Il ciuccio di fuoco nella tradizione

Annamaria Noia

È in programma per il 14 e 15 agosto prossimi nella frazione Acigliano, a Mercato S. Severino, l’antica consuetudine del cosiddetto “ciuccio di fuoco”, un vecchio retaggio culturale e antropologico della misterica cultualità contadina – ricca di magia urbana – che si perde davvero nella notte dei tempi. Trattasi di una prova di passaggio dalla adolescenza alla maturità, una modalità apotropaica (cioè di allontanamento degli spiriti “cattivi” che infestavano – secondo la credenza popolare – le campagne) di celebrare il rinnovo agostano e canicolare (si entra nella costellazione della canicola appunto il 15-16 agosto, dies natalis di S. Rocco, guarda caso raffigurato con il cane; inoltre canicola è sinonimo di solleone, di caldo) della nota “indizione bizantina”.Il ciuco di cartapesta, simulacro e capro espiatorio da accendere e da far bruciare grazia ai petardi e ai biancali, ai razzi che porta sul dorso insieme a personaggi della storia locale e/o nazionale, politica e così via da far avvampare con l’asinello, è frutto certamente della mentalità superstiziosa e scaramantica dei nostri avi che vivevano nelle zone agricole; il mitico rito riprende un antico modo di assicurare un buon raccolto nei campi dopo la semina e in concomitanza con la mietitura. Nel Sanseverinese la tradizione del ciuccio di fuoco, così studiata per le implicazioni culturali ed etnologiche, nonché sociali, che offre agli studiosi, è stata da qualche anno ripresa grazia all’azione sul territorio dell’associazione socioculturale “S. Magno”, di Acigliano. A coronare – degnamente – la importante riscoperta demologica sono in atto, da quando è stata riportata in auge la tradizionale festa contadina – alcune manifestazioni collaterali, dal titolo: “Aspettanne o’ ciuccio e’ fuoco”. Alcuni anni fa, tra le iniziative di “Aspettanne o’ ciuccio e’ fuoco” vi era un importante concorso di disegno incentrato sul significato simbolico dell’asino, presente sempre nella letteratura inglese (Shakespeare), ne “L’asino d’oro” (Metamorfosi) di Apuleio, in Pinocchio di Collodi e altrove; proprio grazie al concorso, che ora va scemando come potrebbe scemare la stessa kermesse a causa di mancanza di fondi o di idee, è stato realizzato il manifesto che ripropone ogni anno la manifestazione: nel 2002 infatti il giapponese Shiba Mizuho realizzò una ruota con tanti ciuchini, divenuta il logo della kermesse ancora adesso visibile sulle brochure approntate per l’occasione. Nel giorno dell’Assunta – cui il rito del ciuccio di fuoco è legato, essendo come afferma Dante Alighieri il mondo pagano preparazione di quello cristiano –  ma alla mezzanotte del 15-16 agosto (mezzanotte e un minuto quindi già nel giorno di S. Rocco) il sindaco o un personaggio importante accendono la sagoma di cartapesta, ogni anno diversa e con personaggi che cambiano. Una volta era “lo scemo del villaggio” o ad accendere il capro espiatorio-ciuco (vedi la tradizione del “cavallo di fuoco” nella cittadina di Ripatransone al centro Italia) o ad indossare – come succede ad Amantea in Calabria ancora oggi – una pelle di asino ragliando ubriaco per le strade del paese, fermandosi poi del tutto di fronte alla chiesa dove viene approntato un falò. Intanto il 14 e il 15-16 agosto non mancano, accanto alle tradizioni antropologiche, anche cultualità culinarie. La vigilia (giorno di magro) dell’Assunta – infatti – sulla tavola dei Sanseverinesi (Aciglianesi e non) si assaggiano: la palatella, un panino a forma allusiva dei sue sessi, maschile e femminile, con dentro melanzane sottolio e acciughe salate (la “mpupatella”); le pannocchie, frutto di questi tempi; il caciocavallo podalico; non manca l’anguria. Invece il giorno 15, oltre al melone di fuoco – come è appunto definito il cocomero – a S. Severino si mangia la milza ‘mbuttunata, come a Salerno ma per S. Matteo; il capicollo, sempre le pannocchie e altro. Ed eccoci, per la cronaca, al programma stilato per poter vivere e godere al meglio lo spettacolo pirotecnico e musicale della sagoma di ciuccio che corre avanti e indietro lungo la strada – l’unica – stretta e corta di Acigliano, tra il secolare tiglio (a’ teglia), il palazzo Brescia Morra e il palazzo Tenore: sabato 14 alle 21.30 si terrà lo spettacolo di musica popolare animato dal gruppo “Na’ voce e na’ tammorra”, mutuato dal cartellone/contenitore di “Vivi l’estate 2010”; il 15 agosto, invece, solennità di Maria Vergine Assunta dopo la cerimonia religiosa vi sarà il concerto bandistico da parte dell’associazione “Vieni a suonare con noi”, da Bracigliano. Alle 24.01 infine il momento clou dell’accensione del ciuchino, istante atteso da tutto l’anno, che impegna per 365 giorni i suoi validi organizzatori, i quali – come sempre – non vogliono rivelare prima della manifestazione (per scaramanzia) alla stampa i personaggi a cavallo del simulacro, che bruciando apporteranno benessere e prolificità alla popolazione di Acigliano, gemellata con la cittadina francese di Farebersville, dove molti Aciglianesi si sono recati in passato allo scopo di trovare lavoro, anche come minatori, e “nemica” dei sanseverinesi abitanti nella vicinissima frazione Pandola  “omaggiata” dagli stessi abitanti di Acigliano di scherzi e insulti tanto salaci quanto divertenti e ironici, ricchi di goliardia.