Pochezza degli uomini che governano la vita pubblica

Giuseppe Lembo

Nel nostro Paese, la burocrazia ha conservato il suo volto di sempre; per conservare anche i più piccoli dei privilegi e comunque i privilegi derivati dal proprio ruolo, la burocrazia italiana è sempre più sottomessa al potere, ai poteri forti che rappresenta, che esprime e che sostiene in modo convinto con tutta se stessa. Questo, ancora oggi, quando le cose di questo nostro Paese, sono profondamente cambiate. Non c’è più l’agricoltura arcaica, non c’è più l’analfabetismo diffuso, non c’è più la povertà estrema, non c’è più la staticità di comportamenti, non ci sono più gli eccessi invadenti di vaticanismo; c’è un Paese apparentemente nuovo, un Paese che dovrebbe saper affrontare le grandi sfide del mondo nuovo, di un mondo dalle crescenti dimensioni globali, che gira a vuoto intorno a se stesso e che, per mancanza di protagonismo diffuso, non riesce ad emergere e ad uscire dalle sacche di sottomissione e di arretratezza culturale, espressioni dei mali più profondi e radicati nelle coscienze della gente, soprattutto al Sud, dove la “pochezza” degli uomini che governano la vita pubblica è pressoché totale e coinvolge gli apparati che godono dei privilegi di posizione e non sognano minimamente di cambiare. In tutto questo c’è il silenzio complice delle “plebi” che non sono mai diventate “popolo” e dei cittadini “sudditi” che non sono mai diventati “protagonisti”.Tutto contribuisce a consolidare, a radicare nel profondo delle coscienze, la condizione di sudditanza e di assistenzialismo diffuso, il frutto di un accentrato potere burocratico e degli apparati, in uno con la classe dirigente che familisticamente ha pensato sempre e solo al proprio bene, al bene dei propri clan familiari, dando in pasto alla gente le promesse tradite, i sogni cancellati e tanti piccoli privilegi di vita assistita, il frutto del tradimento dei valori fondanti dell’uomo, della dignità umana e di un parassitismo pensato alla napoletana come espressione di quell’arte dell’arrangiarsi alla quale si sono votati inopportunamente milioni di meridionali, contenti di imbrogliare per imbrogliarsi e di  vivere da “fannulloni”, non facendo niente, proprio niente. Questa è Africa! E i beduini non sono altro che fior di civiltà al loro cospetto. Parlando del Sud del 2010, in piena globalizzazione, in piena governace  di camorra ed altre efficienti organizzazioni dei nostri tempi, oltre al diffuso malessere socio-economico, c’è anche una diffusa condizione di degrado morale che interessa sempre più da vicino, le coscienze della gente meridionale, indifferente a tutto. È una frase che si riferisce ad una condizione storica di 150 anni fa quando il Ministro Farina scrisse a Cavour di ritorno dal suo viaggio al Sud; provocò l’annullamento del federalismo di Cattaneo, in quanto impraticabile in un Mezzogiorno dalla tradizione centralista, per cui incapace di governarsi da sé. Oggi a 150 anni le condizioni non sono tanto diverse; c’è di nuovo all’orizzonte la grande sfida di cambiare il Sud e l’Italia, dando più autonomia di governo alle realtà locali. A 150 anni dopo Cattaneo si ripropone, come allora, la grande preoccupazione del Sud, del Sud protetto ed incapace di cambiare da solo, “autonomia si, autonomia no”.È una situazione che si trascina da ben 150 anni e che, per mancanza di coraggio ed autonomia di scelta non si riesce a trovare la soluzione giusta che è quella di smetterla con la tradizione centralista e di dare il giusto protagonismo al Sud, per un cammino di cambiamento e di sviluppo nell’autonomia. È difficile svezzare un bambino che in senso di protezione si attacca al seno materno e non intende assolutamente staccarsene. È difficile far capire al Sud che la festa è finita, che siamo al capolinea e che non ci sono le condizioni per continuare a vivere di assistenzialismo e di risorse trasferite, il frutto del lavoro del Nord che, per calcoli di opportunità politica e di potere, hanno per troppo tempo, garantito il parassitismo meridionale, l’affarismo, i privilegi di casta, rendendo sempre più degradate e depauperate le condizioni antropiche e socio-economiche della “plebe” meridionale, da sempre priva dell’orgoglio di diventare “popolo protagonista”. Tutto è lecito al Sud. È lecito anche mettersi sotto i piedi la legalità, il rispetto delle regole democratiche ed i comportamenti diffusi di prevaricazione sull’altro, soprattutto se più deboli.Nella classe dirigente e di governo c’è il libero convincimento che si può fare di tutto; che si può osare, per fini di potere, anche mettendosi sotto i piedi le leggi.È lecito prevaricare e sprecare risorse pubbliche, spendendo e spandendo in un clima di compiaciuto gradimento in una Bengodi da godere, anche quando le condizioni non lo permettono. È così, il debito pubblico cresce a dismisura, nell’indifferenza dei conti che si “sforano”, per cui il patto di stabilità viene considerato un …. Patto di carta di nessun conto. Da qui gli sprechi, la finanza allegra, il sostegno al parassitismo ed ai tanti privilegi clientelari. Da qui la libertà assoluta di impegnare risorse non possedute, alimentando spesso spese inutili e crescenti disservizi per i cittadini nel campo della salute, dei servizi alla persona, dei diritti ai più deboli, del sostegno ad una società di eguali, purtroppo ridotta a società di diseguali, con tanti privilegi per chi gode di protezione ed altrettanti diritti negati per chi ne è tagliato fuori.