul piano sociale e dell’immagine personale, né su quello economico. La pervasività delle organizzazioni è indicativa e misurabile, in molte aree del Mezzogiorno, dalla loro capacità di essere anti Stato e nel contempo Stato sociale. E’ una constatazione non piacevole, se si vuole politicamente non corretta, ma che fotografa la realtà. Dove il controllo del territorio è più stretto e capillare le mafie svolgono anche ruolo di compensazione economica e di regolazione della quotidianità della gente. Se questi aspetti non vengono compresi nella loro complessità sarà difficile approntare una strategia complessiva di contrasto; se il fenomeno mafie non diventerà una questione di interesse nazionale e lo relegheremo a comportamento malavitoso, correlato a territori tradizionali, difficilmente saremo in grado di mettere in atto strategie vincenti.  Il contrasto al crimine non lo si può condurre a compartimenti stagno, “Un territorio, una popolazione, un’organizzazione criminale”, significa depotenziare la rilevanza e quindi la percezione complessiva del fenomeno che ha dimensione nazionale. L’impegno del mondo della cultura è indispensabile per l’efficacia di una manovra corale di contrasto che, partendo dal basso, incida sulle coscienze e generi una mobilitazione etica, capace di implementare meccanismi di persuasione. L’informazione, in tutte le sue articolazioni, può e deve svolgere una concreta azione di stimolo interpretando un significativo ruolo propulsore.Il Paese tutto ha bisogno di una cruda e reale presa di coscienza. La lotta alla criminalità passa attraverso una riscrittura delle regole politiche – amministrative, incluse quelle fiscali, tale da rendere lo Stato non altro rispetto ai cittadini. Utopia? Forse. Ma questo è il ruolo che ci siamo ritagliati: dar voce ad una vigorosa ed efficace cultura del contrasto, che miri fondamentalmente alla prevenzione e quindi alla riduzione delle condizioni favorevoli al perpetuarsi di un retroterra culturale tanto funzionale al crimine. Come liberali, crediamo di dare così un contributo alla realizzazione di una società più aperta e più libera.

* Direttore Società Libera