La verità delle bufale elettroniche

Amedeo Tesauro

Negli ultimi giorni una curiosa notizia imperversava per il web. Stando a quanto moltissimi siti riportavano, in seguito alla vittoria in tribunale, querelle riguardante una violazione di alcuni brevetti, la Apple avrebbe ricevuto il risarcimento di oltre un miliardo di dollari spettante dalla Samsung in una maniera provocatoria e beffarda: trenta camion colmi di monetine da 5 centesimi. La rete è subito impazzita, la battaglia legale tra due colossi della produzione elettronica si tingeva di colore con un’ingegnosa provocazione a metà tra uno sberleffo e l’aperta dichiarazione di guerra (e non a caso ora potrebbe essere la Samsung a denunciare irregolarità del gruppo di Cupertino). Tanta agitazione, poi la verità: tutto falso, la smentita arriva dai manager Samsung che dichiarano di non aver ancora stabilito tempi e modalità del risarcimento. È solo l’ultima di tante bufale elettroniche, che esplodono a tutti i livelli in rete: si parte dalla notizia curiosa fuori dal mondo, e proprio in quanto tale destante curiosità, fino a arrivare alle false indiscrezioni su casi reali. Del resto il fenomeno rientra in un trend maggiore per cui la quasi totalità dell’informazione negli anni ha sempre più accolto favorevolmente le soft news, notizie leggere e magari date superficialmente, ma allo stesso tempo capaci di veicolare adeguatamente un contenuto. Oramai quotidianamente assistiamo alla nascita di tormentoni virali abili nel solleticare l’interesse del navigatore svagato disposto a perdersi nei link proposti, un piacevole divertissement innocuo da affiancare alla ricerca delle hard news, le notizie importanti date con cura dei dettagli. Innocuo però fino a quando il web non si piega alla logica dell’invenzione e crea dal nulla. Da sempre nel mondo dell’informazione la problematica della veridicità è centrale, sia per questioni legali sia per un’onestà intellettuale che imporrebbe di non violare una regola atta alla buona comunicazione: non dire il falso. La verità legittima l’interlocutore, lo rende attendibile, gli conferisce credito, materia tanto immateriale quanto concretamente viva nelle relazioni sociali. In un’epoca in cui basta un minimo movimento per innescare una bufera, una serie di condivisioni su Facebook o dei tweets per lanciare un fenomeno, bisognerebbe aumentare la propria vigilanza laddove si decida di mettere in circolo una notizia, pena la possibilità futura di essere presi sul serio. Lascia esterrefatti la semplicità con cui è possibile montare una bufala elettronica, ma lascia ancor più stupiti la faciloneria di tanti blog a scopo informativo nel buttarsi su ogni notizia senza verificarne una straccio di fonte. Oppure no? La rete vive delle visite degli internauti, come stuzzicarli meglio della news dal sapore particolare? Si scopre l’arcano: le notizie finte fanno più sensazione di quelle vere. Poco da sorprendersi, ma tanto da preoccuparsi nell’era dei social network e del “giornalismo fai da te” in cui ogni utente con connessione internet è un potenziale broadcaster. C’è il rischio che il medium maggiormente democratico mai inventato perda autorevolezza, la perda scadendo nella notizia facile dalla dubbia autenticità, si sminuisca veicolando contenuti non all’altezza di uno strumento potente che fino a ora ha contribuito alla diffusione del sapere in misura maggiore di quanto abbia generato materiale di scarto. Dalla strabiliante esperienza del web e dalla sua utilità bisogna ricavare un monito dal quale deriva una responsabilità, far sì che lo strumento che noi utilizziamo mantenga tale coerenza e tale utilità, evitando le degenerazioni atte a ottenere click.