La cultura a Cinecittà

Ferdinando Longobardi

Cicerone serve ancora a qualcosa? È questo l’indovinello potenzialmente mortale che ogni Edipo della cultura classica alle porte della Tebe del terzo millennio. Anche perché, diciamolo francamente: nulla ha danneggiato l’immagine della classicità presso le giovani generazioni quanto l’operato di quella numerosa sottospecie di specialisti in cattedra, noiosi e pignoli, aridi ed inutilmente eruditi, che hanno fatto dei testi degli autori del passato nulla più che un eserciziario per il ripasso delle regolette grammaticali e delle loro eccezioni, e della proprio fatica di studiosi di una esasperante, inconcludente disputa su impercettibili sfumature. Per non parlare poi di quell’altra sottospecie di professori, che hanno trasformato l’intera cultura greco-romana in un’arma ideologica per diffondere austerità e moralismi affatto anacronistici, un tedioso precettario edificante a sostegno, spesso, di posizioni reazionarie o rigoriste, rendendola così qualcosa di soffocante o di indigesto; ma è una specie questa, per fortuna, in via d’estinzione. Vediamo però già sostituirsi ad essa una nuova sottospecie, immancabilmente più impreparata,e tuttavia ansiosa di dipingere l’antichità di tinte rosee e annacquanti, frutto degli scrupoli di questo nuovo millennio, andandosi ad inventare dei minoici improbabilmente pacifisti o matriarcali, dei Carcalla o degli Alessandri inattesi precursori del nostro galateo terzomondista.  Ora è chiaro che gli specialisti possono fare ben poco per evitare queste degenerazioni. Anzi, talvolta la loro opera è addirittura controproducente. “Tutti gli specialisti hanno la peggio, poiché non è permesso loro d’ignorare l’inutile”: così li fulminava Goethe, ieri come oggi. Se la difesa della cultura classica sarà lasciata in mano a costoro, anch’essa avrà senz’altro la peggio. Tra l’altro costoro sono poi, colpevoli in maniera indiretta dell’altra grave calamità che si è abbattuta e continua ad abbattersi quotidianamente sulla cultura classica: il sorgere della specie altrettanto nefasta dei “banalizzatori”. In antitesi agli specialisti, essi vorrebbero sì rendere l’antichità “interessante”;  ma, sempre in antitesi agli specialisti, essi dell’antichità non hanno capito nulla. Forse non l’hanno studiata neppure a scuola, oppure l’hanno studiata male. L’hanno però forse orecchiata da qualche cattivo divulgatore. Il guaio è che, anche così ridotta in poltiglia, gli sia piaciuta, e abbiano deciso di farsene a loro volta promotori, senza averne la capacità né, tanto meno, il diritto. Contrariamente ai loro avversari , che conducono un’esistenza umbratile e schiva, rintanati nelle biblioteche e lontano dal mondo e dalle sue pompe, costoro sono, per nostra disgrazia, perfettamente inseriti nella società attuale: scorazzano sui mass-media e si affermano nella case di produzioni cinematografiche, maneggiano cospicui finanziamenti altalenandosi tra il multinazionale e il multimediale, sapendo di tutto un po’ e tutto di niente. Ma proprio per questo l’immagine che essi diffondono dell’antichità rischia di essere quella vincente, destinata ad affermarsi a dispetto di ogni verità, non solo storica, ma anche mitica e poetica.