Vita di Missione: stiamo uniti

Padre Oliviero Ferro

Quando il vento soffia,le canne da zucchero possono cozzare l’una contro l’altra con grande fracasso,ma non si distruggono. Ma quando viene la tempesta,tutte le canne si avvicinano e si sostengono l’una con l’altra. Delle dispute possono mettere a repentaglio l’unità della famiglia,ma i loro membri devono essere sempre solidali tra di loro.Questo è un discorso importante,valido per tutti. Lo sappiamo quanto è facile andarsene,quando ci sono delle difficoltà. Ognuno si lava le mani. Invece è proprio nel momento delle difficoltà che si vede quanto siamo interessati a stare insieme, a risolvere i problemi. Spesso ci capitava di andare in qualche famiglia per riportare la pace,l’armonia. Questi discorsi tornavano spesso. E dopo un po’ di tempo,si riusciva a risolvere i problemi. In Camerun c’è la tradizione che nel mese di agosto tutte le famiglie si ritrovano per “la riunione della famiglia(allargata)”. Tutti vengono nel luogo dove abita l’erede,colui che guida tutta la parentela. Si rimane alcuni giorni insieme,si prega,si discute,si cerca di risolvere i problemi. A volte,invitano anche il sacerdote per celebrare una messa per i defunti della famiglia. Invitano anche i cristiani della comunità e tutto termina con la condivisione del cibo. Un modo molto bello per risolvere “in famiglia” i problemi.Ma a volte, i problemi sono troppo grandi e tutto diventa difficile,come nella storia che vi voglio raccontare. “C’erano una volta due giovani. Uno si chiamava Maseke e l’altro Kibela. Maseke disse al suo compagno:”Amico,vedo che non possiamo restare senza lavoro per tutta la vita. Siamo giovani e forti. Coltiviamo un campo che così ci permetterà di vivere”. “No” rispose Kibela “io non voglio perché mi stancherei per un guadagno così scarso”. Maseke se ne andò da solo a dissodare il campo. Vi piantò della canna da zucchero che crebbe così bene, a tal punto che Kibela ne fu meravigliato. Si disse:”Questa notte, vedo nel campo e me la porto via!”. Ed è quello che fece. Ne tagliò un bel po’ e rientrò a casa sua per masticarla. Il giorno dopo,quando Maseke venne per lavorare alla sua piantagione,si accorse del furto,senza sapere chi accusare. Qualche giorno dopo,avendo finito la sua scorta e avendo preso gusto al sapore della canna, Kibela venne a aggirarsi intorno al campo del suo amico. Non vide niente e nessuno. Entrò e cominciò a lavorare con il machete. Però Maseke era là,con la schiena incurvata, occupato a sarchiare,nascosto tra le foglie. Prese il ladro e lo portò al tribunale degli anziani che lo misero in prigione. Invece di del guadagno che avrebbero potuto dividersi lavorando insieme con il suo amico, Kibela raccolse,a causa del suo egoismo,vergogna e prigione”.