Matilde Serao e l’iconografia degli angeli nel Santuario di Montevergine

don Marcello Stanzione

Matilde Serao (Patrasso, Grecia, 1856 – Napoli 1927) scrittrice italiana. Di madre greca, conseguì a Napoli il diploma magistrale, s’impegnò ai telegrafi, iniziando nel contempo un’intensa attività giornalistica. Col marito E. Scarfoglio (che aveva sposato nel 1884) fondò il “Corriere di Roma” poi il “Corriere di Napoli” e “Il Mattino”. Separatasi dal marito, diede vita nel 1904 a “Il Giorno”, altro quotidiano napoletano, che diresse fino alla morte . Narratrice copiosissima,,lasciò oltre quaranta volumi di romanzi e racconti. Il suo periodo più felice è il primo, ispirato ai modi del verismo meridionale, ma potenziato da uno stile visionario e spettacolare: Fantasia (1833), La Virtù di Checchina (1884), Il ventre di Napoli (1883), IL romanzo della fanciulla (1886), Vita e avventure di Riccardo Joanna (1887),il paese di cuccagna (1890), La ballerina (1899). Sul finire del secolo si lasciò attrarre dalle nuove correnti spiritualistiche e misticheggianti, ponendo la sua facile vena al servizio di idealità astratte e convenzionali, sviluppando i temi del sogno e del mistero (Temi il leone, 1916; Mors tua…, 1926); e alla divulgazione di una anedottica religiosa, superficiale ed estetizzante, dedicò anche alcuni volumi storico – agiografici, fra cui Nel paese di Gesù (1898), La Madonna e i santi nella fede e nella vita (1902), San Gennaro nella leggenda e nella vita (1909). Il bollettino del 1923 del Santuario di Montevergine, famoso centro benedettino di spiritualità mariana in provincia di Avellino, negli ultimi mesi del bollettino religioso di quell’anno, riporta due suggestivi articoli di Matilde Serao, intitolati “L’angelo della preghiera” e “L’angelo dell’implorazione” e si riferiscono ai bellissimi angeli, ai lati del Crocifisso nella cappella omonima, una volta della Madonna, dove era situata l’icona della Maestà di Montevergine, in modo da formare uno splendido trittico (Attualmente si pensa di trasferire nuovamente l’Icona nella sua sede storica, non solo per motivi artistici e culturali, ma soprattutto allo scopo di ristabilire un contatto più ravvicinato tra il pellegrino e l’Immagine, in modo tale che possa sentirsi pervaso da un’atmosfera mistica) . I cronisti benedettini verginiani ci riferiscono di molte pratiche devozionali in uso quando la Madonna era nell’antica cappella, come quella di portarsi in ginocchio o scalzi o con la lingua a terra, dall’ingresso  fino a davanti al quadro, poi dimesse con il trasferimento all’altare maggiore nella nuova chiesa). Gli angeli furono realizzati nel momento in cui l’abate dell’epoca Vittore Corvaia decise di rivedere le decorazioni murali della cappella della Madonna per renderla un gioiello d’arte, dal momento che si trovava in uno stato di completo abbandono, soprattutto in seguito alle tristi vicende della congregazione virginiana legate alle soppressioni. Per tale ragione furono interpellati gli artisti irpini Angelo e Vincenzo Volpe che iniziarono i lavori nel 1889; morto però Angelo nel 1894, rimase solo il fratello a completare l’opera intrapresa. A Vincenzo erano state commissionate le tele dei quadri e delle altre pitture che dovevano ornare le pareti della cappella; in quel periodo la sua fama di artista di valore aveva varcato i confini dell’Italia e ciò nel momento in cui il suo temperamento lo portava inconsciamente verso l’arte sacra. L’ambiente del chiostro benedettino, con la pace ed il silenzio austero, al melodia del canto gregoriano, esercitarono su di lui un potente fascino, che lo spinsero a realizzare le sue opere, sentendosi, in un certo senso, trasportato in un ambiente soprannaturale. Si accostò, dunque, ai suoi soggetti con una sensibilità particolare, con umiltà di cuore, cercando di trasmettere “il bello dal punto di vista del sacro, come irradiazione della bellezza di Dio”. Durante i lavori di restauro fu allargato lo spazio intorno all’altare della cappella ed in una parte di esso il Volpe realizzò, le due figure di angeli: una con la veste color lilla, io volto, incorniciato da riccioli biondi, ripiegato verso le mani congiunte, le ali sollevate nell’atto della preghiera; l’altra, con la veste azzurra, rivolta verso il luogo dove si trovava la Maestà di Montevergine, con le ali raccolte nel gesto dell’implorazione; ai loro piedi gigli bianchi tra nuvole d’incenso. La scrittrice Matilde Serao, in visita al Santuario alla fine del diciannovesimo secolo, come risulta dagli album delle firme autografe dei visitatori illustri dell’epoca custoditi nell’archivio storico di Montevergine, rimase affascinata da quelle celestiali creature ritratte dal Volpe e volle interpretare i sentimenti ed il rapimento delle anime dei pellegrini, che si prostrano ai piedi dell’Icona della Madonna di Montevergine, compilando gli splendidi ritratti dell’Angelo della Preghiera e dell’Angelo dell’Implorazione. Nel primo la poetessa descrive mirabilmente la figura dell’angelo che si erge su uno sfondo color oro pallido, ma allo stesso tempo molto luminoso. Costui prega in un atteggiamento così profondo e raccolto che si può dire sia la personificazione dell’orazione stessa; le sue sembianze sono semplici, ma raffinate ed i colori tenuti allo scopo di non disturbare il senso mistico della composizione. La poetessa mette popi in evidenza il talento artistico del Volpe affermando che di più non poteva fare poiché ci ha voluto tramandare, non la pittura di un angelo nell’atto della preghiera, ma  “…l’essenza della fede stessa…un sentimento che, ahimè più non accende l’arido cuore moderno…”. Il pittore ha saputo trasportarti in un mondo passato pervaso da sentimenti autentici, come quello dell’amore e della fede e ciò è stato possibile grazie al suo animo semplice, che gli ha permesso di dipingere un angelo adorante davanti al quadro della Madonna di Montevergine. Mentre il primo angelo ha già ricevuto la Grazia, nel secondo, raffigurato con una testa piccola e gracile, i capelli di un castano chiaro, scomposti, da adolescente, le mani piccole congiunte, il volto pallido rivolto verso il cielo, si avverte “…il fremito…lo slancio…l’infinito desiderio…” di essa. Tali figure, ideate per essere poste a destra e a sinistra dell’altare della Madonna, con le loro espressioni lasciano intendere tutto ciò che vorrebbero dire i credenti alla Vergine, mettendo a nudo il proprio animo. E ciò sarà sempre, sia nelle giornate del pellegrinaggio popolare che in quelle in cui ognuno vorrà prostrarsi, quando la chiesa è deserta, per colloquiare intimamente con la Maestà del Partenio dagli occhi espressivi, pieni di fascino, e riceverne conforto e sentirsi spiritualmente appagati. La poetessa conclude poi con la  sicurezza che tali figure angeliche pregheranno sicuramente per tutti e maggiormente per il pittore che li ha creati. Gli angeli del Volpe hanno ispirato altri componimenti, come quello composto in occasione del mese di ottobre, dedicato alla festività degli angeli, nel Bollettino del Santuario del 1922. Introducendo il numero, il breve saggio, è opera di un religioso benedettino che immagina di aver visto gli  angeli da bambino nel sogno che, scortando la sua anima in cielo e illuminandolo nei suoi dubbi e nelle sue incertezze, lo hanno condotto in cima del  monte Partenio, dove egli, facendo riferimento agli angeli del Volpe, ha riscontrato gli angeli terreni che di notte “adorano Iddio e cantano le glorie di Maria”. Il monaco si augura di poter chiudere, fra le schiere degli angeli, “sotto lo sguardo dolcissimo della Regina del Partenio gli occhi a questa luce transitoria per aprirli alla luce eterna, che Gesù ha promesso a chi Lo ama!…”.