Storia: Il sangue del Sud (e il sudore del nord)

Salvatore Ganci

Recensione “sui generis” di: Giordano Bruno Guerri: Il Sangue del Sud, (Oscar Mondadori, Milano 2011) operata da un Fisico che, ogni tanto, legge. Se vi capita di leggere sulla più immediata fonte di informazione (Wikipedia Italia) la voce “Brigantaggio Postunitario  sarete subito avvisati che: “Questa voce o sezione sull’argomento storia è ritenuta non neutrale.”. D’altra parte la storia la scrivono sempre i vincitori per cui, prima degli anni ‘80 era da “nazifascisti” sostenere che il nome di Carmine Scotti fosse tolto dall’elenco dei caduti “partigiani” sotto il ponte monumentale di Genova. Dai primi anni ’80 non lo è più perché un PM genovese risollevò il caso ben consapevole dell’amnistia del 1948, invocata, ovviamente, dagli assassini e ex militanti partigiani. Ma forse il paziente lettore dirà che sto divagando. Arrivo subito al punto. La tanto celebrata “unità d’Italia”, che è finalmente terminata e che, stando a quanto percepito, è stata caratterizzata da una indifferenza totale. Indifferenza è l’opposto di “amore” e non si può negare che nel riconsiderare oggi l’unità d’Italia buona parte di noi dirà la classica frase: “ma chi ce l’ha fatto fare …” altro che “amor di patria”. Alle scuole elementari ricevetti, io, terrone, un rimprovero dal mio maestro (abruzzese e quindi terrone come me) per la poca enfasi con cui leggevo “la piccola vedetta lombarda”. Da bambino mite, l’idea che scorresse del sangue mi ripugnava, anche per la “causa” italiana, allora così enfatizzata nelle scuole. Al Liceo la questione della “causa italiana” divenne più realistica (già negli anni grassi del ’60) e si parlò asetticamente di “Questione Meridionale” e fu uno dei temi assegnati al mio esame di maturità. Nessuno aveva ancora posto il problema in termini ancora più realistici di “guerra civile”, di conquista coloniale di un sud che stava bene stando male, perché con i piemontesi stette senz’altro peggio. Leggo oggi (da semplice lettore) un delizioso libro intitolato Il Sangue del Sud di  Giordano Bruno Guerri (che raccomando a tutti) e tanta realtà odierna acquista per me, una luce nuova. La “filosofia” del libro la si può sintetizzare nel periodo: “Ci avete voluto civilizzare? Ebbene saremo perpetuamente la vostra palla al piede”. Ovviamente il libro è un testo di “Storia” e pertanto, rifacendosi criticamente alle fonti, ci presenta una vera e propria “Resistenza” all’invasione indesiderata del Piemonte. Le rappresaglie (Casalduni e Pontelandolfo, tra le più note) furono peggiori di quelle operate dai Nazisti nell’Appennino Tosco-Emiliano, ma nel “male” non è lecito operare confronti.  Probabilmente qualche politico leghista questo libro lo avrà letto con molta attenzione e preoccupazione, visti i “riguardi” della politica nei confronti del sud, dove il sussidio di disoccupazione fruito qui da noi per sei mesi a sud vale 12 mesi. Le Leggi della repubblica valgono secondo la latitudine? O come un politico pugliese che sosteneva che le alte votazioni date all’esame di stato erano anche un incentivo per giovani con già scarse prospettive di lavoro? Se è così, allora ho sintetizzato efficacemente la lettura di questo libro. Considerati dai piemontesi “razza inferiore”, al punto da conservare sotto spirito la testa di un “brigante” mi chiedo oggi se quanto voleva determinare il brigantaggio, in una guerra che la resistenza del Sud era ben cosciente di perdere in partenza, alla fine non l’abbia spuntata. Oggi abbiamo la Fincantieri che è prossima a chiusura, la Fiat che volge un occhio agli U.S.A., una Olivetti che non puntò nel settore dei PC (dove negli anni ’80 eccelleva) e il nuovo presidente del Consiglio (un tecnico, un “professore”) che si preoccupa di rifinanziare il “socialmente utile” a Napoli e in Sicilia e ignora chi perde il lavoro a nord. Insomma si chiude ciò che produce PIL e si incrementa ancora di più il terziario che aumenta il debito pubblico: a sud. Forse dovremo tutti cambiare cultura, esattamente come i piemontesi cercarono di imporre a sud, senza alcun successo, visti gli esiti. E proprio visti gli esiti, non è a sud che occorre guardare, ma molto più a nord dell’Italia stessa. Con buona pace dei civili seviziati, dei “briganti” fucilati assieme ai contadini cui Garibaldi prometteva terre tolti ai latifondisti e dell’inerzia colpevole di un re inetto che poteva fermare i garibaldini senza neppure troppo sforzo. Altro che unità d’Italia: una conquista coloniale con cinque anni di guerra civile e di massacri indiscriminati. Per celebrare il 150° dell’unità sarebbe stato più onesto rintracciare i documenti ancora reperibili su questi massacri  ed evitare enfasi di un patriottismo che non c’è mai stato.

 

2 pensieri su “Storia: Il sangue del Sud (e il sudore del nord)

  1. Caro Dr Salvatore G,anci,
    forse è da qualche anno che in Italia stia emergendo la storia , quella più compatibile con la realtà che , forse, non ci è stata del tutto spiegata abbastanza. Anch’io, come Lei, ho avuto modo di leggere alcuni libri, più o meno recenti, riguardante “l’unificazione d’Italia”. Mi riferisco al libro storico di Pino Aprile con il quale ho avuto modo di complimentarmi tramite internet per il suo meraviglioso libro intitolato “Terroni”, o quello scritto da Antonio Ciano dal titolo “I Savoia e il massacro del Sud; la raccolta in fascicoli de “Il mattino” ed altri due illuminanti volumi tra cui quello della nota scrittrice Prof.ssa Dora Liguori con il suo libro dal titolo “ Quell’Amara Unità D’Italia”
    In tali letture mi è parso di notare un solo scopo da parte dei piemontesi. Quello di svuotare le casse del regno delle due Sicilie di proprietà del Regno borbonico.
    Ho letto anche che quei “famigerati briganti”, buona parte di loro erano dei semplici combattenti che difendevano il proprio suolo e , per convenienza politica, per non dire che si trattava di una guerra e quindi
    venivano appellati come briganti. Si legge anche che i Savoia misero a ferro e fuoco interi villaggi e paesi , uccidendo e sottraendo ai malcapitati tutti i loro averi, uccidendo chi reagiva .Se il Piemonte allungò il proprio confine, il Sud non ci guadagnò di certo, anzi, credo che stia ancora pagando la sconfitta a caro prezzo (esempio dei fondi FAS).
    Con viva cordialità, Alfredo

  2. Grazie per il commento. La fotografia che correda l’articolo dice molto di più del testo. Accostare le rappresaglie piemontesi a quelle operate dai Nazisti nell’appennino tosco-emiliano è un mio pensiero del tutto personale, non espresso nel libro recensito. Strano che non faccia “indignare” nessuno …
    Cordialità
    Salvatore Ganci

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