Cava de’ Tirreni: Città Unita, ai partiti manca scatto d’orgoglio

Perchè Berlusconi ha chiesto alla Polverini di non dimettersi? Poi ha dovuto, suo malgrado, prenderne atto. Perchè non ha voluto fare piazza pulita, come pure pretendeva il suo stesso elettorato? Perchè ha salvato una ciurma alla deriva se davvero teme – come scrivono i giornali – che << questi rischiano di farci tornare al 92>>, se ha paura di un <<ef­fetto contagio>> che trascini nel gorgo tutti, se prova invidia per Grillo e Renzi e sogna di mettersi a fare lui il rottamatore? Quale «pre­dellino>> migliore avrebbe mai potuto trova­re per rifarsi una verginità, liberandosi della Cosa nera che si è impadronita del suo parti­to e delle istituzioni nel Lazio? E’ questo senso di rassegnazione, l’assenza di uno scatto d’orgoglio, la riduzione della politica a pura teenica di sopravvivenza per ritardare di qualche mese una catastrofe or­mai interiorrnente già accettata e data per scontata, che davvero decreta il 2012 come lAnno Zero del sistema dei partiti e lo fa as­somigliare a quell’altro anno zero che vent’anni fa costò la vita al Psi e alla Dc. Come si diceva un tempo del socialismo reale, il sistema appare ormai «irriformabile>> dall’interno. Aspetta solo uno choc esterno per venire giù in pezzi. E non è solo Berlusconi, che sembra non avere più alcun controllo sulla guerra tribale in corso nel suo partito da Milano a Roma a Palermo. E’ anche il nuovo che avanza a esse­re invecchiato così precocemente da non far capire a Renata Polverini, eletta come la tri­buna del popolo, figlia del popolo e sindacali­sta del popolo, che non ha alcuna speranza di far credere al suo popolo che lei non c’en­tra, non foss’altro perchè  il suo gruppo perso­nale, i tredici consiglieri della Lista Polverini, hanno ricevuto due milioni e duecentomila euro nel solo 2011, spendendo in proporzioni che sembrano un racconto autobiografico: mille euro per scrivere (cancelleria), diecimi­la per leggere (giomali), e duecentomila per mangiare (alberghi, ristoranti e bar). La stessa rassegnata acquiescenza ha con­tagiato l’opposizione, che avrà pure peccato meno ma il cui mestiere sarebbe stato di de­nunciare a gran voce lo sperpero e invece se ne stava zitta (con la solita eccezione dei radicali). Dov’era finito per esempio Di Pietro, l‘antipolitica in persona, il deus ex machina dell’altro anno zero della politica? I suoi cin­que consiglieri se la passavano anche meglio degli altri, quasi duecentocinquanta mila eu­ro ciascuno nel 2011, e uno di loro stava pure nell’Ufficio di presidenza, lì dove si aumenta­vano di anno in anno le prebende fino a rag­giungere la stupefacente cifra di trenta milio­ni in un biennio. Se volessimo ritorcergli con­tro un suo celebre teorema, potremmo dire che Di Pietro non poteva non sapere del fiume di denaro pubblico che bagnava il suo partito in Lazio, nella Regione che fa pagare ai cittadini un’addizionale Irpef tra le più alte d’Italia per ripianare i propri debiti. E neanche Bersani poteva non sapere, perchè sapeva tutto il suo capogruppo Esterino Montino, come oggi riconosce con la seguen­te perla dialettica: «Nessuno può dire che il Pd si è intascato soldi. L’unica nostra colpa, se c’è, è quella di non averli rifiutati. Diciamo che non abbiamo fatto obiezioni…». Nessu­no vuol fare di tutt’erbe un fascio e, ovvia­mente, c’è modo e modo di spendere i dena­ri dei contribuenti e spenderli per un Suv non è la stessa cosa che spenderli per pagarsi un manifesto, un convegno o l’intervista in una tv privata. Almeno il Pd annuncia ora rac­colte di firme per le dimissioni dei suoi consi­glieri. Ma il punto è che sono sempre soldi del contribuente, e sono sempre troppi, e sono sempre del tutto ingiustificati da quell’in­dustria di preferenze che è diventata la politi­ca regionale. Quindi per la gente il fascio è uno solo: perchè non c’è nessuno che se ne sia chiamato fuori. Di fronte a questa Roma ladrona, bisogna perfino rivalutare la Lega, che pure diede il via all’Anno Zero con lo scandalo del suo tesoriere Belsito. Quel movimento si è dura­mente punito, ha mandato in pensione il fondatore, ne ha costretto alle dimissioni il fi­glio, ha epurato tutti quelli che non potevano non sapere. Dimostrando una voglia di esistere anche nella prossima Repubblica che altri sembrano aver smarrito nel crepuscolo di questa.

 avv. Alfonso Senatore

Presidente dell’ Associazione “CITTA’ UNITA”