Morte di un regista underground

 

Fulvio Sguerso

Sabato 16 giugno si è spento, dopo una lunga malattia, a Tricase, nel Salento, Giuseppe Bertolucci, fratello minore di Bernardo e figlio del poeta Attilio Bertolucci. Ho avuto la possibilità di incontrarlo di persona nel settembre dell’anno scorso, in occasione del Festival della mente di Sarzana, dove ha tenuto una conversazione su cinema e letteratura con il critico e scrittore Emanuele Trevi, e dove, per una fortunata combinazione, mi sono ritrovato seduto vicino a lui la sera di domenica 4 settembre, per assistere al recital “Attilio Bertolucci e Pier Paolo Pasolini, un’amicizia in versi” in cui le voci di Sonia Bergamasco (Bertolucci) e di Fabrizio Gifuni (Pasolini) si alternavano  per restituire, attraverso la lettura  di un florilegio di testi dei due poeti,  il senso profondo della loro amicizia. Giuseppe era nato a Parma il 27 febbraio del 1947. Cominciò il suo apprendistato  nel 1970 come aiuto del fratello Bernardo nella lavorazione del film La strategia del ragno. L’anno successivo esordì come regista con il mediometraggio I poveri muoiono prima, seguito dal film televisivo Andare e venire. Nel 1975 è coautore, con Bernardo e Franco Arcalli della sceneggiatura di Novecento. Nello stesso anno scrive, per Roberto Benigni, il monologo teatrale Cioni Mario di Gaspare fu Giulia, poi diventato il film Berlinguer ti voglio bene. Nel 1979, con Oggetti smarriti firma un’opera di notevole spessore e originalità: una signora della ricca borghesia milanese, oppressa da un marito isterico, un amante idiota e una madre ossessiva, incontra alla Stazione Centrale di Milano un compagno d’infanzia che, dopo qualche ora passata in sua compagnia alla ricerca del senso perduto della vita, si getta sotto un treno. Nel 1980 il PCI gli commissiona un documentario sulla vita interna del partito, ne viene il film Panni sporchi, un’opera composita in cui si alternano interviste e storie intrecciate sullo sfondo, anche qui, della Stazione Centrale di Milano. Il titolo riprendeva un’espressione usata da Giulio Andreotti per deplorare la crudezza del cinema neorealista italiano. Il film suscitò un vivace dibattito tra gli intellettuali del partito e fu premiato al Festival dei Popoli di Firenze. Nel 1984 collabora, con Benigni e Massimo Troisi, alla sceneggiature di Non ci resta che piangere , dirige e scrive, con Vincenzo Cerami, Segreti segreti con un cast prestigioso di attrici . Nel 1988 dirige Diego Abatantuomo, Paolo Rossi e Laura Betti nel film tra fantastico e satirico I cammelli sulla telemania dei quiz e del successo da ottenere ogni costo; scrive la sceneggiatura de Il piccolo diavolo ancora con Benigni. Tra i film  successivi (chi volesse una rassegna completa la può facilmente trovare in Internet) notevole è Il dolce rumore della vita, del 1999, ambientato nel mondo del teatro, un melodramma estetizzante magistralmente interpretato da Francesca Neri, e anche L’amore probabilmente del 2001, con Sonia Bergamasco, Rosalinda Celentano, Fabrizio Gifuni, girato in digitale. Del 2003 è Segni particolari. Appunti per uin film sull’Emilia-Romagna. Dopo i due documentari Pasolini prossimo mio (interviste raccolte e filmate durante la lavorazione del Salò-Sade) del 2006 e La rabbia di Pasolini (restauro  e ricostruzione della versione originale del  film La rabbia), del 2008, si ammala gravemente. Bertolucci aveva scelto il paesino pugliese di Diso per i suoi ultimi mesi di vita. Sabato scorso ha avuto una crisi respiratoria ed è stato portato al vicino ospedale di Tricase, dove è spirato. Aveva sessantacinque anni.

Foto vanityfair.it 

 

 

 
 
 
 

 

 

 

2 pensieri su “Morte di un regista underground

  1. Di Bernardo, come non ricordare “Il tè nel deserto”? Grazie dottor Sguerso per questo ritratto del fratello meno conosciuto.

  2. Grazie a te, Marco, per il tuo puntuale commento. E affinché il fratello minore e “meno conosciuto” di Bernardo sia un poco meno sconosciuto, trascrivo una sua risposta tratta da una lunga intervista pubblicata nel volumetto “Il caso Ss 275” in cui si denuncia il pericolo di un nuovo, imminente scempio paesaggistico e ambientale, e riportata su “La Repubblica. Bari.it” di mercoledì 20: “Perché avete preso casa proprio da queste parti? – Perché evidentemente ci hanno attratto una serie di tratti distintivi di questo luogo. Prima di tutto il paesaggio, la bellezza del luogo e il mare. A volte, poi, sono scelte anche molto personali che non sono universalizzabili. C’è senz’altro anche un dato antropologico, almeno nella nostra percezione, che il tipo di Sud che viviamo qui è un Sud gentile, diverso invece da situazioni esasperate di altre parti dell’Italia meridionale. E’ un posto culturalmente ricco. Personalmente, poi, mi piace molto la dimensione del paese, non tanto perché ho dei grandi rapporti specifici con le persone, ma perché la dimensione della familiarità che c’è in paese è l’opposto
    della dimensione dell’estraneità che c’è in una grande città. Questa cosa diventa un bene prezioso: il fatto di riconoscersi, un aspetto che magari, per uno del paese, è un’ossessione da cui fuggire…”. Ecco una declinazione concreta del concetto di “cultura”.
    Un saluto da
    Fulvio Sguerso

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