Immigrazione confronto di culture

Giuseppe Lembo

Il mondo, in forme palesi o nascoste, è attraversato da conflitti che vengono artificialmente sostenuti da discorsi e simbologie xenofobe; processi di inclusioni o di esclusione vengono alimentati da categorie di appartenenza etnica o territoriale. Ne conseguono ogni giorno, atti di violenze, di processi perversi che portano nel mondo all’esclusione di gruppi sociali ed alla sottrazione di diritti universali di cittadinanza che appartengono all’uomo in quanto uomo e non possono essere cancellati e/o messi in discussione in base alla razza, al colore della pelle, alla religione, alla discendenza e/o all’origine etnica. Spesso il razzismo si identifica in simboli che diventano l’icona di fanatismi contro l’uomo, con conseguenti processi che tendono a dividere, ad escludere, alimentati da categorie di appartenenza etnica, territoriale o religiosa. Purtroppo, come ci insegna la storia, le parole ed i simboli hanno un peso, muovono emozioni e suscitano spesso sentimenti pericolosi; vanno combattuti e cancellati, soprattutto quando incitano alla violenza razzista. Il razzismo quotidianamente diffuso è nel rifiutarsi a capire le ragioni degli altri. L’umanità è di fronte ad una sfida di ordine economico, tecnico, ma ancor più di ordine etnico, politico e soprattutto culturale. Bisogna capire le ragioni degli altri e dare in modo solidale il cibo a chi ha fame e l’acqua a chi ha sete. Nutrire, dissetare coloro che muoiono di fame e di sete è un imperativo categorico. Rifiutare il cibo o l’acqua a chi ha fame e/o a chi ha sete significa continuare ad uccidere centinaia di milioni di persone che, anche nella globalizzazione, non trovano risposte al loro sacrosanto “diritto alla vita”. L’attuale momento storico, sulla spinta del “diritto alla vita”, si caratterizza per continui flussi migratori di popolazioni, un tempo rassegnate a vivere o piuttosto a morire la dove erano nate. Siamo di fronte a flussi sempre più sostenuti che portano, in modo sempre più assiduo, all’incontro/confronto di varie culture; per giustificare atteggiamenti negativi e/o di rifiuto, si ricorre a stereotipi che rappresentano, il più delle volte, gli avamposti del pregiudizio contro l’altro, di cui egoisticamente ci si rifiuta di ascoltarne le ragioni. La conoscenza della cultura di chi ti vive a fianco, aiuta fortemente a decostruire stereotipi e pregiudizi ed a sviluppare una personalità capace di essere rispettosa dell’altro e di capirne le ragioni. Come ci ricorda l’epistemologo  francese Edgar Morin, tutti noi abbiamo bisogno di un nuovo pensiero e di un nuovo ordine mentale. L’universo che ci circonda è un universo pluralizzato. Si caratterizza come mescolanza e labirinto; non serve a niente chiudersi in sé, rifiutando un processo storico che va avanti anche senza la nostra comprensione e/o con il nostro rifiuto a capire la progressiva trasformazione della società globale in una realtà multiculturale. Attraverso l’educazione all’intercultura, ci si deve aprire al dialogo ed all’opportunità di conoscersi e di riconoscersi nei rapporti con le “diversità”;  il confronto, è necessario per una reinterpretazione di sé e della propria cultura non più chiusa, ma capace di aprirsi e di essere rispettosa delle ragioni degli altri. L’immigrazione nel nostro Paese ci richiama subito alla mente il fenomeno dell’emigrazione che ha portato a formare, per peso demografico, un’altra Italia, nel resto del mondo. Oggi da diversi continenti, come un vero e proprio fiume in piena, arrivano in Italia tantissimi stranieri; proprio come un tempo i nostri connazionali, con tanta nostalgia nel cuore, lasciano i loro affetti più cari, per cercare altrove, un futuro migliore. Il fenomeno immigratorio è un fenomeno di grande rilevanza dal punto di vista socio/politico, economico e culturale. Non accorgersi “dell’altro” che ti vive a fianco è un grave errore. Il concetto di “diversità” non va né esorcizzato, né rifiutato; va accettato. La diversità è una ricchezza per tutti noi, sia in termini antropologici che di sviluppo inteso in senso globale. Come i nostri “emigranti” hanno fatto ricchi con il loro lavoro i paesi di accoglienza, così anche gli immigrati possono rappresentare un “valore aggiunto”, sia in termini di ricchezza prodotta che in termini di nuove conoscenze, di nuove tecnologie e di nuove esperienze, frutto del confronto. In Italia nel 1970 gli immigrati erano appena 144.000.  Oggi sono 3 milioni ed oltre (secondo stime non controllabili sarebbero 5 milioni); rappresentano rispetto alla nostra popolazione, il 5%. Per il funzionamento del sistema produttivo e sociale l’Italia, ha bisogno degli immigrati; utilizzati nei più svariati campi delle attività produttive e sociali (le donne nei lavori assistenziali e  gli uomini in lavori residuali, ormai rifiutati dagli italiani, soprattutto in agricoltura e nei servizi). Purtroppo le condizioni in cui vivono gli immigrati sono precarie e con scarse opportunità di confronto e di integrazione. Mancano, anche in termini di volontà istituzionale, le politiche sociali finalizzate alla cittadinanza attiva; mancano, altresì, gli interventi concreti di integrazione sociale e culturale e di sostegno ad azioni di inclusione. L’atteggiamento diffuso (una sorte comune ai nostri emigranti), è quello del rifiuto. Evidenti sono i segni della disparità; continue, snervanti e fortemente condizionanti sono le procedure burocratiche.  Pregiudizi e luoghi comuni sono i primi nemici da combattere. La conoscenza del clima diffuso di pregiudizi e di luoghi comuni è alla base di una forte chiusura comunicativa; tanto, nonostante l’urgente necessità di conoscenza reciproca, per aprirsi al dialogo, al confronto ed allo scambio di esperienze con le diverse culture, le tante anime degli immigrati in Italia. La loro presenza è un “valore aggiunto”, per cui tutti e prima di tutto le istituzioni, devono saper riconoscere agli immigrati il diritto alla cittadinanza attiva, favorendone il confronto e l’integrazione.