Quale Risorgimento?

Aurelio Di Matteo*

L’Italia è caratterizzata da una costante. Ogni rievocazione, per quanto l’evento sia lontano nel tempo, non è valutata in sé ma sempre con riferimento al dibattito politico in atto nel Paese. Da qui le interpretazioni falsificatrici anziché le ricerche e gli studi per approfondire, chiarire e collocare nella documentazione storica fatti e protagonisti. Figuriamoci se poi si tratta del processo che ha portato all’Unità d’Italia. A questo costume della ricerca storica come della politica, tipicamente italico, non poteva sottrarsi lo straordinario evento della centocinquantesima rievocazione. La tradizione storiografica che ha esaltato il momento “unitario” del processo che ha portato alla costituzione dello Stato italiano e che ha dato vita a ricostruzioni spesso oleografiche trova ora una sponda nelle posizioni politiche e ideologiche contrarie agli obiettivi della Lega Nord. Di conseguenza l’evento, che doveva essere occasione di riflessione sui problemi lasciati insoluti dal processo unitario, si è trasformato in un’ennesima oleografica rappresentazione rievocativa infarcita di retorica piuttosto che di analisi e proposte. Dall’altra parte, e in accentuata contrapposizione, si sottolineano l’aspetto e gli episodi non edificanti del Risorgimento, peraltro connessi a ogni processo storico che abbia comportato una sostanziale trasformazione geopolitica. È questo il motivo per cui può diventare bestseller un testo come “Terroni” di Pino Aprile che non fa altro che ripercorrere e presentare come nuovi vicende e personaggi già ampiamente noti alla più vasta storiografia. Insomma chi processa il Risorgimento non scopre nulla di nuovo. A ben guardare, quello di Aprile non è un testo storico ma una contrapposizione politica falsificatrice, che crea due astratti “razzismi”, il nordista e il sudista, che di storico non hanno niente se non il riferimento a episodi noti a un qualsiasi diligente studente di liceo. Basta dare un rapido sguardo alle prime pagine del libro e si evidenziano obiettivi, scopi e motivazioni che di storiografico hanno ben poco. Come può definirsi analisi storica, o almeno “revisionismo”, un testo che esordisce con espressioni di questo tenore: “Non volevo credere che i primi campi di concentramento e sterminio in Europa li istituirono gli italiani del Nord, per tormentare e farvi morire gli italiani del Sud, a migliaia, forse decine di migliaia (non si sa, perché li squagliavano nella calce), come nell’Unione Sovietica di Stalin. Ignoravo che il ministero degli Esteri dell’Italia unita cercò per anni «una landa desolata», fra Patagonia, Borneo e altri sperduti lidi, per deportarvi i meridionali e annientarli lontano da occhi indiscreti.”. Si comprende subito che non è un testo di ricostruzione storica ma un libello di polemica politica che riprende e dà voce a un improduttivo e nostalgico sentimento di acritico meridionalismo di maniera. È certamente vero che nell’Esposizione Internazionale di Parigi del 1856 fu assegnato al Regno di Napoli il Premio per il terzo Paese al mondo come sviluppo industriale; che la dinastia borbonica può vantare San Leucio, la realizzazione dei Regi Lagni, Pietrarsa ecc., ma ciò non toglie che il governo del Regno era caratterizzato dalle tre F (farina, feste e forca) perché i primati delle sue realizzazioni non significavano un “accesso” popolare alla vita civile, amministrativa e politica. Una riflessione articolata sul Risorgimento non è certo cosa nuova né prospettiva da omettere soprattutto oggi che i nodi irrisolti, o risolti unilateralmente centocinquanta anni fa, sono con accentuata passionalità all’attenzione delle forze politiche. Gli eredi del PCI, che ora si sbracciano insieme al loro ex compagno Napolitano per il mito dell’unità d’Italia, hanno forse dimenticato il Gramsci del Risorgimento “rivoluzione mancata” e della “storia feticistica”, il Giustino Fortunato che scriveva “l’unità ci ha perduti”, il Pisacane che già allora aveva chiaro il processo elitario e l’assenza della partecipazione delle masse, i due volumi pubblicati nel 1970 di R. Del Carria “Proletari senza rivoluzione. Storia delle classi subalterne italiane dal 1860 al 1950” o le analisi che Francesco Nitti fece nella Scienza delle Finanze dove chiaramente è affermato che il Regno delle due Sicilie aveva un patrimonio di lire oro il più alto tra gli stati preunitari, 443 milioni contro i 27 del Regno di Sardegna. E si potrebbe continuare così a citare storici e ricercatori che hanno parlato di un Sud “colonizzato”, “depredato”; di una popolazione assente dalla storia vera ma presente nella sopraffazione reale e osannata nella storia che è stata scritta. Allo stesso modo è da tempo che si poteva dire, senza ombra di smentita, che l’esaltante processo del Risorgimento sia nato tutto intero dalle rotative delle tipografie post-unitarie. Detto tutto questo, accertato che il Sud è stato “colonizzato” e “depredato”, che si fa? Si va alla conquista del Nord? Oppure si continua a piagnucolare e chiedere leggi speciali e ripianamento dei bilanci pesantemente deficitarii a causa degli enormi sprechi di Amministrazioni inette, familistiche e clientelari? Si continua a vedere nella Lega il nemico del Meridione? E la classe politica meridionale che ha governato in questi 150 anni l’Italia, che ha amministrato regioni provincie e comuni del Sud “colonizzato”, cosa ha fatto per risolvere i problemi insoluti dello Stato unitario e sanare le eventuali ingiustizie? L’assurdo di alcune interpretazioni e di alcuni libelli ispirati da un rinato pseudo storico meridionalismo, politicamente interessato e di maniera, è che la polemica nei confronti della Lega e l’esaltazione della situazione preunitaria anziché comportare una scelta “federalista” diventa sostegno e funzionale alla retorica dell’unità e alla conservazione di uno Stato. Almeno si fossero ricordati del borbonico Pietro Calà Ulloa che scriveva l’esemplare “L’union et non pas l’unité de l’Italie” e considerato il teorico dell’idea confederativa meridionalista alternativa al centralismo statalista d’ispirazione francese che caratterizzò la soluzione unitaria italiana e che trova ancora sostegno negli attuali meridionalisti a cinque euro il chilo.

*Società Italiana di Scienze del Turismo

 

4 pensieri su “Quale Risorgimento?

  1. Gentile Aurelio, le sembra che le frasi citate dal libro di Pino Aprile e di Renzo del Carria rivelino cose di poco conto?
    Non si tratta di criticare semplicemente alcuni aspetti “negativi” del ns. Risorgimento, ma di farla finita con la menzogna ufficiale scritta sui libri di Storia a scuola e di cominciare a raccontare i fatti così come sono avvenuti: perchè un Paese che non conosce la propria Storia non sarà mai un Paese normale, e il nostro non lo è mai stato, oggi meno che mai! Così come un individuo che non conosce se stesso, non sarà mai una persona serena ed equilibrata.
    Quindi non serve dire che sono cose di 150 anni fa, perchè sono arrivate ai giorni nostri senza soluzione di continuità, tenute nascoste e occultate comunque dalla menzogna di un Sud povero e arretrato e di un Nord liberale e sviluppato. L’intento dichiarato di Pino Aprile,che tra l’altro,io conosco personalmente, NON E’ QUELLO DI DIVIDERE CIO’ CHE NON è MAI STATO UNITO, MA DI UNIRE CIO’ CHE E’ SEMPRE STATO DIVISO!!! Per quanto riguarda la Lega, io cittadino del Nord di 60 anni, l’ho vista nascere e svilupparsi nelle osterie e nelle bettole a ettolitri di vino e comizi contro i terroni, nei negozi e nelle aziende che evadono le tasse e si servono di lavoro nero da prima che arrivassero gli extracomunitari e per quanto ne so (vd. PRESA DIRETTA ultima puntata ,sulla evasione fiscale) tuttora si continua alla grande. Le ricordo anche la Lega di Adro, con la sua privatizzazione di una scuola pubblica fatta diventare la sede di un partito. Mi meraviglio che proprio Lei. persona colta e magari di origine meridionale , si prenda la briga di difendere la Lega che fa da scudo (e neanche tanto!)a ladri, evasori e razzisti. Sono dell’opinione che parlare di tutto ciò non possa farci altro che bene. La Verità è rivoluzionaria: L’Italia è un Paese che ha un estremo bisogno del lettino dello psicanalista!!! Le sembra così normale che NIENTE SMUOVA PIU’ LE NOSTRE COSCIENZE?!

  2. Il nostro è un Risorgimento da riscrivere.
    Basta con i luoghi comuni e le comuni menzogne.
    L’Italia al GARIGLIANO, questo è il nostro futuro.
    in bocca al lupo

  3. Le porcherie contro i TERRONI le conoscevano gli studiosi? la gente, NO !!!; Agli alunni ed agli studenti, da sempre, si continua ad illustrare l’epopea risorgimantale come una favola.
    Le malefatte dei vincitori sono sempre esistite? Però quelle subite dai nostri padri non sono pervenute alla gente comune!!
    Dopo la lettura del testo di Pino Aprile, cerco di approfondire -su altre fonti- i fatti narrati.
    Aprile non ha scritto nulla di “storico”? Lo facciano gli esperti e si provveda a modificare i testi scolastici!!!
    Si tolga la polvere dell’oblio accumulatasi in 150 anni !!!
    Non vorrei chi il testo di PINO Aprile diventi un testo solo per il PRIMO APRILE !!!

  4. I miei occhi strabuzzano quando leggono articoli attinenti ad epoca secolare come quella che riguarda “L’Unità d’Italia”. Talvolta mi domando: Ma cosa hanno scritto e fattoci capire gli studiosi e gli storici durante l’arco di tantissimi anni? Se non ci hanno fatto capire e scritto nulla prima di voi, miei cari e rispettabili letterati,a me pare che, probabilmente,nel corso di tale passato , non vi era troppa democrazia per intervenire in dibattiti così , significativi e reali.Molti periodi sono trascorsi tra recessioni mondiali come quella del ’29, con l’avvento del fascismo e poi dalle leggi imposteci dai vincitori del secondo conflitto e , poi dal boom economico degli anni sessanta avranno sicuramente distratto gli intellettuali ad interessarsi di tale problema che oggi viene alla luce del sole.
    Non si può neanche asserire che il popolino del Sud non si abbia mai posto tale riflessione per domandarsi su i benefici o meno ricavati dall’unificazione dello “Stivale”. Certo, è infinitamente bello sentirsi chiamato italiano, ma quì, cari amici, buona parte dei Diplomati, Laureati e lavoratoricomuni sono stati pernnemente costretti ad emigrare all’estero o nel Nord Italia per lenire i disagi economici che gli mordevano , forse, anche gli intestini.
    La storia, quella vera, amici cari , non è che noi anziani non la combrendiamo, ma neessita che venga a galla perchè ne usufruiscano le nuove generazioni e non cadano nel gioco come siamo caduti noi che ci hanno “venduto debiti per befana”.
    Ma il Sud , per risuscitare, dovrebbe anche svigliarsi dal letargo, ma di sfruttare al massimo ciò che ci offre la natura ed affrontere meglio gli afflussi turistici e di valutare megliole nostre colline e monti ameni, rilanciando anche il fattore agricolo che è una sicura ricchezza. Diamoci da fare e riscattiamoci dagli annali soprusi. Viva il Sud e viva l’Italia!.

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