Il precariato invisibile

 Avv.Angelo Cennamo

La crisi economica che ha investito i mercati di mezzo mondo pare stia volgendo al termine. Cominciano ad intravedersi i primi segnali di ripresa, e l’Ocse ha rilevato che l’Italia è messa meglio di altri paesi. Sarà, ma intanto l’economia, specie al sud, langue ed interi comparti soffrono per la mancanza di credito. Il governo ha cercato di porvi rimedio attraverso una serie di misure incentrate su ammortizzatori sociali, per la verità ben finanziati, e prestiti obbligazionari garantiti dallo Stato, i cosiddetti “Tremonti bond”. “Nessuno rimarrà senza lavoro” aveva promesso il premier annunciando la cassa integrazione per i più sfortunati. Ma se i lavoratori dipendenti delle grandi aziende in crisi sembrano aver trovato un salvagente insperato alla vigilia dello tsunami, molti altri, quelli alle dipendenze delle piccole e medie imprese sono, invece, affondati nel magma devastante della recessione. Ciò che, però, desta particolare clamore è l’invisibilità, anche ai media, di talune categorie di lavoratori che la crisi hanno dovuta affrontarla senza alcun paracadute o agevolazione di sorta : i liberi professionisti. Esistono sacche di precariato tra giovani avvocati, commercialisti, architetti ed ingegneri che nessuno, se non gli addetti ai lavori, riesce ad immaginare. Il clichè del professionista ricco ed affermato, spesso figlio “d’arte”, sembra prevalere ancora oggi su una realtà ben diversa da quella immaginaria di pochi  stereotipi da copertina. Molti professionisti lavorano fino a 12, 14 ore al giorno, in studi altrui, per poche centinaia di euro, in nero, e senza alcuna forma di garanzia. Sono invisibili e spesso per non scalfire la loro immagine, che in taluni mestieri è sostanza, tacciono. Sono le partite iva, il ceto produttivo, quello che ha sostenuto Berlusconi nelle sue campagne elettorali contro la minaccia comunista, contribuendo ad alimentare il suo successo politico. Oggi questo popolo si sente abbandonato a sè stesso, tradito da una fiscalità ancora troppo onerosa e da un mercato estraneo alle migliori logiche meritocratiche. Come se non bastasse, in commissione giustizia del senato, si sta lavorando ad una legge che dovrebbe obbligare alla radiazione gli avvocati che non dichiarano dei redditi sufficientemente credibili. Dov’è la libertà?

 

 

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