Università. Tra trucchi veri e finta solidarietà
Ricordava giorni fa un collega di vecchia generazione il recente pensionamento di un ricercatore che, per 35 lunghissimi anni, “non aveva combinato un bel niente”. La qualcosa, a suo dire, legittimava la ‘rivoluzione’ messa in atto dalla Gelmini, “una vera rivoluzione epocale”. Non aveva proprio torto il collega sul caso portato ad esempio. Piuttosto ci si chiedeva e gli si chiedeva provocatoriamente chi e perché avesse consentito tale spreco di risorse umane potenzialmente moltiplicate per centinaia se non migliaia di altri casi analoghi. Il tutto a danno di tanti bravi giovani e politicamente indifesi ricercatori in pectore costretti ora a fuggire, ieri come oggi, di fronte alla vanagloria conclamata e rubata di personaggi simili. “La legge!” è stata la sua risposta. Già, la legge. Perché il ruolo è la legge in Italia. Entrare nei ruoli dell’università a livello di fascia ricercatore e/o docente equivale, per chi lo voglia, a campare di rendita, a dedicarsi a molto, a poco o a niente, o ai propri studi professionali invece che scientifici, a seconda della sensibilità, della responsabilità, dell’amor proprio. O dei loro contrari. Tanto, nessuno controllava e nessuno controlla, a condizione di non rompere le uova nel paniere dei boss mattatori di vertice. Meno fastidio si dava e si dà, tanto più si fa parte della fascia protetta. Ora, però, il vento sta cambiando. La legge vuole imporre nuove regole e le scarpe vanno ‘strette’. Eppure, nonostante i tromboni che annusano la novità fingendo di adeguarvisi, persistono i trucchi per tenere in ‘vita’ accademica (a pagamento), vita natural durante o quasi, un congruo stuolo di pensionati protetti. Si pensi ai settantenni o a chi, con qualche anno in meno, decide di anticipare il proprio ritiro. Un definitivo distacco dall’università con conseguenti, maggiori spazi per i più giovani? Magari! Neanche per sogno, invece. Sarà pure il mondo del litigio e della polemica, della zuffa e dello scontro; ma, se si fa parte del carrozzone, si esce dalla porta e si rientra dalla finestra. Sono accordi di retrobottega imposti a proprio vantaggio da e tra i capoccioni accademici. Rettori, Presidi e Baroni conniventi stanno al gioco di ‘Pappa continua’. E’ il frutto avvelenato dell’autonomia del 2000, nel quale la Gelmini non vuole entrare. Mettere in discussione quel sacro e democraticissimo principio le bucherebbe la poltrona, la sua e dell’intero governo, per quanto imbarbarito da un uso sempre più storpiato nel presente. Da qui la soluzione perfida o epocale, come più d’uno ama ricordare nell’ambiente. “Volete questa ciambella? Degustatela pure, fino all’auto avvelenamento!” E’ questa la filosofia della Gelmini contro chi così interpreta l’autonomia a danno della formazione delle generazioni future. In fondo, la soluzione individuata è semplice e indolore. Autonomia per autonomia ognuno si tenga il prodotto che vuole. La qualità va sul mercato, chi punta ad una università seria se la costruisca, chi persiste nella politica baronale di standard medioevale si tenga i frutti dei propri prodotti. Questo, salvo errori, è il federalismo o è anche il federalismo. Il gioco di prestigio, quindi, per accaparrarsi pensione e buonuscita dopo le recenti leggi restrittive, rimettendosi contestualmente in gioco con il solito posto a contratto retribuito, va esattamente in quest’ultima direzione. Pensione, buonuscita, nuovo ‘stipendio’, sia pure a contratto annuale! Ma, soprattutto, resta l’esercizio del potere interno, la cosa che più sta a cuore a certi immortali dell’accademia. Il gioco, quindi, è presto fatto. Giochi da vecchie volpi, che poi se la prendono con i loro più giovani colleghi ricercatori, oggi come oggi allo sbando, privi del supporto del ‘grandi’. Uno spettacolo indecente di cui molti hanno goduto in diretta in un ultimo consiglio di facoltà presso un vicino ateneo , nel corso del quale i rappresentanti di categoria hanno dapprima sparato a zero contro la riforma, per poi retrocedere dinanzi ai rimbrotti di chi presiedeva e del codazzo di capelli bianchi che ne appesantiva, a sostegno, la ben recitata morale. Proprio mentre, sotto il loro naso, passava all’unanimità l’ultima beffa. Pensionamento anticipato e contestuale incarico (retribuito?) al neo-pensionando eterno nullafacente. Fatta la legge, quindi, trovato l’inganno! Ecco un ritocco indispensabile da apportare alla sua legge, ministro Gelmini! Emenda sul fatto che chi va in pensione non rientri più nei ranghi, soprattutto se a pagamento. E, ancora, si tolga ai rettori il potere di prolungare a propria discrezione l’età del pensionamento di uno o due anni ai parrucconi di fedelissimo gradimento. La legge sia veramente uguale per tutti.