“Il valore paradigmatico dei soprannomi” in libreria

Alberto Mirabella,  Il valore paradigmatico dei soprannomi a Sarno, Editore BrunoLibri, Salerno 2010, pp. 246 € 10,00 ISBN: 978-88-86836-60-9 La prima impressione che si ha leggendo il saggio “Il valore paradigmatico dei soprannomi a Sarno”, scritto dal prof. Alberto Mirabella per le Edizioni Brunolibri, è che l’obiettivo che l’autore si pone sia pienamente raggiunto. L’opera infatti appare, come era nelle  intenzioni,  una perfetta sintesi di sentimento e intelletto. Le motivazioni che spingono alla ricerca affondano le radici nel vissuto personale, ma il  rigoroso impianto culturale, che le sostiene, fa sì che i soprannomi, che pure nascono da situazioni contingenti, divengano  paradigma di segni e valori che travalicano i limiti temporali e spaziali, configurandosi come archetipi di ogni società. Nell’introduzione l’autore analizza le origini storiche dei soprannomi e la loro funzione nella società, dando anche indicazioni di tipo metodologico. A Sarno, l’agnomen, superfluo per chi nella comunità era identificabile per le sue condizioni privilegiate (i notabiles, gli honorabiles), a partire dal ‘600[1] (ma probabilmente già nel ‘500) si rese indispensabile, per distinguere il casato di individui dallo stesso cognome, soprattutto quando il processo di differenziazione di attività e ruoli divenne tumultuoso. Nella seconda metà del Settecento e nell’Ottocento, con l’incremento demografico, per i frequenti casi di omonimia dovuti al  patrimonio limitato dei cognomi, accanto al nome e al cognome, fu necessario annotare rigorosamente negli atti ufficiali  il soprannome. Ciò avveniva soprattutto nelle liste di leva, negli allistamenti delle guardie civiche e nazionali, nelle convocazioni, nella verbalizzazione delle multe, negli elenchi  di persone sospette redatti dagli organi di polizia e negli elenchi dei nomi dei negozianti, dei piccoli proprietari terrieri, degli artigiani e dei contadini. Nell’Ottocento non è raro il caso in cui alcune famiglie, i cui cognomi denotavano origini inequivocabilmente oscure e infamanti, come gli Espositi e gli Annunziata, modificarono il loro cognome quando iniziarono la loro scalata sociale. Un esempio: Esposito la Tonda (o la Tonna) si mutò in Atonna. (ASCS, Staro civile, 13). In questo caso il soprannome divenne il cognome. Esposito e Annunziata erano cognomi attribuiti ai neonati abbandonati (esposti o proietti), che, affidati alla ruota, venivano pietosamente raccolti dalla Pia Ricevitrice e portati nella Santa Casa dell’Annunziata per essere successivamente affidati a balie prezzolate. Alcuni soprannomi sfidano i secoli. In un registro della Corrispondenza di inizio Ottocento, è annotato il nome di un Buonaiuto, alias Cazzagniello, di professione macellaio. I Buonaiuto del ramo Cazzagniello ancora oggi a Sarno  eccellono nel settore della vendita delle carni.  I soprannomi, soprattutto quelli legati ai mestieri (come cavorararo, capraro, ferraro, porcaro, canniliero) resistono di più, perché l’attività esercitata si tramandava di generazione in generazione.La seconda parte del volume, nella quale l’autore dà voce ai nostalgici poeti locali e alla briosa freschezza dei canti dei contadini sarnesi, bene si inserisce nell’impianto complessivo dell’opera, perché vi si legge il desiderio di recuperare un patrimonio artistico letterario non sufficientemente valorizzato per consegnarlo alle nuove generazioni. L’intento di preservare dall’oblio, nelle selvagge e imprevedibili trasformazioni della nostra epoca, il ricordo delle origini, si fa più evidente nella terza parte, dove l’elemento dotto si fonde con un forte impegno civile, sostanziato dall’amore non celato per la propria terra. La ricerca precisa e puntigliosa del sostrato linguistico, che attesta il lungo studio e la formazione umanistica dell’autore, allarga i confini dell’indagine rimandando a contatti con aree culturali diverse e distanti nel tempo. Tuttavia la componente erudita non appanna quello che è l’obiettivo dello studioso e cioè la volontà di  ricomporre, attraverso i soprannomi, in una costruzione armonica, i vari aspetti culturali che hanno caratterizzato e in parte ancora caratterizzano la nostra comunità. La dimensione affettiva è rimarcata dall’inserimento di foto d’epoca, che ritraggono momenti di vita quotidiana e sono un inno d’amore alla propria giovinezza. Anche la quarta e la quinta parte si legano al progetto generale dell’opera, nel quale (senza negare l’importanza della tradizione orale) un valore insostituibile assume lo studio delle fonti e degli strumenti culturali necessari per una corretta indagine storica. La semplicità e la chiarezza espressiva, unite al tono cordiale, caratterizzano lo stile piano e discorsivo, che tale resta anche quando ci si avventura in ambiti non facili. In più,  l’autore, con le sue qualità di abile narratore, guida e ammalia il lettore, introducendolo in un mondo, che, anche se reale, ha il fascino innegabile della fiaba. Il libro è corredato dalla presentazione di Franco Pastore, che tratteggia nelle linee essenziali l’origine dei soprannomi e la loro funzione nelle comunità. Egli attribuisce al prof. Mirabella il merito di aver delineato (attraverso una ricerca che utilizza strumenti d’indagine complessi con l’apporto di discipline diverse) il profilo di una cittadina laboriosa e vivace, dedita prevalentemente all’artigianato e all’agricoltura e di averne raccontato umori ed usanze. Interessante nella sua brevità l’intervento del Sindaco di Sarno, avv. Amilcare Mancusi, che individua nelle nuove forme della comunicazione differenti tipologie di identificazione e riconosce all’autore le sue qualità indiscusse di studioso e di educatore.

Gaetana Mazza