I lunghi tempi della Giustizia in Italia

Giuseppe Lembo

Nei miracoli della giustizia italiana, in primo piano, c’è la figura dei giustizieri dell’apocalisse in cui è precipitato il Paese. Nell’inferno della giustizia del nostro Paese, proprio non si riesce a capire in che cosa consista l’etica del diritto per i cittadini. Si può parlare di un Paese civile con un giustizia giusta se, dopo 15 anni la magistratura giudicante del nostro Paese, in materia civile, emette una sentenza non basata su presupposti veri, ma virtuali? È successo con la sentenza civile numero 261 del 2009 emessa in nome del popolo italiano da un giudice monocratico a Vallo della Lucania. Per la giustizia italiana, non è affatto vero che “la legge è uguale per tutti”; è sempre più ingiusta e lontana dal diritto. I cittadini non hanno più fiducia nella giustizia del nostro Paese i cui tempi sono lunghissimi e le cui sentenze sono spesso cervellotiche e prive del sale del diritto, con danni e grave offesa per quanti si sentono traditi ed orfani della protezione della giustizia giusta, un pilastro portante per la vita democratica e civile di un Paese come il nostro che, solo a parole, ma non nei fatti, è concretamente democratico e civile, così come gli altri paesi dell’Europa unita, di cui anche l’Italia fa parte, sempre più virtualmente e sempre meno nei fatti. Lo scontro di potere in atto nel nostro Paese, non giustifica niente e nessuno; la giustizia è e deve rimanere tale; una prerogativa dei diritti fondamentali del cittadino. Non può, né deve essere strumentalmente usata a fini di parte, né diventare “giustizia” negata per un sistema paese che ormai non funziona più e dove, tra le caste di potere c’è al primo posto la casta dei magistrati che innaturalmente, malgovernano la giustizia, usandola spesso per fini di parte e o di potere. La giustizia è la giustizia e non altro; a nessuno è dato deviarne il corso; nessuno può impropriamente farne uso, lasciando il cittadino italiano senza quella protezione che anche la costituzione italiana affida alla giustizia nei suoi diversi gradi di giudizio. Negare il diritto alla giustizia è una grave violazione dei diritti del cittadino previsti e codificati sia nella carta costituzionale che nelle norme a base dei diritti dell’uomo universalmente riconosciuti. Ma che paese è il nostro se per una sentenza da processo civile, si deve attendere ben oltre 15 anni? E, purtroppo, non è un caso isolato; sono tanti che attendono decenni per una sentenza, poi falsata dagli anni per quella domanda di giustizia che spinge il cittadino ad attivare i meccanismi di legge a tutela dei suoi diritti violati. Dopo una tale assurda lungaggine, fatta di attese e di rinvii, il corso del “processo infinito”, passato da un magistrato all’altro, viene chiuso da una sentenza che è ben lontana dalla ratio del contendere e che di fatto diventa una vera e propria sentenza da giustizia ingiusta. Nel profondo Sud, nel Cilento, il Tribunale di Vallo della Lucania ha emesso una sentenza, non sui fatti, ma su basi unicamente virtuali, essendo venuta meno la materia del contendere, dopo ben 15 anni ed oltre di attesa. Ma che giustizia è questa? Neanche nelle più lontane tribù africane o in altre parti del mondo dette “sottosviluppate” succedono fatti come questi. Ma che cosa è lo sviluppo, se non il rispetto, da parte di tutti, del cittadino e delle regole che stanno alla base del vivere civile? Come si può pensare che occorrano ben 15 anni ed oltre per una sentenza farsa, basata sui soli presupposti virtuali, in quanto i fatti concreti, che avevano dato adito alla controversia, erano interamente venuti meno? È un modo grave di intendere il diritto e le leggi che lo governano; è un modo offensivo pensare che il cittadino italiano sia tollerante e capace di sopportare tutto quanto di negativo gli può capitare nel corso della vita, senza rete e senza le dovute protezioni umane e sociali, alla base di una società civile e rispettosa dei suoi membri, purtroppo, sempre più spesso, costretti a sopportare tutto da parte di tutti. La tolleranza che è una virtù, ha un limite, per cui può anche diventare causa di rifiuto e di giustificata intolleranza. La società per ben funzionare necessita del rispetto delle parti; di tutte le parti che la compongano. Il cittadino, per etica condivisa, oltre che per diritto, deve avere il massimo rispetto e la massima attenzione sociale da parte di tutte le rappresentanze istituzionali del Paese. A nessuno, proprio a nessuno, è dato violare questo principio, pensando molto inopportunamente di poter maltrattare a proprio piacimento il cittadino, l’espressione più alta della società civile. Anche i poteri forti, sia politici che delle caste facenti parte del sistema paese, hanno un limite; non possono pretendere di esercitare il loro potere impunemente e senza darne conto alla società ed alle parti che la compongono. Il filo se teso all’inverosimile, prima o poi si può anche spezzare. Se così è, giorno verrà in cui la reazione del cittadino e della società a cui appartiene, si farà sentire e con forte protagonismo umano e civile, attraverso una ribellione giusta, ci si libererà facilmente dalle oppressioni ingiuste esercitate dai poteri forti sui deboli. È questo, il frutto di una legge di natura ed umana allo stesso tempo. Niente, neanche il potere dei forti ed i privilegi delle caste, espressione indecente del potere, sono eterni. Tutto scorre; tutto passa; tutto è destinato prima o poi a finire. Le infamie compiute dagli uomini, da tutti gli uomini potenti, non si cancellano mai; passeranno alla storia come atti infami di uomini contro uomini; non vanno dimenticati, né vanno cancellati dalla memoria collettiva. Tanto affinché non si ripetano mai più, mettendo così la parola fine anche nei confronti dell’olocausto morale della giustizia ingiusta. È interpretata da una casta di potere senza limiti che è quella della magistratura italiana ed è esercitata sempre più spesso in nome e per conto della giustizia ingiusta, una delle cause di maggiore e diffusa sfiducia del cittadino nei confronti di un sistema paese non più garantista nei confronti del cittadino comune, da troppo tempo sedotto ed abbandonato a se stesso nell’indifferenza di tutti e soprattutto di chi, per etico condivisa, non può essere indifferente.

 

                                                                                                           

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