25° anniversario pellegrinaggio papale grotta garganica San Michele

don Marcello Stanzione

 Era una domenica splendida di sole  quel 24 maggio 1987. La primavera garganica si manifestava in tutta la sua policroma bellezza e certamente allietò la visita del Santo Padre Giovanni Paolo II, che partito molto presto da San Giovanni Rotondo insieme all’allora arcivescovo mons. Valentino Vailati, dovette senz’altro godere di quell’aria profumata di viole e della stessa distesa verdeggiante dei prati di Pantano e della valle di Carbonara. Mons. Vailati,  confidadò, che Papa Giovanni Paolo II, appena la nera macchina si mosse, gli disse: “Sto fremendo d’impazienza. Non vedo l’ora di pregare in quel Santuario così suggestivo”.  Il programma della visita papale , differentemente da quello che si sapeva e si diceva inizialmente da essere ristretto ai soli San Giovanni Rotondo e Monte Sant’Angelo, si era allargato a dismisura spandendosi per tutte le diocesi della Capitanata e  a Foggia  il Papa avrebbe celebrato la Messa della Domenica  mattina, mentre inizialmente si sapeva che questo momento così importante del suo viaggio apostolico l’avrebbe vissuto davanti all’altare di San Michele a Monte Sant’Angelo. Ma papa Woytyla, era, dunque, già stato a Monte Sant’Angelo? Si e, quanto pare, non una sola volta. La prima dovrebbe essere stata da giovanissimo sacerdote: una vicenda avvolta in un’aria di mistero ormai non più dipanabile. Il giovane Karol si era recato a “conoscere” il frate Cappuccino stigmatizzato di San Giovanni Rotondo. Come accadeva alla gran parte dei pellegrini di Padre Pio che egli stesso poi si premurava di inviare a “salutare San Michele”, probabilmente venne anche a Monte Sant’Angelo, colpito dal fascino insolito dell’eccezionale luogo sacro dal monastero che, quando alla fine di ottobre del 1974,  divenuto Cardinale, tornò alla tomba di padre Pio per ringraziarlo di una particolare grazia ottenuta per sua intercessione (sono fatti ormai noti), volle ritornare anche nella Grotta degli Angeli, dove attorniato dai suoi collaboratori, presiedette una solenne liturgia alla quale pochi ebbero la ventura di partecipare: era la mattina del 2 novembre e quasi tutti si erano recati nei Cimiteri sulle tombe dei loro cari. Chi avrebbe potuto immaginare che quell’ignoto cardinale straniero di lì a poco sarebbe divenuto papa? Dunque ritornava per la terza volta a Monte Sant’Angelo e sin dall’inizio della salita di Carbonara, dal finestrino semiaperto dell’auto (sono ancora confidenze di mons. Vailati) lo raggiunse l’allegro scampanio delle grandi campane della torre angioina. Sollevò dal breviario il bianco capo e sorridendo mormorò contento: “Sto arrivando”. Le antiche campane salutavano il Sommo Pontefice vescovo di Roma e successore di Pietro che dopo sette secoli tornava a prostrarsi nella Grotta dell’Arcangelo. L’ultimo era stato Gregorio X nel 1271 il quale, essendo stato eletto papa e trovandosi in Palestina, nel corso del viaggio di ritorno verso Roma, dove avrebbe ricevuto l’ufficiale investitura, si fermò a Siponto e salì sul Gargano scortato da re Carlo d’Angiò, devotissimo di san Michele, che reggeva le briglie come paggio d’onore al cavallo bianco montando il quale il nuovo papa era arrivato. Lì quel 24 maggio 1987 sul palco infiorato, accolto da una marea impressionante di persone, il Papa comunicò di essere venuto a pregare San Michele nella sua casa terrena sulle orme degli antichi predecessori: “Sono venuto anch’io per godere un istante dell’atmosfera propria di questo Santuario, fatta di silenzio, di preghiera e di penitenza. Sono venuto per venerare ed invocare l’Arcangelo San Michele perché protegga la Santa Chiesa in un momento in cui è difficile rendere un’autentica testimonianza cristiana senza compromessi e senza accomodamenti”. Il Santo Padre continuò affermando che, pur nell’incrollabile fiducia verso l’eterna verità del vangelo: “Le porte degli inferi non prevarranno” (Mt 16,18), egli era venuto nel Santuario Arcangelico più noto d’Occidente per supplicare San Michele affinché non facesse mai mancare il suo aiuto ai credenti che resistono al demonio il quale è ancora ben vivo ed operante nel  mondo. Qualche giornale laicista fece dell’ironia su questa inquietante esistenza perentoriamente confermata dal Papa. Sceso nella Grotta, il Papa recitò davanti alla statua di San Michele l’antica preghiera di papa Leone XIII che un tempo era obbligatoria dopo ogni Santa Messa: “Incatena nell’inferno Satana…”. Una supplica, un grido, una commossa invocazione. Il diavolo, come un leone ruggente, si aggira nel mondo per ghermire le anime, ma rimettendo Dio alla base delle proprie scelte di vita ed in cima ad ogni nostra aspirazione, la vittoria si di lui, con l’aiuto di San Michele, è sicura. Quis ut Deus? Che è poi lo stesso nome con il quale viene indicato nei libri sacri l’Arcangelo vincitore: Mi-ka-El. Ora il Papa accendeva la lampada di bronzo appositamente collocata per l’occasione nei pressi dell’ara arcangelica, opera dell’artista montanaro Michele Tiquino. Ripartendo, a conclusione di quella  visita, sussurrò ancora a mons. Vailati: “E’ proprio un Luogo incomparabile! Lo porterò con me come uno dei ricordi più belli di questo viaggio”.