Le Cicerchie

Giovanna Bergamasco

Alcuni giorni or sono, recandomi a fare la spesa dal mio rivenditore alimentare, vidi esposti alcuni sacchetti di plastica rigida e trasparente che mettevano in bella mostra i soliti legumi ( lenticchie, ceci, fagioli ) ma il mio interesse fu attratto irresistibilmente da uno di essi: le cicerchie. Dopo aver letto quel nome un ricordo mi attraversò repentino la memoria e mi parve di risentire la voce di mio padre quando si rammaricava con la mamma del fatto che non si trovassero più in commercio le cicerchie, sparite quasi nel nulla senza lasciare traccia. Desiderando saperne di più, mi posi dunque a studiare questo legume per conoscerlo meglio e comprendere il perché della sua scomparsa negli ultimi cinquant’anni.  La cicerchia (lathyrus sativus) è una leguminosa a granella e proviene da una pianta abbastanza simile a quella dei ceci. Originaria del Medio Oriente, la cicerchia era chiamata dagli antichi greci lathiros e dai romani cicercula e veniva utilizzata altresì per fare il pane, mescolata con la farina di grano. La cicerchia ha la capacità di produrre semi anche in condizioni ambientali che non renderebbero possibile la sopravvivenza a un’altra pianta commestibile. Infatti non ha bisogno di colture particolari (generalmente si seminava tra il granoturco, per sfruttare i piccoli spazi esistenti tra un solco e l’altro) ed inoltre può crescere in condizioni difficili: resiste cioè alla siccità, così come sa adattarsi a temperature molto basse e a terreni poco fertili. Per queste sue caratteristiche era detta coltura di assicurazione giacché forniva un buon raccolto anche quando le altre colture fallivano. Sia i Greci che i Romani la mangiavano abitualmente, così come per secoli fu il solo alimento dei contadini nostrani che non avevano altro da portare in tavola e anche dei nostri nonni, proprio perché era un legume che si coltivava in quegli avanzi di terreno in cui nascevano altre coltivazioni. Nei tempi antichi la cicerchia era molto diffusa mentre oggi questo legume è coltivato in quantità limitate e soltanto in alcune zone dell’Italia centrale: nell’Umbria, in Abruzzo, in Molise e Irpinia mentre è coltivata diffusamente in Asia e Africa orientale. Il  Lathyrus sativus  è anche noto  con il nome di pisello d’erba o veccia indiana e contiene nei suoi baccelli dei semi poco più grandi dei piselli ma più schiacciati. Durante il Rinascimento la cicerchia era molto diffusa e faceva anche parte della dieta dei ricchi, tanto che la si trova citata persino in importanti testi gastronomici. Negli ultimi cinquant’anni si è persa però la memoria di questo legume, oggi  rivalutato per il suo sapore (che non somiglia a nessun altro legume) e per la ricchezza dei suoi principi nutritivi: l’elevato contenuto di proteine e amido, la scarsa quantità di grassi oltre a una buona presenza di vitamine B1, B2, PP, calcio e fosforo. Si semina in primavera, all’inizio di aprile, e si raccoglie alla fine di luglio/inizio agosto. Attualmente se ne contano una ventina di specie tra cui quella coltivata in America, come alimento bovino, che appare grossa e insapore. Mentre invece la cicerchia piccola, con le colorazioni che vanno dal grigio al marrone chiaro e che oggi ritroviamo finalmente nella Toscana, nell’Abruzzo e soprattutto nelle Marche ( sia come oggetto di recupero dei cibi tradizionali, che di iniziative per la tutela della biodiversità vegetale) è la varietà preferibile, per la facilità di cottura ed il sapore.. Tutto bene dunque, si sarebbe portati a dire, e allora perché la sua produzione è stata ridotta progressivamente fin quasi a scomparire nell’uso corrente? La ragione di ciò è stata determinata dal fatto che la cicerchia contiene una sostanza tossica e amara ( la latirina ) resistente alla cottura (la beta-N-ossalilammino-L-alanina) e che può dare problemi al sistema nervoso fino alla paralisi degli arti inferiori. Solo alla fine dell’Ottocento, infatti, alcuni medici napoletani collegarono i casi di paralisi, abbastanza frequenti tra i contadini abruzzesi, al consumo eccessivo di cicerchie. La patologia venne chiamata latirismo da lathyrus, nome latino della cicerchia. Ma in seguito si comprese che questa grave tossicità si concretizzava solo in caso di consumo abbondante e continuativo delle cicerchie. In commercio le cicerchie si trovano secche e decorticate ma, prima di essere cotte, devono subire un lungo ammollo (24 ore) in acqua tiepida e leggermente salata. Dopo di che si scarterà l’acqua dell’ammollo e le cicerchie, una volta risciacquate, verranno cotte in acqua pulita per un’ora e mezzo. E’ inutile ricordare di usarle in modo limitato. Avvertimento, quest’ultimo, che ci appare veramente fuori luogo perché oggi non siamo più vincolati, per sopravvivere, ad un solo e unico alimento. Cosa questa cui erano invece obbligati i poveri contadini – dalla colazione di presto mattino prima di andare nei campi, sino alla sera – perché non avevano null’altro da portare in tavola nell’intero arco dell’anno contrassegnato da un’impietosa miseria!