Capaccio: la crisi del turismo culturale

Aurelio Di Matteo*

Come mai l’incidenza della cultura sullo sviluppo economico in Italia è inferiore a quello degli Stati Uniti nonostante il numero di siti Unesco di gran lunga superiore? Come mai la frequenza dei Musei va diminuendo di anno in anno, tanto che alcuni chiudono o stanno per farlo, nonostante gli incentivi e l’organizzazione di eventi costino non poco agli Enti locali e allo Stato? E perché quello di Paestum, che ci riguarda da vicino, registra ingressi a pagamento davvero risibili a fronte del patrimonio che espone? Come mai la visita ai siti archeologici, ad eccezione di 4 o 5 di essi, va scemando progressivamente tanto che la gestione evidenzia ogni anno il segno rosso? E non diversamente accade per la nostra area archeologica pestana che non ha nulla da invidiare agli altri siti italiani e stranieri, compresi quelli greci non meritevoli della fama acquisita. I dati sono davvero preoccupanti, a parte i progressivi cali complessivi: dai 469.442 ingressi del 2006 (a pagamento e gratuiti) siamo ai 393. 080 del 2009, con una perdita di ben 76.362 visitatori. E pensare che circa l’85% è costituito da ingressi gratuiti a vario titolo, per lo più scolaresche caciaroni condotte quasi sempre per una gita fuori porta e al massimo per il tempo di una mattinata, senza alcuna ricaduta sull’economia della città. Analoghi riscontri si hanno sugli ingressi a pagamento, a parte la pochezza in assoluto dei numeri: 79.224 nel 2006; 61.269 nel 2009. Ma un dato in particolare fa riflettere. Nel 2009 si registra, a pagamento, una media di 19 visitatori al giorno per il Museo e di 120 per l’area archeologica! Eppure il costo del biglietto è di quattro euro, quanto una coppa di gelato consumata in piedi a uno dei bar di fronte! Da un lato è veramente un miracolo che il Museo sia ancora aperto, dall’altro è di certo una vergogna che non si faccia niente per modificare la situazione. È vero che la gestione in sé non appartiene agli Enti locali, ma in tutte le altre realtà territoriali essi non hanno lesinato interventi, diretti o indiretti, per favorire il turismo culturale. Il trend negativo del museo e dell’area archeologica, analogamente a quanto avviene quasi in tutto il resto d’Italia, sembra indicare non tanto una crisi della singola struttura quanto un calo generalizzato del settore e del contesto iniziato nel 2006 e continuato in questi anni. Lo studio più accreditato per l’esame del rapporto tra turismo culturale e ricaduta economica è offerto da Confindustria-Federturismo applicando il RAC, un indice che è valido anche per il nostro caso in quanto consente di analizzare il ritorno economico degli asset culturali proprio dei siti Unesco. Da tale rapporto, riferito al 2009, risulta che l’Italia che ha un primato assoluto a livello mondiale per patrimonio culturale (3.400 Musei, 2.100 aree e parchi archeologici, 43 siti Unesco) ha invece un ritorno economico 16 volte inferiore agli Stati Uniti che ha la metà dei nostri siti Unesco, 7 volte a quello della Gran Bretagna e 4 della Francia. Dai dati ufficiali forniti dalle strutture centrali di gestione del sito, ancora peggiore della media nazionale, quasi al limite del catastrofico, risulta l’analisi riferita a Paestum. Una cosa è fuor di dubbio: il turismo non si favorisce, di certo, con spettacoli estivi di canzonette o con i simulacri di improvvisati “premi” agostani, né con la costosa distribuzione di brochure e di inutili questionari, tra l’altro senza alcuna scientificità di stesura e di diffusione; ma con politiche territoriali integrate come da anni fanno i Paesi e le location competitive della nostra. Gli è che mentre il turismo culturale, che è uno dei più ampi segmenti di mercato del turismo, sta evolvendo molto rapidamente, a Capaccio si è all’anno zero e si insiste con iniziative e sperpero di denaro avendo come obiettivo l’eventfull city estivo e non una pianificazione di sviluppo articolato e sinergico. In tal modo non si vende una destinazione, che è l’obiettivo di una vera politica del turismo, ma esclusivamente un palco per eventi che porta ricadute economiche solo alle strutture organizzatrici. Sarebbe bene che si ponesse mente all’evoluzione delle motivazioni e delle tipologie che stanno da tempo interessando il turismo in genere e culturale in particolare. Per lo sviluppo complessivo della città di Capaccio solo un piano integrato di attività culturali può avere valore, per modificare anche l’immagine del Museo, trasformandolo da “luogo sacro”, inaccessibile ai più, quasi una “collezione” che conserva ed esibisce una cultura mummificata, a istituzione aperta e flessibile, attraverso un complesso di esperienze vive a uso della vita quotidiana delle persone comuni e dei turisti di ogni livello di studio e di ceto. E tutto ciò unito alle possibilità che offre il mercato del merchandising riferito alla vendita di gadget e di altro, anche apparentemente dissacrante, o alla creazione di eventi culturali straordinari da vivere all’interno dell’istituzione soprattutto per destagionalizzare i flussi ora concentrati nei mesi primaverili.

*Società Italiana di Scienze del Turismo