La politica dell’acqua al migliore offerente

 

Paolo Campanile

L’acqua è un bene imprescindibile e spetta di diritto a tutti. Tuttavia in questa strana Italia, dove anche le cose più ovvie vengono sempre più spesso messe in discussione, tale criterio viene meno. Infatti, mentre le organizzazioni internazionali si mobilitano per far sì che la più preziosa delle risorse sia fruibile all’intera popolazione mondiale, il governo, neanche a dirlo, rema controcorrente e si avvia invece alla sua privatizzazione. Mercoledì 4 novembre 2009 in Camera di Senato è stato approvato il decreto legge 135/09 dal titolo “Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e per l’esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee”. Dopo soli due giorni di dibattito nell’aula di Palazzo Madama, i Senatori della Repubblica hanno sancito, con un solo articolo, l’obbligo per tutti gli organismi locali di ottemperare alle direttive europee che impongono l’affidamento dei servizi locali alle aziende private, servizio idrico compreso.Con la Legge Galli del 1994 si ebbe la prima apertura ai privati: difatti, dividendo il territorio nazionale in Ambiti Territoriali Ottimali (ATO), comincia l’affidamento a privati o a società con capitale misto pubblico-privato. Dopo quasi 14 anni, lo scorso anno il Parlamento approvava la legge 133/08 che regolamenta il funzionamento dei servizi locali a rilevanza pubblica (articolo 23-bis). Eccovi i punti chiave: affidamento dei servizi a privati attraverso gare pubbliche d’appalto; possibilità di affidamento ad aziende pubbliche previa dimostrazione delle “peculiari caratteristiche economiche, sociali, ambientali e geomorfologiche che impediscono il ricorso al mercato” e previa approvazione dell’AGCOM; riconoscimento della proprietà pubblica delle infrastrutture all’interno di una distribuzione privata. Proprio quest’ultimo punto sarà l’argomento cardine della discussione in Senato di questi giorni. L’art. 15 del decreto legge appena approvato apporta alcune modifiche all’art. 23-bis della legge dello scorso anno, rafforzandone ulteriormente lo spirito privatizzatore: possibilità di concessione del servizio in via esclusiva a società con capitale misto anche senza gara d’appalto, ma con semplice scelta su libero mercato del socio privato che dovrà detenere almeno il 40% della partecipazione aziendale; annullamento dei contratti di affidamento alle ditte pubbliche in tutto il territorio nazionale entro il 31 dicembre 2011; annullamento dei contratti alla naturale scadenza solo in caso di affidamento a ditte con capitale misto a condizione che la quota pubblica possegga non oltre il 30% del capitale complessivo. Tutto ciò si traduce in un giro d’affari da 8 miliardi. Al momento in Italia la rete idrica è coperta da circa 110 gestori, divisi per ambiti territoriali ottimali. Di questi ben 64 sono a capitale pubblico e servono metà della popolazione, il resto è a capitale misto o privato. La riforma di ieri annulla ogni norma e apre alla privatizzazione selvaggia. Si consente la gestione a società “in ogni forma costituite”. Non è tutto, il privato deve possedere una quota corrispondente ad “almeno il 40% della società” e spetterà a lui l’ultima parola sugli investimenti. In sostanza il pubblico diventerà un ospite poco gradito. È ovvio che in un sistema così articolato la logica di mercato avrà la meglio sulla volontà di garantire a tutti un diritto, quindi si può prevedere realisticamente che le società decidano di massimizzare i profitti gonfiando le tariffe. Quanto ci guadagnano le aziende private? Si stima, in difetto, che il gioco al rialzo potrebbe fruttare in 10 anni ben 8 miliardi di euro. Agli enti pubblici resterà solo una quota che non potrà superare il 40%, pochi poteri e praticamente nessuna possibilità di contrastare gli interessi dei grandi gestori privati italiani. L’Antitrust già parla di “monopoli pubblici sostituiti da monopoli privati”. In Italia dal 1994 (anno della Galli) al 2005 sono stati investiti 700 milioni di euro l’anno nella rete; nei dieci anni precedenti oltre 2 miliardi di euro. Nell’ultimo rapporto del Comitato di Vigilanza sulle Risorse Idriche del 2008 relativo a 54 Ato, risultavano realizzati solo il 56% degli investimenti previsti (6 miliardi). Questo accade, scrive Cittadinanzattiva, a fronte di un’impennata delle tariffe idriche di oltre il 47% negli ultimi 10 anni (seconde solo al petrolio). In Toscana, ad esempio, dove è più forte la presenza di privati, ogni famiglia spende in media per l’acqua 330 euro all’anno a fronte di una dispersione del 34%. I privati, se non regolamentati, non portano efficienza. Subito tuona l’opposizione che con la presidente dei senatori PD Anna Finocchiaro, durante il suo discorso in aula, ha evidenziato: “La questione della gestione della risorsa acqua è una delle grandi questioni sulle quali si interroga il mondo intero. Non è un problema di poco conto, ragioniamoci, cerchiamo di capire meglio. Dobbiamo avere attenzione al fatto che stiamo parlando dell’acqua, la risorsa più preziosa naturalmente a disposizione dell’umanità”.Roberto Della Seta, capogruppo del Pd nella commissione Ambiente, ha a sua volta sottolineato: “Oggi in Senato con il voto del Pdl e della Lega viene resa obbligatoria la gestione dell’acqua: una scelta che va contro l’interesse dei cittadini e che non è dettata, come falsamente sostengono governo e maggioranza, da norme europee. Una scelta tanto più grave nel caso del partito di Bossi e Calderoli, che in Padania coi suoi sindaci si batte per l’acqua bene pubblico e a Roma prende decisioni ultraliberiste. L’approvazione di un emendamento del Pd a firma Bubbico mette dei paletti alla privatizzazione, garantendo il rispetto della proprietà pubblica dell’acqua, come stabiliscono i principi comunitari. Nonostante questo, tuttavia, le norme approvate oggi dal Senato sono molto gravi. L’acqua è un bene comune, non è una merce e in base alla Costituzione la titolarità della sua gestione è in capo alle Regioni e agli enti locali. Prevedere non la possibilità, ma l’obbligo entro un anno, di affidare a privati la gestione dei servizi pubblici vuol dire espropriare Regioni e Comuni del diritto-dovere di amministrare l’uso dell’acqua nell’interesse delle persone e delle comunità, e apre la strada a un monopolio privato dell’acqua nelle mani di tre o quattro multinazionali”.Filippo Bubbico, primo firmatario dell’emendamento approvato dall’Aula afferma: “Grazie a un emendamento del Partito democratico è stata scongiurata la privatizzazione dell’acqua, bene indispensabile, di primaria importanza per tutti i cittadini”. Così annuncia il senatore e capogruppo del Pd in commissione Industria e aggiunge: “Inserire una riforma tanto importante per i cittadini qual è quella dei servizi pubblici locali nel Decreto sugli obblighi comunitari ha significato non solo privare il Parlamento della possibilità di un esame approfondito del provvedimento ma creare una riforma pasticciata che non tiene conto delle specificità di ciascun servizio pubblico”. Secondo il senatore del Pd, l’emendamento ha il “merito di scongiurare questa eventualità poiché la sua approvazione consente al servizio idrico di restare saldamente nella titolarità e nel governo delle amministrazioni pubbliche, tanto da soddisfare i principi del pieno controllo pubblico sulla qualità, l’accessibilità e il prezzo del servizio per gli utenti”.Difendere l’acqua come bene comune è fondamentale per garantire un diritto inalienabile e vitale che per nessun motivo può sottostare ad una logica di mercato e di profitto.