L’Italia: un Paese ammalato, si grida, invece di parlare

Giuseppe Lembo

Tutto contro tutti; si usano i cannoni mediatici dell’uno contro l’altro armato. Quale il valore della rappresentanza democratica? La piazza, soprattutto la piazza mediatica, dove si grida più che parlare, è l’ultima ratio di un Paese ormai senza bussola. È sempre più delegittimata la democrazia rappresentativa. Sono in tanti a chiedersi, se ancora ha un ruolo e chi rappresenta chi? Così delegittimata, non rappresenta nessuno; in tutti, c’è la convinzione di una grave crisi sistemica dell’Italia, dove da tutte le parti, con l’intento di non farsi capire, si grida invece di parlare. Il teatrino della politica, della falsa cultura e della ancora più falsa comunicazione è sempre attivo per ingannare il prossimo; l’obiettivo è quello di imbrogliare la gente, facendo credere tutto ed il contrario di tutto. La piazza mediatica, cara ai più, domina le scene ed in mondo indiscusso propina le sue verità – vangelo, i suoi modelli accattivanti, fatti di un edonismo senza fine che piace ai più, ritrovandosi bene in esso; ciascuno egoisticamente agendo sempre più solo per il proprio bene, è del tutto indifferente al bene degli altri. L’Italia è, purtroppo, un Paese ammalato. Che fine farà se, tutto continua ad essere spettacolarizzato sulla piazza mediatica, dove prevale il virtuale sul reale? L’Italia è un Paese pieno di vizi; sono vizi che vengono da lontano e non hanno mai permesso al Paese di crescere nell’unità, di essere un popolo di quell’insieme italiano che, dopo 150 anni, ancora non c’è. Nel sistema Paese c’è tutto, proprio tutto come 150 anni fa; i tanti vizi del passato sono vizi vivi ancora oggi. La loro virulenza sul fare condiviso e sul bene comune, è forte come nel passato. La criminalità, il malaffare, l’arte dell’arrangiarsi e dell’imbrogliare il prossimo sono il simbolo vivente del fatto che nulla è cambiato; tutto ha una sua continuità. Quello che fa tremare le vene ai posi è l’immagine di sempre di un Paese ammalato ed alla deriva. In un editoriale del Venerdì (venerdì 8 aprile 2011), il giornalista Giorgio Bocca, parlando delle nostre città, delle nostre ferrovie e delle nostre strade, da Roma in giù le definisce in una condizione da “sfascio pendulo”, per il degrado, lo “sgarrupo” ed il crescente e continuo disfacimento del territorio che scivola a valle trascinando e travolgendo tutto quanto incontra nel suo viaggio senza ritorno, il frutto, appunto di uno sfascio, con le sue radici nell’uomo, sempre più incapace di rispettare i mondi vitali e creare con essi, una corrispondenza di “amorosi sensi”. Bocca, vede comatoso anche lo stato di salute della nostra società che non sa amare ed amarsi, che non sa raccontare e raccontarsi per costruire insieme un cammino di pace, di umanità nuova. Comatoso è, tra l’altro, lo stato di salute della nostra informazione, del nostro comunicare sempre meno autentico, indifferente all’etica ed alla società che muore nell’indifferenza di tutti. La condizione tragica del nostro paese ci fa dire, anzi ci fa gridare forte “Ahi serva Italia!”. Così, proprio non va! Così, non può continuare! Ma dov’è l’Italia di una volta? Dov’è la grandezza dell’Italia passata? Dov’è quel senso antico di considerare l’ospite sacro e di condividere con lui il pane nero ed un buon bicchiere di vino? Di tutto questo ci sono solo magnifici ricordi; si tratta di ricordi importanti da non cancellare, da non fare scomparire dalla memoria; un giorno, forse non lontano, possono, essendo radici importanti, restituirci la dignità e l’orgoglio di un’italianità perduta, da ritrovare, per costruire insieme un diverso futuro italiano.