L’Inferno visto dal Beato Giovanni Paolo II
I cardinali, riuniti in Conclave, elessero papa il cardinale di Cracovia mons. Karol wojtila il 16 ottobre 1978. Prese il nome di Giovanni Paolo II e il 22 ottobre iniziò solennemente il ministero petrino, quale 263° successore dell’Apostolo. Il suo pontificato è stato uno dei più lunghi della storia della Chiesa ed è durato 26 anni, 5 mesi e 17 giorni. Giovanni Paolo II ha esercitato il suo ministero con instancabile spirito missionario, dedicando tutte le sue energie sospinto dalla sollecitudine pastorale per tutte le Chiese e dalla carità aperta all’umanità intera. I suoi viaggi apostolici nel mondo sono stati 104. In Italia ha compiuto 146 visite pastorali. Come vescovo di Roma, ha visitato 301 parrocchie (su un totale di 333). Più di ogni Papa precedente ha incontrato il popolo di Dio e i responsabili delle nazioni: alle udienze generali del mercoledì (1166 nel corso del pontificato) hanno partecipato più di 17 milioni e 600 mila pellegrini, senza contare tutte le altre udienze speciali e le cerimonie religiose (più di 8 milioni di pellegrini solo nel corso del Grande Giubileo dell’anno 2000), nonché i milioni di fedeli incontrati nel corso delle visite pastorali in Italia e nel mondo. Numerose anche le personalità governative ricevute in udienza: basti ricordare le 38 visite ufficiali e le altre 738 udienze o incontri con capi di Stato, come le 246 udienze e incontri con i primi ministri. Il suo amore per i giovani lo ha spinto a iniziare, nel 1985, le Giornate mondiali della gioventù. Le 19 edizioni della Gmg che si sono tenute nel corso del suo pontificato hanno visto riuniti milioni di giovani in varie parti del mondo. Allo stesso modo la sua attenzione per la famiglia si è espressa con gli Incontri mondiali delle famiglie da lui iniziati a partire dal 1994. riguardo alla terribile possibilità di andare all’inferno dopo morti, il beato Giovanni Paolo II nella catechesi dell’udienza generale del 28 Luglio 1999 dichiarò. “ Dio è Padre infinitamente buono e misericordioso. Ma l’uomo, chiamato a rispondergli nella libertà, può purtroppo scegliere di respingere definitivamente il suo amore e il suo perdono, sottraendosi così per sempre alla comunione gioiosa con lui. Proprio questa tragica situazione è additata dalla dottrina cristiana quando parla di dannazione o inferno. Non si tratta di un castigo di Dio inflitto dall’esterno, ma dello sviluppo di premesse già poste dall’uomo in questa vita. La stessa dimensione d’infelicità che questa oscura condizione porta con sé può essere in qualche modo intuita alla luce di alcune nostre terribili esperienze, che rendono la vita,. Come si suol dire, un “inferno”. In senso teologico, tuttavia, l’inferno è altra cosa: è l’ultima conseguenza dello stesso peccato, che si ritorce contro chi lo ha commesso. E’ la situazione in cui definitivamente si colloca chi respinge la misericordia del padre anche nell’ultimo istante della sua vita. Per descrivere questa realtà, la Sacra Scrittura si avvale di un linguaggio simbolico, che si preciserà progressivamente. Nell’Antico Testamento la condizione dei morti non era ancora pienamente illuminata dalla rivelazione. Si pensava infatti per lo più che i morti fossero raccolti nello “Sheol”, un luogo di tenebre, una fossa dalla quale non si risale, un luogo in cui non è possibile dare lode a Dio. Il Nuovo Testamento proietta nuova luce sulla condizione dei morti, soprattutto annunciando che Cristo, con la sua risurrezione, ha vinto la morte e ha esteso la sua potenza liberatrice anche nel regno dei morti. La redenzione rimane tuttavia un’offerta di salvezza che spetta all’uomo accogliere in libertà. Per questo ciascuno verrà giudicato “secondo le sue opere”. Ricorrendo a immagini, il Nuovo Testamento presenta il luogo destinato agli operatori d’iniquità come una fornace ardente, dove è “pianto e stridore di denti”, oppure come la Geena dal “fuoco inestinguibile”. Tutto ciò è espresso narrativamente nella parabola del ricco epulone, nella quale si precisa che gli inferi sono il luogo di pena definitiva, senza possibilità di ritorno o di mitigazione del dolore. Anche l’Apocalisse raffigura plasticamente in un o “stagno di fuoco” coloro che si sottraggono al libro della vita, andando così incontro alla “seconda morte”. Chi dunque si ostina a non aprirsi al Vangelo si predispone a “una rovina eterna, lontano dalla faccia del Signore e dalla gloria della sua potenza”. Le immagini con cui la Sacra Scrittura ci presenta l’inferno devono essere rettamente interpretate. Esse indicano la completa frustrazione e vacuità di una vita senza Dio. L’inferno sta a indicare, più che un luogo, la situazione in cui viene a trovarsi chi liberamente e definitivamente si allontana da Dio, sorgente di vita e di gioia. Così riassume i dati della fede su questo tema il Catechismo della Chiesa Cattolica: “Morire in peccato mortale senza esserne pentiti e senza accogliere l’amore misericordioso di Dio, significa rimanere separati per sempre da lui per una nostra scelta. Ed è questo stato di definitiva auto – esclusione dalla comunione con Dio e con i beati che viene designato con la parola “inferno””. La “dannazione” non va perciò attribuita all’iniziativa di Dio, poiché nel suo amore misericordioso egli non può volere che la salvezza degli esseri da lui creati. In realtà è la creature che si chiude al suo amore. La “dannazione” consiste proprio nella definitiva lontananza da Dio, liberamente scelta dall’uomo e confermata con la morte, che sigilla per sempre quell’opzione. La sentenza di Dio ratifica questo stato. La fede cristiana insegna che, nel rischio del “sì” e del “no” che contraddistingue la libertà creaturale, qualcuno ha già detto no. Si tratta delle creature spirituali che si sono ribellate all’amore di Dio e vengono chiamate demoni. Per noi esseri umani questa loro vicenda suona come ammonimento: è richiamo continuo a evitare la tragedia in cui sfocia il peccato e a modellare la nostra esistenza su quella di Gesù che si è svolta nel segno del “sì” a Dio. La dannazione rimane una reale possibilità, ma non ci è dato di conoscere, senza speciale rivelazione divina, se e quali esseri umani vi siano effettivamente coinvolti. Il pensiero dell’inferno – tanto meno l’utilizzazione impropria delle immagini bibliche – non deve creare psicosi o angoscia, ma rappresenta un necessario e salutare monito alla libertà, all’interno dell’annuncio che Gesù risorto ha vinto Satana, donandoci lo Spirito di Dio, che ci fa invocare “Abbà, Padre”. Questa prospettiva ricca di speranza prevale nell’annuncio cristiano. Essa viene efficacemente riflessa nella tradizione liturgica della Chiesa, come testimoniano ad esempio le parole del Canone Romano: “Accetta con benevolenza, o Signore, l’offerta che ti presentiamo noi tuoi ministri e tutta la tua famiglia…salvaci dalla dannazione eterna, e accoglici nel gregge degli eletti”.