Il cambiamento dell’Italia in 150 anni

Giuseppe Lembo

All’inizio, prima dell’Unità d’Italia, nel 1861, gli italiani erano pochi ed affamati. La popolazione italiana era di 22 milioni di abitanti contro i 62 milioni di adesso; la vita media era di soli 30 anni, contro gli 81 dei nostri giorni. Il 66,6% del reddito veniva usato per i consumi alimentari; oggi è meno del 10%. Le differenze culturali tra il 1861 ed oggi sono enormi:

 

Analfabetismo (% sulla popolazione di 5 anni o più)

Studenti Universitari

Licenziati e Diplomati     (in migliaia)

Laureati

1861 – 78%

1861/1862    4.000

1945/1946    53

                            1926    7.856

2001 – 1,5%

2008/2009 –  1.777.000

2008/2009  – 446

2009  – 292.810

 Da espressione geografica, sprezzante definizione del principe di Metternich, in 150 anni di storia unitaria, l’Italia ha raggiunto il lusinghiero obiettivo di quinta potenza industriale del mondo. Nel 1861 l’Italia era abitata da soli 22 milioni di abitanti; pochi ed affamati; si moriva presto. In Lombardia nel 1861, su mille bambini appena nati, ben 261 morivano subito; per quanti sopravvivevano, l’aspettativa di vita era di poco inferiore ai 30 anni (28,5 anni per gli abitanti della Basilicata). Nel 2011, in Lombardia muoiono solo 3 bambini nel primo anno di vita; l’aspettativa di vita è salita a più di 81 anni. Gli italiani erano piccoli ed analfabeti; la statura media di un calabrese sfiorava il metro e sessanta (159,7 cm.); oggi la statura media degli italiani supera il metro e settanta (172,4 cm.). Nel 1861 l’esigenza fondamentale era il mangiare che assorbiva il 66,6% del reddito medio pro-capite; nel 2011 è scesa sotto la soglia del 10%. Economia Popolazione attiva per Settore ( %)

 

1861

2009

Agricoltura

69,7

3,8

Industria

18,1

29,2

Altre attività

12,2

67,0

 PIL per abitante (in euro)

 

1871

2009

Centro – Nord

2.230

31.117

SUD

1.884

18.377

 Evoluzione del reddito medio (dal 1861 al 2011 aumenta di )

Norvegia

20 volte

Italia

13 volte

Finlandia

20 volte

Stati Uniti

12 volte

Svezia

18 volte

Francia

11 volte

Irlanda

16 volte

Germania

11 volte

Spagna

15 volte

Regno Unito

7 volte

L’Italia nel 1861 era affamata e povera. Nel 1861, il 69,7% della popolazione attiva era impiegata nell’agricoltura; nell’industria il18,1% e nelle altre residue attività il 12,2%. Oggi abbiamo una situazione completamente cambiata; gli addetti del settore agricolo sono solo il 3,9%; nel settore industriale il 27,7%; nel settore dei servizi il 68,3%. Niente di quelle che erano le condizioni di vita nel 1861 sopravvivono oggi. Anche la partecipazione politica ha subito cambiamenti profondi. Nel 1861 poteva votare solo il 2,2% degli italiani; gradualmente avvengono dei significativi cambiamenti. Nel 1882, con l’abbattimento dell’età per avere diritto al voto (da 25 a 21 anni) e con il diritto al voto di tutti quelli in possesso della licenza elementare, si arriva al 6,9%. Nel 1912, con l’introduzione del suffragio universale maschile, si toccò la soglia del 24%. Con la fine della democrazia e l’avvento del fascismo (1922) alle libere elezioni si sostituirono i plebisciti (1929 e 1934). Nel 1946, con la caduta del fascismo ed il ritorno della libertà, il diritto di voto fu esteso alle donne. Nel 1946, alle elezioni per l’Assemblea Costituente abbinate al Referendum per la scelta tra Monarchia e Repubblica, votò l’89,09% degli abitanti aventi diritto al voto. Nel 1948, alle prime elezioni legislative dell’Italia Repubblicana, andò a votare il 92,23%. Nel 1975 l’area del voto si allargò ulteriormente; tanto per effetto dell’abbassamento dell’età minima degli elettori da 21 a 18 anni. La partecipazione al voto, come risposta al diffuso impegno politico, durò fino a tutti gli anni settanta. È nella  seconda metà degli anni ottanta che si registrarono le prime flessioni. Nei 150 anni di storia italiana c’è stato un cammino fatto di lacerazioni; ci furono due eventi distruttivi (due guerre mondiali) e vent’anni di una dittatura totalitaria. L’Italia ha avuto sempre la forza di rialzarsi da tutte le cadute. Il nostro Paese, finita la Seconda Guerra Mondiale, in soli tre anni tra il 1945 ed il 1948, riuscì nella grande opera di ricostruzione. Tanto, grazie al taglio dei rami secchi, al rigore della politica economica einaudiana e soprattutto grazie alla capacità di una classe dirigente che seppe mettere il “diavolo” in corpo agli italiani, attivandone entusiasmi ed energie. L’attuale crisi che si aggrava di giorno in giorno, è dovuta, tra l’altro, alla mancanza di un forte sussulto di appartenenza ed alla più assoluta incapacità di avvertire e riscoprire il bisogno di una religione civile in cui riconoscersi. Oggi, purtroppo, è tutto come anestetizzato. Gli entusiasmi sono ormai spenti. Che fare? Prima di tutto, saper riflettere sul nostro passato e pensando a quel passato, a più mani, nella veste di un forte protagonismo italiano, soprattutto nei momenti difficili, pensare insieme, a costruire il futuro che ci appartiene, in quanto naturale eredità per i nostri figli.