Tra i ricordi: la storia di Carolina

Giovanna Rezzoagli

Come tutte le storie vissute realmente, quella di Carolina possiede tutti i colori dello spettro del visibile. Tutti. Dal rosso del coraggio al violetto della tristezza. Ma non solo, vi si trovano tutte le sfumature del grigio, passando dal bianco più puro al nero più famelico. Carolina nasce nel lontano 1896, in un freddo giorno di aprile, nel calore di una famiglia accogliente, nel gelo di una società che considerava una disgrazia la nascita di una bimba senza padre. Il nonno di Carolina accolse la nipotina nella sua grande famiglia con gioia donandole l’amore del padre che non la volle riconoscere. Gli anni trascorsero e la bimba crebbe, mise a frutto i suoi talenti diventando un’abilissima sarta, imparando a confezionare abiti e camicie, soprattutto per l’amato nonno soprannominato “Giuramento” per l’incrollabile coerenza d’animo, che sempre ricordò nella sua lunga vita. A diciotto anni si innamorò, ricambiata, di Angelo, un giovane uomo con tanti sogni ed un bel paio di baffoni neri, proprio come quelli che portava il nonno amatissimo. Dopo il matrimonio, la giovane coppia si trasferì in un piccolo paese, lavorando come mezzadri una terra rocciosa, dura, fredda. Nacquero a breve distanza l’uno dall’altro i primi due figli di Carolina ed Angelo, due maschietti, gravemente malati. Il medico condotto sentenziò che entrambi non avrebbero vissuto sino ai cinque anni, ma mamma Carolina vide crescere sia il suo Giovanni che il suo Antonio, li crebbe difendendoli dalla cattiveria dei cosiddetti “normali”, lei nata diversa. Li vide diventare adulti, condannati ad essere eterni bambini e a lasciare questo mondo dopo sessanta e sessantadue anni. Il terzo bambino di Angelo e Carolina, Lorenzo, nacque sano e robusto, ma li lasciò dopo nemmeno due anni, devastato dalle ustioni causate dall’acqua bollente di una pentola che un destino amarissimo aveva lasciato gli cadesse addosso. Nel 1933 nacque la loro unica bimba, Caterina, bella e sana come il fratellino che non poté conoscere. Gli anni passarono e giunse la tragedia della seconda guerra mondiale, Carolina lavorava di giorno i campi e la notte la stoffa, cresceva i suoi bimbi vivi e piangeva il piccolo volato in cielo. Poi, un giorno, le fu chiesto dal medico condotto se se la sentiva di nascondere per un poco di tempo un dottore di Genova, ebreo di origine ungherese, ricercato ufficialmente a causa di uno scambio di persona, sostanzialmente per la sua etnia e per il fatto di essere ricco. Carolina non ci pensò nemmeno un istante, nascose questo uomo di cui sapeva solo che aveva una moglie italiana ed un figlio piccolo. Lo nascose per ventidue mesi nel fieno della sua stalla, divise con lui il poco cibo destinato alla famiglia. Negò la sua presenza davanti ai soldati tedeschi, informati da qualche anima generosa della presenza del ricercato, a rischio della sua vita e di quella di chi amava. Lo salvò. Questo dottore tornò alla sua vita ma mai, finché ebbe vita, allentò il filo che ormai lo legava a quella famiglia tanto generosa quanto sfortunata. Passarono gli anni, Angelo raggiunse il figlio in cielo. Carolina visse con i figli eternamente fanciulli e la figlia, che nel frattempo si era costruita la sua famiglia. Amò con tutto il suo cuore la sua unica nipotina, cui era solita raccontare quella meravigliosa favola che era stata la sua vita. Ma il destino non si era dimenticato di lei, dopo la morte dei due figli. Aveva novantaquattro anni quando le strappò la sua ultima figlia e, dopo poco, l’amato genero, il suo quinto figlio, come lo chiamava lei. A Carolina rimase una sola foto consumata dal tempo dei suoi figli maschi, tesoro prezioso, un sorriso dolcissimo che mai lasciò il suo viso. Visse per altri due anni con la sua nipotina, morendo tra le sue braccia un freddo pomeriggio di novembre. Lei, anima semplice in un corpo piccolo piccolo, anima candida in un corpo sempre vestito di nero. Eccola la semplice storia di Carolina. Di lei mi restano tutte le storie che mi raccontava quando ero bambina, il suo incrollabile esempio, che vorrei tanto saper seguire, ed il ricordo del suo sorriso, identico a quello che aveva mia madre, identico a quello di mio figlio, di cui sarebbe stata l’orgogliosa bisnonna.