“Corpofondo” di Gaetano Carbutti, metafora della vita?

Rita Occidente Lupo

Il nostro tempo, così inquieto, non può non allungare l’ombra sulle prospettive vitali, che non sempre fagocitano buoni auspici. Tra incertezze ed inquietudini, talora la parabola esistenziale, una vera e propria crociata, nell’umano credere che la vita, in fondo, un gioco di parti. Tra alchimie e pronostici, senza tirar giù secche risposte all’incomprensibile. All’incognita, che in ogni caso camuffa le spigolature. La lirica, soffre i singhiozzi del tempo. O, se si crede, ritma i guizzi del tempo. Quelli a volte incoercibili, che fugano anche le apparenti certezze, per assorbire linfe rigenerabili. Così la fatica letteraria di Gaetano Carbutti “Corpofondo”, salernitano, regista, già autore di altre sillogi poetiche, partecipe con lusinghieri consensi anche a certami. Le sue poesie, caotiche, ad un primo acchitto…arcane, per quella rinfusa di metafore, che inseguono lo spannung. Che danno l’idea di un costante abbordare il tempo, senza porne un freno riflessivo. Difficile il suo verso, poco duttile per degli aspetti, anche se sembra talmente compressa la passione fasica, che difficilmente si riesce ad inquadrare un canovaccio unico. Versi alla rinfusa? Lacerti emotivi, tra coaguli reminescenziali e prototipi scheletrici?  L’efficacia della narrazione, che procede assecondando talvolta anche squarci narrativi, intimamente serrata nella morsa d’un altalenante gioco sintattico, riesce a tradurre al fruitore, fino all’ultima pagina, emozioni incontaminate, senza il rischio d’incedere nella retorica obsoleta.