Acropoli, nuovo libro di Germano Bonora

 Giulio Caso

Interessante evento culturale ad Acropoli: sabato, 7 maggio, alle ore 18,30,  nell’aula consiliare ci sarà la presentazione del nuovo libro di Germano Bonora  “Educare comunicando per costruire il futuro”  (L’Arcolaio editrice di Gianfranco Fabbri di Forlì). Interverranno: il sindaco di Agropoli, avv. Francesco Alfieri – L’assessore all’identità culturale, Francesco Crispino – Il procuratore generale della suprema corte, dott. Vitaliano Esposito – La prof.ssa Elvira Milano, presidente dell’Hauser – Il giornalista Clodomiro Tarsia – La scrittrice Milena Esposito – Coordinatrice dei lavori, la prof.ssa Giuseppina De Marco. Interpreteranno alcuni brani del libro gli attori Antonio, Luigi e Raffaele Speranza.

2 pensieri su “Acropoli, nuovo libro di Germano Bonora

  1. Ovviamente le città è AGROPOLI, bellissima città in provincia di Salerno. La lettera “c” è dovuta al dispettoso, moderno e tecnologico “munaciello” che si trova oramai nei computer sotto forma di correttore automatico.
    Mi scuso con i lettori.

  2. AULA CONSILIARE GREMITA
    ALLA PRESENTAZIONE DEL LIBRO
    “EDUCARE COMUNICANDO”
    DI GERMANO BONORA,
    EDITO DALLE EDIZIONI L’ARCOLAIO
    DI G. FABBRI DI FORLI

    LA SCRITTRICE MILENA ESPOSITO INTERVISTA L’AUTORE

    Oltre a occupare tutti i posti a sedere, non meno di cento persone sono rimaste in piedi dalle 18,30 alle 20.30 di sabato, 7 maggio, per ascoltare gli appassionati interventi del sindaco, avv. Francesco Alfieri, che dopo il saluto ha dato il suo autorevole contributo aprendo la discussione seguito dal benemerito assessore all’Identità Culturale, Francesco Crispino.
    Il Procuratore Generale della Corte Suprema, S. E. Dott. Vitaliano Esposito, partendo dall’arringa di Piero Calamandrei in difesa di Danilo Dolci al processo di Palermo per lo sciopero alla rovescia, si è soffermato sui temi centrali del libro, svolgendo un’appassionata lectio magistralis di cultura giuridica, degna del padre nobile della Costituzione italiana.
    La Prof.ssa Elvira Lo Bascio Milano, presidente dell’HAUSER di Agropoli, si è intrattenuta a lungo sulla figura del Poeta – educatore triestino, facendo riferimento all’altro libro di Bonora, “DOLCI RICHIAMI – testimonianze di familiari, amici e collaboratori su DANILO DOLCI”, uscito a fine marzo da Arduino Sacco Editore di Roma.
    Il giornalista scrittore Clodomiro Tarsia ha illustrato l’opera di Bonora, citando alcuni tratti significativi di “Educare comunicando…”.
    Il prof. Luigi Speranza, fine dicitore, ha interpretato alcuni brani dei due libri, suscitando scroscianti applausi.
    Regista della manifestazione culturale la prof.ssa Giuseppina De Marco.
    Ha concluso i lavori la scrittrice Milena Esposito, che, dopo un’acuta premessa introduttiva, ha posto alcune domande all’Autore.

    Ecco il testo integrale dell’intervista.

    Ho trovato il libro di Germano Bonora molto interessante sotto il profilo semantico.
    La semantica è una scienza in stretto rapporto con altre discipline, come la semiologia, la logica, la psicologia, la teoria della comunicazione, la stilistica e la filosofia del linguaggio.
    Ho provato molto interesse rispetto all’importanza della figura non solo dell’educatore7 educatrice, ma anche del poeta / poetessa, che, proprio come l’esperto educatore fa con gli alunni e la comunicazione, collega la poesia al fare oltre alla fantasia. I poeti oltre essere dotati di fantasia e sensibilità, di senso estetico e tensione ideale, devono farsi anche operatori della società civile – dice Bonora in questo suo lavoro riprendendo l’opera di Danilo Dolci.
    Ciò fa venire in mente la citazione attribuita a Torquato Tasso: “Nessuno merita il nome di Creatore, tranne Dio e il poeta.”
    La potenza delle parole è qui, quindi, forza creativa.
    Sono persuasa dell’importanza della poesia a prescindere dalla sua implicazione squisitamente sociale, convinta che l’eccelsa opera umana, la poesia appunto, è canzone della bellezza e come tale contribuisce di per sé a migliorare il mondo come fanno i fiori che sono la presenza del Divino in terra.
    Ho accettato di buon grado l’incontro pubblico in questa manifestazione perché fornisce l’opportunità preziosa di discutere di “cose umane” in un contesto comunicativo e non trasmissivo.
    Desidero iniziare subito a porgere l’intervista all’autore, al quale porgo i miei complimenti.

    1. Chi sono i destinatari del suo libro?

    Destinatari del mio libro sono i giovani, non quelli dell’anagrafe, ma quelli della mente e del cuore, che sognano di costruire il futuro con il contributo degli altri, anzi di altre creature, cioè di persone destinate a creare il proprio avvenire, secondo le capacità e le attitudini di ciascuno, secondo i propri talenti, senza subire il dominio di duci, di führer, di zar, di leader o di capi carismatici.
    C’è da precisare che il carisma attiene all’ambito religioso, non alla politica, che Paolo VI considerava la più alta forma di carità.
    La manipolazione delle parole a fini di dominio è, purtroppo, comune a tutti i regimi, compresi quelli apparentemente democratici.
    Nei regimi autocratici o dispotici la manipolazione del lessico e della verità dei fatti avviene sistematicamente con l’occupazione dei media, affidati a complici e manutengoli asserviti alla diffusione e inoculazione mediatica del virus del dominio.

    2. Chi è, per lei, Danilo Dolci?
    Ho dedicato tre libri a Danilo Dolci. Qui mi limiterò all’essenziale.
    Danilo Dolci è uno che alla fine del corso di architettura, anziché discutere la tesi di laurea già presentata, decide di recarsi a Fçssoli, l’ex campo di concentramento nazista, trasformato da don Zeno Saltini in un luogo di accoglienza per sbandati di guerra denominato NOMADELFIA, che significa “la fratellanza è legge”. Vi rimase tredici mesi, facendo da segretario di don Zeno senza trascurare i lavori più umili.
    Alla vigilia della chiusura da parte dei celerini di Scelba e della sospensione a divinis di don Zeno dalle complici gerarchie ecclesiastiche, Danilo si trasferisce in Sicilia, nella zona di Trappeto, una frazioncina di Balestrate dove il padre Enrico era stato capostazione. Il giovane Danilo considerava quella terra la più povera del mondo, pur essendo tra le più dotate dalla madre Natura, per l’oppressione del sistema politico, mafioso e anche religioso.
    DANILO DOLCI, dopo le analisi, gli scioperi alla rovescia, le lotte contro la violenza del sistema politico/mafioso/religioso, dedicò gli ultimi trent’anni della sua straordinaria vita all’EDUCARE MAIEUTICO, limitandosi a porre domande e ad ascoltare, valorizzando le risposte in un reciproco adattamento creativo.
    La Sicilia occidentale diventa così una sorta di laboratorio di analisi sociopolitica di valenza universale.
    Norberto Bobbio fu il primo a sottolineare, fin dal 1955, nella Prefazione a Banditi a Partinico, il forte nesso tra il dire e l’agire affermando: “La via scelta da Danilo Dolci è stata diversa, tanto diversa da essere insolita e singolarissima: è stata la via del non accettare la distinzione tra il predicare e l’agire, ma del far risaltare la buona predica dalla buona azione, e del non lasciare ad altri la cura di provvedere, ma di cominciare a pagare di persona”.
    il Dolci è il maggiore se non il primo operatore socioculturale in cui il dire e l’agire sono una cosa sola. Un esempio di coerenza straordinario nella storia civile, sociale e letteraria del nostro Paese.
    Danilo fu candidato nove volte al Nobel per la pace, che non gli fu attribuito per aver conseguito, a soli 34 anni, l’omologo Premio Lenin da Mosca, pur non essendo mai stato marxista né comunista, ma fedele al culto della pace e della nonviolenza, per cui gli fu conferito dall’India il Premio Gandhi, l’unico in Occidente. Fu denominato per questo il Gandhi siciliano.
    3. Fin dagli anni ’50 Danilo Dolci si è interrogato in profondità sul senso del comunicare e sugli sviluppi educativi, sociali, politici e umani.
    “Per comunicare non basta l’iniziativa del singolo: occorre l’attivo corrispondere di un altro, di altri”.
    Danilo Dolci ha denunciato i danni derivanti in ogni ambito da rapporti unidirezionali, trasmissivi, violenti e ha proposto l’alternativa della comunicazione.
    Trasmissione e comunicazione: vi è un voluto uso errato nell’uso comune e più propriamente televisivo?
    Qual è l’alternativa della comunicazione?

    Pur non essendo filologo di professione, Danilo Dolci aveva a cuore la precisione lessicale, rilevando la forte differenza fra il trasmettere e il comunicare, che purtroppo anche i migliori dizionari italiani danno per sinonimi, perché l’uso li ha resi tali.
    Ugualmente sottolineava la differenza sostanziale tra il potere, che compete a tutti per diritto naturale, e il dominio, che è la malattia del potere.
    La pubblicità è certamente un fatto trasmissivo, unidirezionale, tanto più violento quanto più sofisticata e subliminale, che arriva a suscitare negli spettatori sprovveduti il bisogno del superfluo.
    Eppure per molti i pubblicitari sono considerati impropriamente dei grandi comunicatori.
    La pubblicità induce nel pubblico più fragile e sprovveduto il bisogno del superfluo, come dimostrano i cassonetti della monnezza che ammorbano non solo Napoli, ma tutte le città.
    Qualcuno ha profetizzato che finiremo sommersi nei nostri stessi rifiuti, vale a dire per esaurimento delle risorse utilizzabili. Per entropia.
    Questa coinvolge anche l’informazione, che è tanto più carente quanto maggiore è l’entropia.
    Il saggio “La comunicazione di massa non esiste”, pubblicato nel 1987 a Latina, anticipa le sei edizioni della “Bozza di MANIFESTO” dedicata all’educatore che è in ognuno di noi al mondo. Vi aderiscono educatori, artisti, economisti, scienziati, tra cui i Nobel Rubbia e Levi – Montalcini. Fin dalla prima edizione, nel 1989, vi aderisce anche un gruppo di docenti di Agropoli, la cui Giunta Municipale il 18 aprile del 1981, proclamò il Dolci cittadino onorario di Agropoli, dedicandogli la piazzetta adiacente al museo dopo la prematura dipartita.
    4. Insegnare = imprimere un segno; educare = trarre fuori.
    Tale differenza è ben sottolineata nel suo libro partendo da un approccio etimologico. Nonostante il corpo docente sia formato per la maggior parte da donne, la cultura e il sapere che nella scuola vengono trasmessi (cito volutamente il verbo trasmettere) sono fortemente segnati al maschile, con l’esito paradossale che le donne insegnanti concorrono a tramandare una cultura che (secondo la filosofa e docente Adriana Cavarero) emargina le donne.
    L’uso della lingua è assai meno neutro di quanto si creda.
    Cosa impedisce di usare come nomi corretti questora, sindaca, prefetta? Non trova che il linguaggio sia fortemente segnato al maschile?
    Non ho nulla da aggiungere alle puntuali osservazioni.
    Alla voce insegnante Danilo preferiva quella di educatore, che comporta un’operazione di tipo socratico.
    Come alla parola pedagogia (= condurre, guidare il fanciullo) preferiva educazione.
    Socrate amava ripetere che, come la madre ostetrica aiutava le partorienti a dare alla luce i bambini che le madri stesse portavano nel grembo, lui aiutava i giovani con la maieutica (= la tecnica dell’ostetrica) a produrre, a far venir fuori il meglio dalle loro menti, senza alcuna pretesa di aggiungere o condizionare le loro scelte.
    Socrate nella sua conversazione maieutica si serviva costantemente dell’ironia, mentre Danilo non ricorre mai all’ironia, che considera del tutto negativa e contraria alla creatività e alla crescita. Paralizzante.
    Danilo Dolci ammonisce i genitori a non assecondare troppo i capricci dei figli, perché in tal modo rischiano di farne degli adulti infanti, impedendone la creatività e la crescita.

    5. L’uso della lingua è assai meno neutro di quanto si creda. Cosa impedisce di usare come nomi correnti come questora, sindaca, prefetta? Non trova che il linguaggio sia fortemente segnato al maschile?
    Il lessico risulta fortemente condizionato dal dominio maschilista. Eppure è ben noto che le donne sono più sensibili e studiose dei maschi non solo in famiglia, ma anche a scuola e all’università.
    Nelle professioni liberali, oggi, ci sono sempre più donne; le trovi anche nell’esercito, nella marina, nei corpi di polizia, nella magistratura, nella politica militante. Ma raramente le trovi ai vertici delle istituzioni, perché esiste una sorta di sbarramento da parte dei maschi. La risoluzione del problema non sta nelle quote rosa, che vuol essere una gentile concessione da parte dei maschi ai diritti delle donne.
    Lo storico Ruggero Ruggero Moscato mi diceva di aver trovato alcuni atti notarili, nei quali le donne, benché di origine gentilizia, avevano messo il segno di croce al posto della firma, con la precisazione del notaio: “analfabeta perché nobile”.
    I figli dei nobili erano esclusi dall’istruzione come dalle professioni liberali, le quali erano giudicate professioni borghesi.
    Per conservare intatto il patrimonio, i maschi non primogeniti restavano scapoli e le femmine andavano in convento.
    Queste consuetudini feudalesche sono rimaste in uso, specie nel meridione, fino alla metà del secolo scorso.

    6. Il rapporto tra educazione, creatività e sviluppo: dove rimane il contributo del discente al docente?
    Esiste un nesso forte fra educazione, creatività e sviluppo, intendendo per sviluppo la crescita, che è favorita dal COMUNICARE MAIEUTICO.
    Danilo sognava la Terra come una sola POLIS, “CREATURA di CREATURE, che è anche il titolo di un’antologia di poesie scritte dal 1949 al 1978, uscita da Feltrinelli, nell’aprile del 1979, con la prefazione di Mario Luzi e una nota sulla quarta di copertina di Andrea Zanzotto.
    All’urbe – omile Danilo Dolci contrappone la città – territorio: “il luogo in cui il sociale comprende non solo coloro che lavorano direttamente o indirettamente nella terra con la terra, ma anche animali, alberi e erbe, anche laghi e monti, verso la città terrestre. […]
    La città è il luogo in cui ognuno, pensando attraverso i suoi occhi e le sue mani, sappia gioiosamente valersi di acque nitide e respirare venti puliti; la città che impari criticamente dal passato e impari a rispettare il futuro”.
    Una città dove i bambini possano esprimersi e siano rispettati, non scandalizzati e in infinite forme violentati – ove la scuola non atomizzi massificando. Non l’omile che aumenta le proprie dimensioni come una cisti presuntuosa e lussuosamente parassita, o predatrice, della campagna.
    [Nessi fra esperienza etica e politica, 1993, pp. 67-8]

    7. Ogni osservatore/osservatrice che descrive il mondo sta descrivendo se stesso/a che descrive quel mondo; ogni educatore/educatrice che valuta la capacità di un discente, di una discente sta esprimendo un giudizio più o meno positivo sulla loro relazione. Secondo lei, quanto l’oggettività della valutazione dell’educatore/educatrice diventa un alibi a chi non vuole assumersi la responsabilità morale dell’inevitabile soggettività delle proprie scelte?
    Nel mondo come nelle altre creature esiste sempre un riverbero di chi lo descrive o lo esamina.
    In ogni rapporto interpersonale, intercreaturale c’è sempre un interscambio: un reciproco adattamento creativo. Una concrescita.
    Nel 1979, nella prefazione all’antologia poetica “Creatura di creature. Poesie del 1948-79” Mario Luzi afferma: “Danilo è oggi uno di coloro che ci porta più lontano dall’impasse in cui si è dibattuta la poesia e la cultura moderna”.
    In realtà la poesia pura o ermetica si era chiusa, non soltanto in Italia, nella torre d’avorio, isolandosi dal mondo reale, per concentrarsi nel proprio mondo spirituale.
    Nella letteratura, come nell’arte e nella cinematografia vigeva l’engagement, l’impegno politico, civile e culturale degli intellettuali organici, a danno della creatività.
    Il Dolci ebbe il merito di aver liberato l’arte e la letteratura dalle pastoie dell’ideologia e dell’intimismo,
    riconducendo la poesia alla radice ellenica: “poiein”, che richiama il fare, l’operare.
    Nella sua produzione poetica molte poesie sono virgolettate perché di fatto lui le ha raccolte dalla viva voce di contadini, pescatori, pastori e tanti altri poveri cristi che da secoli non avevano voce perché schiacciati dal virus del dominio.

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